Medicine at Midnight: i Foo Fighters abbandonano la comfort zone?

Medicine at Midnight: i Foo Fighters abbandonano la comfort zone?
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Anziché fare un altro album per adulti, ho pensato: “Fanculo, facciamo un album da festa!” (Dave Grohl)

A quasi quattro anni di distanza da Concrete and Gold, tornano i Foo Fighters con il loro decimo album di inediti, Medicine at Midnight, uscito il 5 febbraio 2021 per Roswell/RCA Records.

Il nuovo disco, anticipato dalla pubblicazione dei singoli Shame Shame, No Son of Mine e Waiting on a War, è stato registrato in una vecchia abitazione affittata ad Encino (California) ed è stato prodotto dalla band e da Greg Kurstin (in passato, produttore di Liam Gallagher, Beck e Red Hot Chili Peppers).

Nonostante i brani mantengano soltanto in parte i classici ingredienti che hanno contraddistinto il sound dei Foo Fighters nel corso degli anni, il nuovo lavoro di Dave Grohl e soci delinea un nuovo percorso stilistico della band che, fin dall’uscita del primo singolo Shame Shame, ha diviso i fan in due tifoserie contrapposte: una accogliente e una decisamente nostalgica, ancorata alle sonorità originarie.

Del resto, non c’è da stupirsi: nove tracce inequivocabilmente pop, caratterizzate da infiniti loop di batteria, linee melodiche dal sapore funk ed un forte orientamento alla dance music.

Un album “pieno di inni e grandissimi brani da cantare”

Lo ha dichiarato Grohl stesso, intento a celebrare solo parzialmente i venticinque anni di carriera della band americana in quanto l’attuale pandemia ha stravolto tutti i piani del gruppo di suonare dal vivo nei maggiori festival mondiali.

Una festa rimandata nel prossimo futuro? Assolutamente no. Medicine at Midnight non rientra nella tipologia dei concept album ma racchiude una tematica centrale, ridondante quanto ossessiva, che si dispiega nei testi di ogni singolo brano: “chi vuol esser lieto, sia; del doman non v’è certezza”.

E li immagino così i buoni vecchi Foo Fighters, in un gigantesco Carnevale Covid-free, a bordo di distopici carri allegorici che ci invitano a raggiungerli nelle loro desert sessions tra coriandoli, stelle filanti e consumazioni omaggio. D’altronde, il deserto non è nient’altro che una distesa di zucchero di canna.

Making a Fire

Are you afraid of the dark?
I know a place we can start

Se non riesci ad abbandonare la comfort zone, almeno organizza un party. È con questo mood che i Foo Fighters ci accolgono nel nuovo disco. Un power pop capace di coinvolgere per la sua positività, sostenuto da cori gospel intonati da voci femminili. Curiosità: nei cori è presente anche la figlia quattordicenne di Dave, Violet Grohl, più volte ospite sul palco insieme al padre nei concerti della band.

Shame Shame

If you want to
I’ll make you feel something real just to bother you

Acido, malinconico e cinematografico. Le chitarre sono in secondo piano e lasciano la scena ad un groove di batteria serrato ed ipnotico. Un brano di denuncia, tra i più interessanti del disco nonostante utilizzi un bridge come ritornello. La ninnananna introspettiva, capace di stringerti in un abbraccio prima di dormire.

Cloudspotter

Big baby running high
Hope it don’t sting when the feeling dies

Cowbell, percussioni ed una curiosa combinazione tra pop e dance music che esplode nel ritornello. Il brano giusto per chi torna a casa con le tasche vuote, sereno e deluso allo stesso tempo per aver rischiato tutto nell’ultima storia d’amore. Quella non convenzionale, s’intende.

Waiting on a War

Fell in love with a voice on the radio
Is there more to this than that?

Una ballad acustica che presenta un forte crescendo nella parte finale del brano, talmente accentuato e potente da far ricredere i fan di lunga data. La tensione di ritrovarsi in un imminente conflitto bellico e la paura di vivere in un incubo senza fine hanno ispirato la scrittura di un brano ruvido ma, al contempo, ricco di speranza e prospettive per un futuro migliore.

Medicine at Midnight

Ever get the feeling nothing else will do
I could hear you singing, painting her blue

Title-track azzeccata dalle sonorità anni ’80. Ballabile e genuina con atmosfere da saloon, camicie a quadri e toro meccanico. Le medicine non sono una cura bensì il miglior palliativo per non elaborare mai le nostre questioni irrisolte: meglio uno Xanax oggi o una paturnia domani?

No Son of Mine

No son of mine will ever do
The work of villains, the will of fools

Quattro quarti dritti e frenetici, riff di chitarra portanti ed aggressivi, un rullante che ti entra in gola e ti mette seduto ogni volta che ti vuoi alzare. Chiari riferimenti alle sonorità che da sempre hanno plasmato il sound della band. Non è un caso che sia stato concepito come un tributo a Lemmy Kilmister dei Motörhead, amico fraterno di Grohl, più volte citato in varie interviste. Un brano che condanna l’ipocrisia di chi è al potere, crudo quanto efficace.

Holding Poison

I got this thing and I’ve been taking it out on you
Taking it out on you, oh you

Quattro minuti e ventidue di tiepida ossessione psichedelica. Un melting-pop sonoro che ripercorre il repertorio e la storia della band. Una sorta di copia-e-incolla in versione 2.0 che, se da un lato spinge con violenza sul pedale dell’acceleratore, contemporaneamente inibisce l’ascolto per via del freno a mano tirato con fermezza.

Chasing Birds

Chasing birds to get by
I’m never coming down

Seconda ballad del disco, introspettiva e serena, impreziosita da synth e fraseggi ritmici che ricordano le atmosfere anglosassoni del brit-pop. Attimi di tenerezza in un giorno qualunque.

Love Dies Young

Love’s so dumb, so what’s the fascination?
Leaves you numb with a nasty reputation

L’epilogo, ultima traccia del disco che ci accompagna al termine della festa. Si accendono le luci e non ci riconosciamo più. Un brano pop, estremamente pop, che concettualizza, senza tanti giri di parole, quanto la fine di un avvenimento sia solamente l’inizio di un nuovo percorso.

Medicine at Midnight: alla fine, com’è?

Un album differente dai precedenti, camaleontico, capace di segnare l’anno zero di una delle band generazionali più significative degli ultimi decenni. Un disco impegnato e leggero allo stesso tempo, declinato in una chiave di lettura immediata dove la rabbia e la frustrazione non sono più innalzate come un muro per trincerare la propria sensibilità bensì come uno strumento per accettare il presente e reagire.

Nonostante apprezzi il tentativo intelligente dei Foo Fighters di cavalcare l’onda del mainstream senza mai esserne vittime e risultare scontati, ritengo che la band abbia perso il lustro delle pubblicazioni passate e sia maggiormente in grado di intrattenere il pubblico piuttosto che coinvolgerlo.

a cura di
Edoardo Siliquini

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