Ho letto e amato diversi libri curati da Eleonora Daniel, e ho partecipato a diversi eventi in cui presentava i romanzi della casa editrice per cui lavora come caporedattrice, Accento Edizioni. Non avevo mai letto, invece, i suoi racconti – se non alcuni frammenti – ed ero perciò molto curiosa quando qualche mese fa è stato annunciato il suo esordio letterario per Bollati Boringhieri, La polvere che respiri era una casa, e non mentirei se dicessi che già con il titolo (e con la copertina) si era aggiudicato il mio acquisto al day one il 24 gennaio passato.
Naturalmente non conosco Eleonora, ma dalle storie che ha curato e dal modo in cui comunica è molto chiara la perizia e la precisione nello sviscerare anche i temi più banali, il modo di arrivare al cuore delle cose più semplici, in maniera mai scontata. Spesso perdiamo il focus sul fatto che il come diciamo o narriamo una cosa cambia in maniera siderale il cosa.

Una casa, due storie
La storia di La polvere che respiri era una casa in effetti è apparentemente molto semplice: due ragazzi che si conoscono, e si amano, decidono di comprare una casa e di abitarla. La vedono crescere nel momento in cui è ancora cantiere e polvere, ne sognano gli interni e quando, finalmente, la possono abitare, ne adattano simmetrie, mobilio, piante.
La casa è descritta come un corpo vivo, la cui struttura è lo scheletro e gli abitanti sono le interiora che lo tengono vivo, crescono, cambiano e si adattano vicendevolmente. Sono due persone molto diverse, carattere tranquillo lui, più impetuosa lei, ma il loro incastro sembra funzionare a tal punto da desiderare di allargare quel corpo. Di desiderare, dunque, un figlio.
Decisioni dure
La decisione razionale e di comune accordo non rispetta purtroppo, come spesso accade, quella della biologia: lei non può avere figli, ma non sa come dirlo al compagno che anzi, entusiasta, ha progettato uno splendido omaggio per il nascituro. Un libro composto di quattro racconti che dovranno essere composti a quattro mani dai due genitori – che non lo saranno mai. Questo mancato concepimento sarà l’inizio della fine della relazione, che prenderà una piega inaspettata da entrambe le parti.
La forza della creazione letteraria
E dove sta la peculiarità di una storia che accade a milioni di coppie? Laddove una recensione arriva fino a un certo punto; cioè nella creazione letteraria. Anzitutto la grande metafora della casa, che è il contenitore della storia e ne diventa poi la tomba, il linguaggio stesso che la costruisce, gli elenchi serrati di oggetti, di elementi. Il fatto, poi, che Daniel crei una lingua in cui si passa in maniera abile e vertiginosa dalla terza persona plurale al “noi”, creando un effetto straniante ma alquanto singolare, per poi tornare definitivamente alla terza persona nel momento della rottura. Nonché la creazione metaletteraria: due dei racconti del libro che sarebbe dovuto esistere per loro figlio, Erba e Acqua, prendono vita con le parole della protagonista femminile. Abbiamo quindi modo di leggere anche due squisiti racconti nel racconto.

Non si esagera quando si dice – prima di me lo hanno fatto tante persone molto più autorevoli – che Daniel ha inventato una lingua letteraria nuova: è qualcosa di inedito e inaspettato, che spinge ad andare molto oltre una superficie semplice. Qualcosa in cui specchiarsi, o forse sarebbe più indicato dire decostruirsi e ricostruirsi, proprio come la sua prosa fa con ogni elemento della realtà.
E’ il come, non il cosa, si diceva più sopra. Un esercizio quotidiano che gioverebbe molto a tutti noi, nella narrativa come nella vita di tutti i giorni.
a cura di
Martina Gennari
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