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The Four Seasons è una sorprendente miniserie uscita su Netflix il primo maggio 2025, creata da Tina Fey, Lang Fisher e Tracey Wigfield. Ispirata al film omonimo del 1981 diretto da Alan Alda, la serie racconta la storia di tre coppie di amici di lunga data che condividono la vacanza in ciascuna stagione dell’anno.

The Four Seasons cattura il pubblico con la sua personalità fuori dagli schemi, un mix di realismo e black humor travestito da commedia. Inizialmente può sembrare una visione leggera, ma dietro la spensieratezza si nasconde una fotografia amara e veritiera della vita, espressa senza filtro alcuno. Un’analisi vincente della condizione umana, con una punta di ironia che ne esalta la forza.

Trama

La serie, composta da otto episodi, è una commedia drammatica che reinterpreta il film omonimo del 1981 di Alan Alda. Segue le vicende di tre coppie di amici storici che da anni si ritrovano a trascorrere le vacanze stagionali insieme.

La loro armonia viene sconvolta quando una delle coppie, Nick (Steve Carell) e Anne (Kerri Kenney-Silver), si separa, e Nick si presenta ai successivi incontri con Ginny (Erika Henningsen), una nuova compagna molto più giovane. Questo evento innesca tensioni e riflessioni profonde (anche personali) all’interno del gruppo, mettendo alla prova le relazioni e le dinamiche consolidate nel tempo.

Musica e fotografia: una dissonanza voluta

Uno degli aspetti più affascinanti della serie è proprio l’uso della musica, che sembra volutamente stonare rispetto a ciò che accade in scena: accompagna i momenti con profondità emotiva quasi in contrasto con la leggerezza e “normalità” di ciò che si vede. Questo crea una sottile tensione nello spettatore, una sensazione indefinibile che mette sull’attenti, come se qualcosa, sotto la superficie, non andasse davvero per il verso giusto. È un effetto studiato, che rompe l’armonia apparente e aggiunge spessore alla narrazione.

La fotografia, invece, è un inno al cambiamento. Ricostruisce con cura i paesaggi delle quattro stagioni, che diventano metafora visiva delle stagioni della vita: primavera, estate, autunno, inverno. Ogni episodio riflette il tono emotivo e simbolico del momento dell’anno in cui è ambientato.

Ed è proprio questo il cuore della serie: ogni stagione segna una trasformazione, perché l’essere umano è costantemente in evoluzione. L’anno che passa è, in fondo, un anno che cambia le persone. E The Four Seasons lo racconta con una delicatezza visiva rara.

Personaggi comuni, complessità reali

Ogni personaggio di The Four Seasons sembra costruito con una cura particolare, come se ognuno fosse stato scolpito con pazienza e realismo. Non ci troviamo davanti a esistenze fuori dal comune, né a drammi eclatanti: al contrario, sono persone normali, amici di lunga data che vivono vite serene, quasi ordinarie.

È solo quando lo spettatore inizia a guardarli da vicino, come se li mettesse sotto il microscopio, che la superficie si incrina e la complessità emerge. Le dinamiche iniziano a mutare, i rapporti si rivelano per ciò che sono: umani, imperfetti e mutevoli.

Non si tratta di relazioni perfette o idealizzate (sia in amore che in amicizia) ma di quelle che ci si augura nella vita reale, costruite con impegno, segnate dal tempo, dalla stanchezza, dalla riscoperta. In questo senso, The Four Seasons riesce a porre domande profonde, quasi senza farle: cos’è l’amore, davvero? cosa si è disposti a fare per ritrovarsi?

La disponibilità emotiva in azione

Ciò che colpisce in The Four Seasons è anche la maturità con cui i personaggi affrontano i momenti difficili: non reagiscono con isterie o fughe plateali, ma con dialoghi, confronto, ascolto. Le loro reazioni sono di una compostezza che sorprende e che al tempo stesso consola. È come se la serie raccontasse la vita reale mentre accade, e riuscisse a farlo con una naturalezza tale da sembrare quasi educativa, non nel senso didascalico del termine, ma nel modo in cui ti lascia, alla fine, con una riflessione profonda e silenziosa sul senso dell’esistenza.

Black Humor e morte (SPOILER ALERT)

Una delle caratteristiche più affascinanti di The Four Seasons è la sua capacità di trattare temi dolorosi, come la morte di uno dei protagonisti, con un mix di ironia e pena. Il tono da black humor permea la serie, e la morte viene presentata in maniera così surreale e comica che il pubblico rischia quasi di non rendersi conto della gravità della situazione. È una morte che non interrompe la vita, ma la attraversa, mostrando come anche il dolore possa essere metabolizzato attraverso l’amicizia, il tempo e persino l’umorismo.

La decisione di inserire questo elemento non nasce dalla volontà di scioccare, ma piuttosto dal desiderio di raccontare la vita nella sua interezza, anche quando fa male: Tracey Wigfield e Lang Fisher hanno spiegato che questa scelta narrativa è nata dalla volontà di rappresentare le sfide reali della mezza età, come malattie e lutti, per conferire alla serie una maggiore autenticità emotiva.

Ecco perché la serie riesce a farti riflettere senza mai abbandonare quel tono leggero e disincantato che la contraddistingue. È come se ti dicesse: “sì, succede davvero ed è proprio così che succede”.

Se non lo avete ancora fatto, andate a vedere The Four Seasons. È una serie che vi lascerà addosso molto più di quanto possiate immaginare. Ma attenzione: la sorpresa più grande, quella che per assurdo davvero spiazza, arriva proprio negli ultimi istanti dell’ultimo episodio. Un finale che ti fa restare in silenzio, con lo sguardo fisso e mille domande in testa. E a quel punto non puoi fare altro che sperare: ci sarà una seconda stagione? Noi incrociamo le dita.

a cura di
Michela Besacchi

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