A Torino con Asghar Farhadi: una Masterclass memorabile

A Torino con Asghar Farhadi: una Masterclass memorabile
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Lunedì 17 aprile, all’interno della suggestiva Aula del Tempio del Museo del Cinema di Torino, si è svolto l’incontro con il regista due volte premio Oscar Asghar Farhadi, una delle figure di maggior spicco per la cinematografia nazionale dell’Iran. Il regista è stato insignito del premio “Stella della Mole” per il suo lavoro, con cui ha saputo legare la dimensione interiore e sociale del suo Paese, a quella esistenziale dell’essere umano, rendendone i valori universalmente validi. Ha parlato del suo cinema, dell’amore che prova verso l’Italia, e della realtà attuale iraniana, in una serata davvero indimenticabile.

Un cinema al femminile

Nei film di Asghar Farhadi spesso troviamo le donne nel ruolo di protagonista. Le vicende sono infatti vissute solitamente dal loro punto di vista, a partire dal lungometraggio del 2006 “Čahāršanbe Sūrī”, titolo che fa riferimento all’ultimo mercoledì dell’anno persiano, vigilia del Nawrūz (che coincide col primo giorno di primavera, il 20 o 21 marzo).

Qui la narrazione, infatti, si sviluppa lungo l’arco di 24 ore, attraverso gli occhi di una giovane ragazza prossima al matrimonio, inviata ad aiutare una famiglia benestante per le pulizie di casa.

Passiamo poi ad “About Elly” (2009), che già dal titolo ci presenta in primo piano la maestra d’asilo, appunto Elly, la cui sparizione sarà la chiave di volta di tutta la storia, e “Il passato” (2013), la cui protagonista è Marie, giovane donna in procinto di divorziarsi, che lavora in farmacia e vive con le due figlie.

Tutti lo sanno”, film del 2018, meritevole di essere citato, ha come protagonista niente meno che Penélope Cruz. Pienamente rispecchia le classiche donne della cinematografia di Asghar Farhadi: dinamiche, forti, le cui parole e azioni permettono il progredire delle vicende.

Sono le donne che più richiedono un cambiamento, e sono disposte a pagarne il prezzo.

Gli uomini, invece, ha detto il regista, tengono maggiormente allo status quo, alla calma, e alla tranquillità. Lo stesso percorso di vita personale di Farhadi lo ha portato a circondarsi di figure femminili forti, a partire dalla stessa moglie.

Oggi gli uomini seguono le proteste che stanno agitando l’Iran, ma il movimento è stato generato dalle donne, prova evidente di una verità sociale, chiaramente riflessa nei suoi film.

Caso esemplare: “Una separazione” (2011)

Anche questo film, il primo iraniano a vincere l’Orso d’oro a Berlino, nonché Golden Globe e Premio Oscar per il miglior film straniero nel 2012, ci racconta di una coppia di Teheran, patria dello stesso regista, sull’orlo della separazione.

Protagonista è la moglie, che vuole andare all’estero, e si oppone al marito, che vuole invece restare in Iran per accudire il padre anziano e malato di Alzheimer. In un secondo livello si presentano tensioni nascoste tra le classi sociali, con esplosioni di vari conflitti, anche tra famiglie.

Al momento della scrittura, ha raccontato il regista, era convinto che fosse una storia locale complessa da comprendere al di fuori dell’Iran.

Dopo “About Elly”, vincitore dell’Orso d’argento per il miglior regista a Berlino, voleva dirigere una storia diversa, con cui parlare direttamente all’Iran. Per “Una separazione” neanche aveva pensato ai sottotitoli, perché riteneva che il film non sarebbe uscito dal territorio nazionale, trattando di tematiche prettamente locali.

La responsabile della selezione dei film per Berlino lo convocò, e venne a tradurre il film direttamente con un interprete. Mentre lei vedeva il film, Asghar si trovava in un’altra sala con alcuni collaboratori, convinto dell’incomprensione estera.

In realtà poi capì che il cinema crea una lingua comune oltre i confini dei paesi. Il livello nazionale e quello internazionale non sono quindi separati, ma proseguono affiancati sullo stesso cammino. Ciò che è la normalità per chi vive in un certo territorio, per gli altri dall’esterno diventa nuovo e importante, perché si presta più attenzione.

Ambiente e personaggi

Come in “About Elly”, e ricorrente in vari film, il legame fra ambiente e personaggi è un’altra caratteristica peculiare dei film di Asghar Farhadi. Infatti, spesso le case dove si muovono i protagonisti sono disordinate o in divenire, coi muri abbattuti, le stanze in costruzione, o assistiamo a preparativi per partenze.

Dai colori e dall’arredo si comprende la persona, i luoghi e i muri sono anch’essi personaggi.

Le pareti del luogo riflettono parte dell’anima. In “Čahāršanbe Sūrī” la casa è in disordine, nulla si trova al suo posto, c’è tutto per vivere ma devi cercare. I personaggi stessi sono sempre alla ricerca e l’aspetto visivo condiziona dunque l’interiorità. La scenografia e la personalità coincidono.

In “Una separazione” il contrasto tra antico e moderno è poi visibile in ogni angolo. Ad esempio possiamo vedere due frigoriferi, uno vecchio e uno di produzione recente, oppure un pianoforte affiancato a uno strumento tradizionale. Tutto mostra come la casa sia in effetti del padre, per cui dominano arredi e mobili antichi. Nello spazio ci sono stati poi innesti da parte del figlio, della moglie di lui, e della loro giovinezza.

La lotta tra passato e presente, elemento principale della trama, diventa pertanto chiaro a livello visivo. Con essa traspare un distacco che diventa gradualmente più doloroso. Infatti, per raggiungere un diverso futuro, spesso sei costretto a lasciarti il passato alle spalle.

Nel disordine degli spazi si mostra, quindi, anche il dolore dell’emigrazione. Trovare un proprio ambiente richiede sforzo e fatica, come la costruzione di una nuova casa.

Attraverso gli occhi dei bambini

Altro simbolo di contrasto tra le diverse età della vita, ed epoche diverse, sono i bambini. Essi, infatti, sono sempre presenti nei film del regista. Nella pratica della scrittura, Farhadi ha spiegato come parta sempre da una situazione di crisi. Solo allora le persone si vedono nella loro vera identità. La crisi è come un sasso gettato in uno stagno, genera onde e movimento.

Queste crisi si presentano in varie forme nei suoi film. Causano tensioni che potrebbero atrofizzare la storia, e i bambini rendono il peso generale più sentimentale e umano. Guardano il gioco dei grandi senza alcun potere per poter intervenire, ma i litigi e i problemi su di loro hanno molta influenza. Da qui deriva la preoccupazione dello spettatore, che vuole lo scioglimento della crisi.

In “Una separazione”, ad esempio, importa di più il destino della ragazza, figlia dei protagonisti, rispetto a quello della stessa coppia che si separa.

Con il progredire dei film l’età dei bambini cresce. Nell’ultimo la ragazza ha 20/21 anni e alla fine distrugge tutto. Rispecchia perfettamente la generazione di oggi delle proteste in Iran. I bambini di allora, dei film precedenti, ha detto Farhadi, sono gli stessi ora cresciuti che lottano per strada, alla ricerca di un diverso futuro.

Il legame col cinema italiano

Per Asghar Farhadi, il cinema italiano ha sempre ricoperto un ruolo importante.

Il cinema iraniano, infatti, deve molto al neorealismo, nell’analisi della quotidianità e nell’indagine sul sociale. Asghar Farhadi ha evidenziato come il cinema iraniano è andato poi anche oltre, nello sguardo sulla vita. La quotidianità è anche noiosa, ripetitiva, ma nel cinema iraniano dalla ripetitività accadono i fatti.

Ad esempio, hai un appuntamento con un amico non visto da tempo, poi lui se ne va. Se l’amico poi muore in un incidente, tutta la conversazione avuta cambia, si cerca di rivivere nei dettagli ogni strato del vissuto ultimo.

Così sono i film: togliamo i vari strati per capire cosa ne sarà, delle vicende raccontate. Farhadi non vuole poi passività, ma partecipazione nello spettatore, e domande da cui derivare un giudizio personale. Non presenta quindi mai divisioni nette tra buono e cattivo.

Evita di giudicare, mostra i personaggi nei loro vari aspetti e lascia distanza ed empatia allo spettatore. Pertanto, arrivare a una chiarezza finale non è semplice, e gli strati che compongono la trama dei suoi film sono molteplici. Spesso, come in “About Elly” o “Il passato”, le informazioni che lo spettatore riceve variano di continuo, e le previsioni si rivelano sbagliate.

Asghar Farhadi apprezza molto i registi italiani che hanno saputo scrivere storie dalla struttura inaspettata. In particolare, Mario Monicelli, il cui film “I soliti ignoti” (1958), con la sua trama ad effetto domino, desta in lui meraviglia. A Torino ha preteso di visitare i set dei suoi film, capaci di parlare a un grande pubblico, non solo a studiosi o appassionati.

Questa abilità di rendersi universale è, come già osservato, propria anche di Farhadi. Come guida per la propria cinematografia, ha citato anche Vittorio De Sica, in particolare il suo film “Il tetto” (1956).

Fra ricordi d’infanzia e attenzione al presente

Il Museo del Cinema, ha detto Farhadi, lo ha riportato all’infanzia, a quando da bambino costruiva personaggi con la cartapesta. Di ciò si è ricordato osservando le varie tipologie di zootropio. Alle medie-liceo poi, per 7 anni, lavorò presso uno studio fotografico. Era attratto da una macchina fotografica di legno con treppiedi di metallo.

Il desiderio di allora era scattare una fotografia di nascosto, per scoprirne il risultato. L’ostacolo era però la camera oscura, complessa da gestire. Un giorno riuscì a fare una foto a un ragazzo. Al Museo è presente una macchina simile, che ha detto essere meno grande dell’apparenza e del ricordo di allora.

Infine, ha ricordato la realtà attuale dell’Iran, e le giornaliste incarcerate per aver svolto il loro lavoro. C’è anche stato un omaggio all’attrice Taraneh Aidoosti, arrestata per aver sostenuto le proteste. Anche per lui le cose stanno cambiando. Regista non esule, ha sempre raccontato il Paese da Teheran. Non dissidente, è riuscito a sfuggire alla vendetta del Regime, a differenza di altri registi, come Jafar Panahi. Ora sta dando la propria voce per la libertà.

Sostiene che, in proporzione alla grandezza dell’evento, ciò che si può fare è sempre poco. Tuttavia, si deve dare il proprio aiuto e contributo in ogni occasione possibile: è questo il compito umano che ci spetta. L’insieme e l’unità delle nostre azioni è ciò che conta.

Ogni movimento sorto dalle parole “Donna-Vita-Libertà”, divenute il motto delle proteste, scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini, va accolto e supportato. Ciò risponde alla coscienza umana.

In questi giorni si celebrano e si ricordano le azioni degli italiani e il loro coraggio per ottenere la Libertà, nell‘anniversario del 25 aprile. Occorre ricordare come ancora oggi combattere per un futuro migliore risulti profondamente attuale e fondamentale.

a cura di
Matteo Sisti

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