“L.A. Times”, i Travis ci ricordano che l’amore è come la tosse: non si può nascondere
Tornano i Travis con il loro decimo album in studio, L.A. Times
I Travis sono una di quelle band che, nonostante un indiscusso talento e una carriera ricca di momenti significativi, non hanno mai raggiunto la stessa fama internazionale dei loro contemporanei.
Vincitori di due BRIT Awards nel 2000 per il miglior album e il miglior gruppo britannico grazie al loro secondo disco The Man Who (1999, certificato nove volte disco di platino solo in UK), i Travis hanno dimostrato fin dall’inizio una capacità unica di trasformare il loro sound.
Dal rock diretto del loro debutto con Good Feeling (1997) alle sonorità più introspettive di 10 Songs (2020), la band ha saputo tracciare un percorso artistico originale e coerente. Tuttavia, al di fuori del Regno Unito, il loro successo è stato piuttosto limitato, oscurato dall’ascesa di band, tra cui Oasis e Coldplay, che hanno saputo cavalcare l’onda della british invasion con maggiore risonanza mediatica.
Nonostante questo, la band scozzese ha continuato a costruire un progetto artistico unico, caratterizzato da una profonda identità e dalla volontà di esprimere la loro visione musicale senza cedere alle logiche commerciali.
Il pot-pourri sonoro del quartetto di Glasgow
L.A. Times, il decimo album in studio della band, testimonia ancora una volta l’eclettismo e la capacità dei Travis di esplorare nuovi territori sonori senza perdere le loro radici. Registrato a Los Angeles con Tony Hoffer (già produttore di Air, Beck, M83 , Phoenix e Silversun Pickups), l’album è un vero e proprio pot-pourri di influenze che spaziano dal pop all’R&B, toccando sfumature barocche, blues e country ai limiti del surrealismo.
Il brano d’apertura, “Bus”, è un esempio perfetto di questa varietà stilistica dove l’ascoltatore viene subito catapultato nel mondo nostalgico e riflessivo di Fran Healy (“I thought it was just us / Waiting on this bus / Waiting on a gust of wind to blow us away / Away to better days…”). Una canzone che cattura l’essenza della band, con la sua capacità di trasformare semplici melodie in affreschi emotivi ed evocativi.
“Raze The Bar” fonde un ritmo rhythm and blues con un ritornello gospel, creando un contrasto che rende la canzone unica nel suo genere.
“Gaslight”, il primo singolo estratto, si presenta allegra, ma cela un messaggio più oscuro e complesso, toccando il tema dell’abuso psicologico.
“Golden showers on my head
Rainbows missing, presumed dead
I think I might just stay in bed…”
. Un chiaro esempio di quanto i Travis riescano a comporre canzoni che funzionano su più livelli, combinando melodie accattivanti con liriche che invitano alla riflessione.
La capacità della band di rinnovarsi senza rinunciare alla propria essenza si riflette anche nei brani “Alive”, un inno che sembra uscito direttamente da The Invisible Band (2001) e dotato di un ritornello che omaggia “The Boxer” di Simon & Garfunkel, e “Naked in New York City”, una ballata intima e spoglia che risalta la voce di Fran e la sua totale abilità nel creare atmosfere intense con pochi elementi essenziali.
La conclusiva title track, “L.A. Times”, è sicuramente l’apice più sorprendente del disco, con il suo stile che ricorda i Sleaford Mods. Una scelta che concretizza ulteriormente la necessità di superare le aspettative nel tentativo di reinventarsi.
La conferma della maturità artistica dei Travis
L.A. Times è un album che, nonostante la sua eterogeneità, conserva intatta una coerenza interna, grazie alla forza del songwriting della band e alla loro attitudine di esplorare nuove contaminazioni e sentieri musicali senza tradire le loro origini.
Nonostante alcune canzoni possano sembrare meno immediate, L.A. Times è un lavoro che conferma la maturità artistica di Fran Healy (voce e chitarra), Andy Dunlop (chitarra), Neil Primrose (batteria) e Dougie Payne (basso).
Un ascolto imprescindibile che non solo resiste al tempo, ma conferma i Travis come una delle band più autentiche e sincere della scena musicale attuale, capaci di creare un legame emotivo con il pubblico senza mai scendere a compromessi.
a cura di
Edoardo Siliquini
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