“Manuale illusione”: il lisergico album d’esordio degli Ai!

“Manuale illusione”: il lisergico album d’esordio degli Ai!
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Il primo disco del trio bolognese, uscito lo scorso 3 marzo, è un collage di otto brani notturni e psidechelici, frutto di un caleidoscopio mix di generi che vanno dal desert rock al jazz.

Sfaccettato. Lisergico. Evanescente. Questa è solo una piccola manciata di aggettivi con cui si potrebbe descrivere “Manuale illusione“, il primo disco degli Ai!, progetto musicale nato nella primavera del 2020 dall’incontro tra Gabriele Ciampichetti e Stefano Orzes, ex membri dei The Crazy Crazy World Of Mr. Rubik e degli Eveline.

Registrato negli studi del Locomotiv Club, storico locale bolognese di musica dal vivo, l’album si compone di otto tracce nelle quali la band cerca di fare luce su varie “profondità prive di gravità”, consegnando all’ascoltatore ambientazioni notturne e sonorità eteree.

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Ai!, “Manuale illusione” (2023)

Tessere di un puzzle nel quale la chitarra di Ciampichetti si fonde con la batteria di Orzes e la voce di Luca Fattori in brani che hanno come protagonista l’assoluta libertà espressiva dei tre musicisti.

Uno spazio libero nel quale i generi e la durata delle canzoni si dilata, andando a sondare nuovi e profondi abissi sonori. Nessuna linea canonica da seguire. Nessuna regola alla quale sottostare.

Durante la creazione di questo album siamo rimasti sempre in ascolto, annotando tutto in un canovaccio di idee, niente più. Parallelamente si sono delineate le prime line vocali e i primi testi, tracciando così il campo da gioco, il perimetro d’azione.

Gabriele Ciampichetti

“Manuale Illusione” merita di essere ascoltato già solo per la sua traccia di apertura. “Dimensioni” è una ipnotica mini-suite avangaurdistica lunga 10 minuti. Una giostra sonora nella quale gli strumenti musicali e la voce di Fattori giocano e si rincorrono attorno a un ostinato di due soli accordi di basso che si ripete per tutta la lunghezza del brano.

Le altre sette tracce non sono comunque da meno. Nei restanti 41 minuti del disco, gli Ai! ci mostrano un panorama sonoro davvero sconfinato, da contemplare in religioso silenzio. Un vero e proprio melting pot nel quale le atmosfere blues-sperimentali à la Duke Garwood di “Onde Concentriche” scorrono placide come un fiume di pianura verso l’altro pezzo megalitico del disco.

24 febbraio” è uno psichedelico inner journey di 9 minuti e 52 secondi, dove i soffusi giri di basso e groove di batteria lasciano campo libero alle esplorazioni ultra-riverberate della chitarra di Ciampichetti.

La catarsi sonora della band si adagia placidamente sulla dolce e folkeggiantePergamena“, l’ultima traccia del disco. Il brano è un tenera lettera d’amore rivolta a una nuova vita. Un augurio ad esplorare il mondo in tutti i suoi aspetti positivi e negativi.

“Manuale illusione” è un disco ipnotico e seducente plasmato dalle sapienti mani di musicisti che danno del “tu” ai propri strumenti. Un lavoro primitivo, spontaneo e istintivo, nel quale Ciampichetti, Orzes e Fattori dialogano tra loro in completa libertà, come in un flusso di coscienza joyceano.

Ciao ragazzi benvenuti su The Soundcheck. Com’è nato il progetto Ai!? Come vi siete incontrati?

Ci siamo incontrati nelle primavera del 2020, ho chiamato il mio batterista di sempre Stefano Orzes, con cui ho militato in molte formazioni, per poter rispondere con la musica composta a quel senso di galleggiamento che stavamo vivendo. 

Gabriele è tra i fondatori e tra i direttori artistici del Locomotiv Club di Bologna. Un luogo che da anni ospita artisti di prim’ordine del panorama musicale italiano e non solo. Il 6 maggio presenterete proprio lì il vostro primo disc Cosa provate all’idea di invertire i ruoli e di calcare proprio quel palco che spesso da alcuni di voi è stato vissuto da dietro le quinte? 

A dir la verità la direzione artistica del Locomotiv Club, per non rischiare di prendermi il merito anche di altri – sorride ndr – è affidata ad un direttivo con a capo oltre me anche Giovanni Gandolfi e Michele Giuliani. Suonare in quel locale sarà certamente un’esperienza molto intensa: sento quel palco come estremamente pesante, i grandi nomi che lo hanno calcato ne hanno esteso di molto l’immaginario. Sarà certamente molto emozionate, faremo di tutto per essere all’altezza.

La prima cosa che si nota dopo aver ascoltato questo album è l’assoluta volontà di discostarsi da tutto quello che attualmente viene considerato “mainstream”. È stata una scelta decisa sin dall’inizio oppure è venuta in corso d’opera?

Ci siamo approcciati alla nostra musica in maniera totalmente libera. In sala prove compivamo ogni volta una sorta di rito magico con il basso in loop che doveva liberarci dalle tensioni che vivevamo all’esterno. Con questo stato d’animo ci siamo spinti il più a largo possibile, cercando di costruire il nostro suono oltre i generi e le tendenze. Il disco inizialmente si doveva infatti intitolare “al di là”.   

Durante “Manuale Illusione” si ha sempre la sensazione di avere davanti un lavoro estremamente genuino. Il feeling che si sente tra di voi è frutto di registrazioni dal vivo in studio oppure di un’ottima opera di mixaggio?

Credo che il segreto sia stato registrare questo disco improvvisando: avevamo un canovaccio da seguire con dei passaggi obbligati in cui ci saremmo dovuti ritrovare, ma come avremmo raggiunto quei punti è stato tutto frutto dell’improvvisazione, del riuscire a dialogare con lo strumento in mano. Chiaramente il massaggio di Giovanni Garoia è stato fondamentale! 

A livello di sound, il vostro disco d’esordio incorpora tanti generi diversi fra loro: dal desert rock al jazz. Ci sono stati degli artisti o dei brani che vi hanno ispirato durante la sua realizzazione? 

Tutto il nu jazz Londinese soprattutto Alabaster DePlume. Tutta la psichedelia a partire dal ’66 ma anche la neo psichedelia, primi fra tutti i Black Angels. Pietre miliari come i Talk Talk (Spirt of Eden), i Dirty Three (Whatever You Love, You are) e i Silver Mt. Zion (Horses In The Sky). Anche tutto il cantautorato anni ’70 nostrano ha avuto una grossa influenza su di noi: da De Andrè a Battiato, passando anche per Francesco Guccini e Lucio Dalla.

“Pergamena”, la traccia che chiude l’album è una tenera lettera d’amore rivolta a una persona molto amata. A chi è dedicata?

È una sorta di testamento emotivo rivolto ai miei figli. È molto difficile trovare il momento giusto per entrare in certi argomenti, proprio per questo l’ho trasformato in una canzone a cui potranno accedervi quando saranno pronti e ne avranno voglia.

Lasciamoci con un’ultima domanda: il tema portante del vostro disco sono le “profondità prive di gravità”. Qual è il significato racchiuso in questo concetto?

Tutto il disco è proteso verso l’alto. L’intento è quello di rappresentare il momento che precede la catarsi, quel movimento tellurico composto da tante forze che spingono in direzioni diverse che poi una volta placate si trasformano in un nuovo equilibrio. “Le profondità di gravità” sono il nuovo equilibrio.

a cura di
Luca Barenghi

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