Chiamami col tuo nome: amore prima di tutto
Negli ultimi anni si sente forte l’esigenza di vedere riconosciuti gli stessi diritti per tutti, oltre che la necessità di normalizzare l’esistenza di forme d’amore – romantico e non – differenti da quella patriarcale.
Per fortuna questa esigenza si è pian piano fatta strada, trovando voce anche all’interno dell’arte e dell’industria dell’intrattenimento. Non che questo tipo di rappresentazioni fossero totalmente assenti in passato, ma venivano spesso denunciate o creavano scandalo. Oggi, invece, hanno la capacità di entrare a far parte del mainstream, della cultura pop; o, per lo meno, non rimangono prettamente di nicchia. E molte volte, per fortuna, senza perdere di valore artistico, senza rafforzare vecchi stereotipi e inutili luoghi comuni.
Chiamami col tuo nome – un cult
Nel mondo cinematografico un film significativo è Chiamami col tuo nome, divenuto subito un cult; infatti, lo abbiamo tutti sentito nominare almeno una volta – e anche di più. Si tratta di un film in grado di normalizzare con una naturalezza disarmante l’amore tra due esseri umani – siano essi dello stesso sesso o meno.
Uscito nel 2017, diretto da Luca Guadagnino e con la sceneggiatura di James Ivory, è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del 2007 di André Aciman. Sin da subito ha riscosso un grande successo, ottenendo numerosi riconoscimenti quali tre candidature ai Golden Globe 2018 e quattro candidature ai premi Oscar 2018, uno dei quali è stato vinto da Ivory per miglior sceneggiatura non originale.
Il mondo visto dal riflesso degli occhi di Elio
Chiamami col tuo nome è ambientato in un paesino del nord Italia nell’estate del 1983, dove la storia ci viene raccontata non con gli occhi di Elio – il protagonista, interpretato da un giovanissimo Thimotée Chalamet – ma dal riflesso degli occhi di Elio. Infatti, non vediamo le vicende dal suo punto di vista, ma da un terzo punto di vista esterno che è in grado di reinterpretare e rielaborare ciò che vede Elio. Sentiamo ciò che lui sente perché siamo posti nella condizione di poterlo immaginare. Viviamo con lui e percepiamo le sue incertezze, i dubbi su se stesso, le sue paure, le sue emozioni. Ed è sempre dal riflesso dei suoi occhi che conosciamo Oliver, il ragazzo americano interpretato da Armie Hammer, che passerà l’estate con la sua famiglia.
I due si vedono per la prima volta a casa di Elio, al quale viene chiesto di accompagnare l’ospite nella sua stanza. Il primo incontro è frettoloso, veloce, si lascia quasi dimenticare. Ma pian piano vediamo come la presenza di Oliver diventi rilevante agli occhi di Elio. Scena dopo scena, veniamo proiettati nella sua mente, e possiamo percepire la confusione della ricerca che sta affrontando.
Due livelli: facciata e verità
Elio vive su due livelli: alla luce del sole ha una storia con una ragazza, Marzia, ma nel frattempo è alla ricerca della sua identità sessuale, cosa che lo porterà a trovarsi nel mezzo di una crisi. Noi vediamo la storia scorrere su entrambi i livelli: quello di facciata – ovvero la maschera, ciò che la società accetta – e la ricerca, la verità – ovvero i sentimenti da lui provati per Oliver, la sua paura di non essere ricambiato.
Questa verità è lentamente compresa e accettata anche dai genitori del protagonista, i quali hanno una mentalità sorprendentemente aperta rispetto al periodo in cui vivono; gli anni ‘80, infatti, sono anni in cui il tabù dell’omosessualità si fa sentire particolarmente forte nella società, anche a causa del dilagare dei casi di Aids e della cattiva informazione al riguardo.
Un legame che cresce tra musica, rumori e silenzi
Con il proseguire della storia, nuotiamo nei silenzi posti tra una scena e l’altra; la musica non sovrabbonda mai, al contrario lascia spazio ai pensieri di Elio e alla visibile confusione delle sue emozioni. I rumori dell’ambiente esterno hanno particolare peso e rilevanza; l’andatura è lenta e strascicata come un afoso pomeriggio estivo nella calda pianura padana.
Sempre lentamente, vediamo la loro relazione svilupparsi e cambiare, diventare più profonda; la viviamo con Elio. È resa chiara la loro paura di essere scoperti, il loro tentativo di non far succedere ciò che entrambi vorrebbero succedesse, il modo in cui finalmente cedono e si lasciano andare ai sentimenti. Si lasciano andare tanto da fondersi. Tanto da vederli diventare uno. Due esseri talmente legati e imprescindibili l’uno per l’altro da non poter più distinguere chi è chi: “chiamami col tuo nome, e io ti chiamerò col mio”.
L’umanità dei sentimenti prima di tutto
In tutto ciò, il regista decide di non soffermarsi sulla percezione sociale del loro rapporto, bensì va oltre. Non si ferma a sottolineare quanto i rapporti omosessuali siano talvolta mal visti; l’importanza prima è posta sul lato umano: i sentimenti provati dai due, la bellezza del loro singolare e speciale rapporto e l’irrazionalità che lo conduce.
Infatti, guardando il film, la cosa più naturale da pensare è quanto sia bella e al contempo dolorosa la loro storia – così come potrebbe esserlo quella di chiunque altro posto nelle loro stesse condizioni. Lo stesso Guadagnino dice: “non capisco perché Chiamami col tuo nome si debba definire un film a tematica omosessuale o appartenente al genere LGBTQ. È solo la storia di due persone”.
Verso la conclusione: dolore, gioia e scoperta di sé
Dunque, il racconto di questo film ci insegna quanto il viaggio alla scoperta di sé sia un connubio di gioia e dolore: crescere comporta anche la sofferenza e l’accettazione di vivere certe esperienze che, per quanto uniche e rare, non sempre possono durare; la loro storia è un fiore che viene strappato nello sbocciare della sua nascente vita. È un dolore lacerante che priva alla felicità dei due di proseguire il suo corso.
Talvolta sembra che alcuni accadimenti abbiano il solo scopo di farci soffrire: se non possiamo essere felici perché siamo impossibilitati a mantenere i legami più rari e speciali, che senso ha? Probabilmente non c’è risposta; anche se questo film sembra suggerirci che servano a farci crescere, ad imparare a conoscerci ed essere chi ci sentiamo di essere, a vivere le esperienze fino in fondo – con tutta la gioia e tutto il dolore che le avvolge.
Sono suggerimenti che riscontriamo nel famoso e toccante discorso finale del padre di Elio, il quale sottolinea il fatto che è necessario accettare e attraversare il dolore per poterlo superare.
Esorta inoltre il figlio a non tentare di smettere di provare emozioni solo per la paura di provare dolore; lui stesso ammette di invidiare Elio, poiché nel corso della sua vita è andato vicino a vivere qualcosa di simile, ma si è sempre fermato prima. Nasce spontanea la domanda: starà facendo coming out? Forse sì, ma importa davvero? Il messaggio, infondo, è quello di vivere a pieno i propri sentimenti e avere il coraggio di essere chi ci si sente di essere, indipendentemente dalle categorie e dalle etichette in cui veniamo riconosciuti.
a cura di
Gaia Barbiero
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