“Tokyo Simpathy Tower”, il romanzo della discordia

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Tokyo Simpathy Tower, di Rie Qudan, è un romanzo intenso che affronta tematiche sociali complesse e attuali. Ma allora perché è stato circondato da polemiche?

Il 10 aprile è approdato in Italia, edito da Ippocampo, Tokyo Sipathy Tower, di Riu Quedan. L’autrice, che sarà ospite al Salone Internazionale del Libro di Torino, ha fatto scalpore quando in occasione della vincita del premio Akutagawa, ha dichiarato di aver scritto il 5% del suo libro con l’aiuto di un Intelligenza Artificiale. Alcuni potrebbero storcere il naso ma per capire perché, secondo me, è stata una scelta vincente è necessario addentrarsi all’interno della storia narrata.

Una prigione da costruire

Il romanzo segue la storia di un’architetta Makina Sara impegnata a progettare una torre prigione destinata ad ospitare alcuni criminali, gli homo miserabilis. Entriamo nella sua mente in cui i pensieri si susseguono come un fiume in piena. Vediamo stralci del suo passato, il suo modo di ragionare e insieme a lei riflettiamo sul linguaggio, sul lavoro e sugli uomini.

L’altra voce narrante è quella del suo amante, di quindici anni più giovane: Takuto. Un ragazzo di bell’aspetto che accompagna l’architetta durante un periodo fondamentale per la creazione del progetto.

Due voci differenti, due visioni diverse del mondo, due modi di pensare completamente diverse che però servono a farci capire l’importanza che la Torre avrà per Tokyo e per il mondo.

Può un libro, in sole 144 pagine, sconvolgere il lettore portandolo a riflettere su tematiche come: la giustizia, il linguaggio, il rapporto con le macchine e la diseguaglianza sociale? Sembrerebbe impossibile ma Rie Qudan è riuscita nell’impresa.

Homo miserabilis vs homo felix 

Perché le persone si macchiano di crimini? La responsabilità è del singolo individuo o della società?

Questa riflessione è uno dei temi cardini del romanzo. L’autrice immagina un saggio, scritto da sociologo Masaki Seto, intitolato Homo Miserabilis: degno di empatia. Questo testo, che sta alla base dell’idea dietro la creazione della Torre/Prigione di lusso, teorizza la distinzione tra homo miserabilis e homo felix che va a “ridefinire il concetto di criminale”. Per Seto, l’homo miserabilis, è una vittima della società e, per questo motivo, dovrebbe ricevere un trattamento diverso da quello riservato all’homo felix.

[…] Senza una felicità da proteggere commettere un crimine diventa molto più facile. Se non riesci a immaginare la felicità degli altri, come puoi pentirti di sottrargliela? In altre parole, prima di essere “criminali” sono loro stesse le “vittime”.

L’autrice usa questo espediente narrativo per far riflettere il lettore sull’etica della prigionia e sull’influenza dell’ambiente nelle scelte di vita del singolo.

Ma è giusto “ricompensare” i criminali offrendo loro una vita nel lusso, in un luogo esclusivo? Non si rischia che qualcuno decida di commettere dei reati soltanto per poter entrare nella Torre?

Photo © SHINCHOSHA
Photo © SHINCHOSHA
Una moderna torre di Babele

Il romanzo si apre proprio con un riferimento alla Bibbia.

Una nuova torre di Babele. La costruzione della Simpathy Tower di Tokyo finirà per confondere le lingue allontanando le persone. […] Abbiamo abusato del linguaggio, lo abbiamo plasmato, teso,filtrato a nostro piacimento, col risultato che nessuno capisce più nessun altro.

Proprio il linguaggio e l’incapacità di capirsi, nonostante si parli la stessa lingua, sono uno dei temi principali del romanzo. Perché sembra impossibile capire cosa vuole dire un’altra persona? Forse il problema non è la lingua ma l’incapacità che abbiamo di ascoltare. Sommersi da continui stimoli e pensieri rischiamo di non capire quello che gli altri ci vogliono comunicare.

Lo stesso nome scelto per la torre Tokyo Simpathy Tower non convince la protagonista del romanzo, che fatica a iniziare il progetto proprio per l’appellativo scelto. Lo paragona a uno stupro, di cui lei stessa è stata vittima appena adolescente. Perché chiamare una cosa che diventerà un simbolo per il Giappone con un nome inglese?

Il fatto è che i giapponesi vogliono disfarsi della propria lingua.

Le cose diventeranno più facili, per Makina, quando Takuto la ribattezzerà Tokyo-to Dojo-to. La torre dell’empatia di Tokyo.

Un nome che ha lo stesso significato di Tokyo Simpathy Tower, eppure suona in modo totalmente diverso.

I nomi non saranno sostanza , ma sono fatti di parole e la realtà parte sempre dalle parole.

E così, grazie a questi pensieri sulla lingua e sul linguaggio la torre prende vita e nel 2030 si staglierà nel cielo di Tokyo. Amalgamandosi con il paesaggio e diventando un luogo di aggregazione nel cuore di Shinjuku.

La riuscita di tutte queste riflessioni, in italiano, è merito della traduttrice Gala Maria Follaco che ha scelto di mantenere nel testo i kanji, i katanka e inserire le pronunce e le traduzioni accanto ai caratteri giapponesi. Se avesse optato per tradurre le parole (a partire da Tokyo-do Dojo-do) il romanzo avrebbe perso parte del suo senso.

Da accanita lettrice di letteratura asiatica, spesso bistrattata nelle traduzioni, ho apprezzato il lavoro che è stato fatto su questo libro.

L’intelligenza artificiale

Uno dei protagonisti di Tokyo Simpathy Tower è, senza ombra di dubbio, l’Intelligenza Artificiale. Makina, infatti, in più di un’occasione si rivolge ad un AI Built. All’inizio per avere delle risposte ma, con il passare delle pagine, imposterà anche una sorta di dialogo. L’architetta, infatti, in più di un’occasione “punzecchia” l’intelligenza artificiale dal momento che, essendo una macchina, non è in grado di mettersi in dubbio e quindi non ha possibilità di crescita. Vuole riuscire a far sorgere un dubbio in lei.

Qudan ha dichiarato, quando ha ritirato il premio Akutagawa, di aver usato un intelligenza artificiale per scrivere il 5% del romanzo. Questo ha suscitato molte critiche ma, secondo me, si è rivelata una scelta vincente. La scrittrice si è servita di ChatGpt per scrivere le risposte che l’IA fornisce a Sara Makina. In questo modo il dialogo risulta più reale e realistico. Vediamo da una parte una donna e dall’altra una macchina. In questo senso ha svolto un lavoro magistrale.

Tokyo Simpathy Tower è un romanzo a metà tra il distopico e l’utopico. Non sappiamo come andranno le cose nel futuro ma in poche pagine Rie Qudan ci offre numerosi spunti di riflessione. Leggere un’opera di questo non è semplice perché mette nero su bianco diverse questioni sociali e lo fa in un modo totalmente nuovo. Rie Qudan non ci fornisce risposte ma ci pone numerose domande che si agiteranno nella testa di chi legge.

Ma non è forse questo lo scopo della letteratura? Muovere la mente del lettore e spingerlo a riflettere su aspetti che, forse, senza una spinta passerebbero in secondo piano.

a cura di
Laura Losi

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di Laura Losi

Laura Losi è una piacentina classe 1989. Si è laureata in Giornalismo e Cultura Editoriale presso l’Università degli Studi di Parma con una tesi sulla Comunicazione Politica di Obama. Avrebbe potuto essere un medico, un avvocato e vivere una vita nel lusso più sfrenato, ma ha preferito seguire il suo animo bohemien che l’ha spinta a diventare un’artista. Ama la musica rock (anche se ascolta Gabbani), le cose da nerd (ha una cotta per Indiana Jones), e tutto ciò che riguarda il fantasy (ha un’ossessione per Dragon Trainer). Nel 2015 ha pubblicato il suo primo romanzo “Tra le Rose” e a breve vedrà la luce anche la sua seconda fatica, il cui titolo rimane ancora avvolto nel mistero (solo perché in realtà lei non lo ha ancora deciso).

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