Chiara Vidonis ci parla del suo nuovo album “La fame”

Chiara Vidonis ci parla del suo nuovo album “La fame”
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“La Fame” è il secondo album di Chiara Vidonis, parla di ciò che ci fa sentire vivi, di gioie ma anche di dolore e lo fa in modo autentico, senza veli

Chiara Vidonis ha all’attivo anni di concerti in tutta Italia, una serie di premi e riconoscimenti, tra cui la vittoria del Premio Bianca D’Aponte nel 2011 nella categoria “miglior interpretazione” e del Premio Pigro – omaggio a Ivan Graziani nel 2014 con il brano inedito “Comprendi l’odio”, oltre alla partecipazione all’album “Tregua 1997-2017– Stelle buone”, riedizione del primo album di Cristina Donà, “Tregua”, nella celebrazione dei 20 anni dalla sua uscita.

Ciao Chiara! C’è un legame fra i pezzi del tuo nuovo album “La fame”? Da cosa viene il titolo? 

Quando ho capito di avere le canzoni giuste per un secondo disco, mi sono chiesta cosa tutti questi brani avessero in comune e perché mi dessero la sensazione di essere tutti legati, anche se molto diversi tra loro. Non sapevo dare una risposta precisa, qualsiasi idea mi sembrava forzata, come spesso accade quando si prova a spiegare quello che è il frutto di un processo creativo, quasi sempre poco lucido.

Ho lasciato quindi che le mie canzoni mi parlassero di loro, le ho ascoltate cercando di essere distante,  come se fossero dei figli lasciati al mondo e quello che mi è venuto in mente subito sono state due semplicissime parole che al loro interno contengono un mondo: La fame.

La fame è quello che ci fa sempre procedere in avanti, è quell’ istinto che ci fa rispondere ai nostri bisogni più bassi ma anche a quelli più alti, la fame ci comanda e fino a che c’è la fame siamo vivi.

“La fame” sembra sottendere una necessità. Che ruolo ha avuto la pandemia? Ha in qualche modo reso ancora più necessaria l’uscita del disco? 

Sono entrata in studio per iniziare le registrazioni del disco a dicembre 2019, con l’intenzione di far uscire il disco nel 2020. Purtroppo ho dovuto riformulare più volte i piani, non c’era la possibilità di avere certezze, e onestamente la pandemia non ha reso nulla più necessario, anzi, mi sono dovuta spesso chiedere se davvero avevo le energie per affrontare la nascita di un disco in un contesto così complicato e condizionante.

Al di là della poesia che c’è dietro a un disco, ci sono anche tantissimi aspetti pratici ed economici che pesano e vanno pensati bene. La pandemia li ha resi ancora più difficili da sopportare. È stata dura ma alla fine il disco è uscito e ne sono molto felice.

È un album sicuramente introspettivo, “in direzione ostinata e contraria” rispetto a buona parte della musica contemporanea; dove ti collochi in questo panorama? Quali sono le tue influenze?

Non sento l’esigenza di collocarmi da nessuna parte. Faccio la musica che sento di voler fare senza chiedermi quali etichette mi verranno messe addosso. Cerco di scrivere sempre con onestà, chiedendomi se quella canzone sarà in grado di parlarmi anche tra vent’anni. Non voglio essere influenzata da una moda, da un momento.

“Io sempre ferma tu tre passi avanti”, questo verso di “Quello che ho nella testa”, cosa significa per te?

Significa che spesso non sono abbastanza furba, calcolatrice, rimango ferma mentre chi è più sgamato di me sta già un pezzo avanti.

Attualmente in che pezzo ti rivedi di più? Ce n’è qualcuno a cui ti senti particolarmente legata?

Mi sento molto legata a “era meglio quando non capivo niente”. È un brano molto sincero, scritto di getto in pochi minuti. Non a caso l’ho lasciato in chiusura del disco. Volevo chiuderlo in totale sincerità, mostrando il mio lato più debole forse, le mie fragilità.

a cura di
Letizia De Mase

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Letizia De Mase

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