Il 25 novembre tutti i giorni è una di quelle frasi che, da quando è stata istituita questa giornata in ricordo della violenza sulle donne, campeggia su tutti i social.
Gap generazionale
Uno degli aspetti più belli dell’attuale periodo storico è la comunicazione. La gente comunica, i media svolgono il loro ruolo (non sempre perfettamente, ma ci stiamo lavorando) affinché certe notizie non passino inosservate, anzi su alcune il rumore mediatico è talmente tanto che diviene quasi molesto, seppur necessario.
Da qui anche la nascita del 25 novembre e del dare importanza al problema della violenza sulle donne. Quando ero una ragazzina ci si confrontava con gli amici, ma sempre mantenendo un riserbo misto a vergogna e a un “così va la vita” che ci inculcavano sin da bambini.
Ma la vita non va necessariamente così, non deve andare così come l’ho vissuta io: passivamente. Il 25 novembre era un giorno come un altro.
Alcune cose di questo editoriale o memoriale potrebbero essere triggeranti, vi avviso così da darvi modo di scegliere altro da leggere.
La violenza assistita
Uno dei primi ricordi che ho, che non includono la mia migliore amica, anche lei figlia di un femminicidio mancato, è quello con un ex fidanzatino.
Quel giorno avevamo marinato la scuola e stavamo discutendo su come ci sentivamo, di cosa ci spingeva e soprattutto spingeva me a comportarmi come mi sono comportata per tutta l’adolescenza.
La violenza casalinga negli anni 90 era all’ordine del giorno per molte famiglie e l’omertà figlia dell’ignoranza celata dietro a frasi maschiliste e patriarcali sottolineavano quanto le donne dovevano subire e quanto ciò fosse normale a quei tempi.
Ricordo vividamente la frase del mio ex fidanzatino “Odio mio padre perché alza le mani su mia madre”. Era un maschio aveva il potere di contrastare l’autorità paterna con pari forza, almeno in teoria, ma nella pratica era sottomesso a quella autorità che tutto poteva e voleva.
Ho subito per prima la violenza assistita, definita dal Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia) come
“il fare esperienza da parte del/la bambino/a di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori”.
Vi invito a dare una lettura più approfondita all’articolo che troverete qui redatto da Save the children, per avere un quadro più chiaro su cosa sia la violenza assistita.
Quindi quella violenza gratuita che uno dei due genitori ha nei riguardi dell’altro genitore (nda genitore 1 vs genitore 2 o viceversa così facciamo contenti quelli al Governo). Che sia psicologica, verbale o fisica purtroppo in pochi danno peso a quello che comporta ai fini della crescita. Essere figli di femminicidi mancati fa schifo.
Femminicidi mancati
Accordatemi il termine “fa schifo” perché è quello che meglio identifica e descrive la situazione. Per fortuna e lo dico onestamente siamo in pochi (questa è la mia speranza) a sapere cosa significa smettere di stimare chi hai amato incondizionatamente.
Fa schifo dover soccorrere tua madre in lacrime o vederla perdere i sensi. Fa schifo ricordare le parole sminuenti, il rumore degli schiaffi, del mobilio sbattuto per aria. Collegare la faccia di tuo padre (il mostro) ai buchi nelle porte delle stanze dove tua madre si rifugiava per non avere ulteriori botte.
Ricordare quella sera quando una madre giovane, ma vecchia dentro, chiese a noi il permesso di separarsi. Fa schifo ricordare le tue unghie affondare nel collo di tuo padre per separarlo da tua madre mentre la stava soffocando.
Di ricordi si muore lentamente
Fa schifo l’amore che lei ha avuto per lui e il ricordo di quella tarda serata in cui stavamo morendo per mano di un uomo violento impunito dalla giustizia, perché mia madre, se ha commesso un errore, è stato proprio quello di non averlo denunciato.
Ricordo vividamente l’auto, il sapore salato delle lacrime. Il peluche stretto al petto e la domanda che mi usciva dalle labbra “Perche?”. Un perché che dentro conteneva altri mille perché. Domande che ad oggi dopo 27 anni sono ancora senza risposta.
L’auto che sbanda e lui che ci insegue, prova a speronare l’auto di mia madre, il terrore che si impadronisce di noi che cercavamo di essere tutti più grandi di quello che in realtà eravamo. Ricordo l’arrivo a casa dei nonni. Il campanello di parenti attorno a mia madre livida e ferita fuori e dentro.
Ricordo un collega del mostro sussurrare a mia madre “Perché non lo denunci?” e mia madre scuotere il capo “Non voglio rovinargli la carriera, non voglio che le figlie lo ricordino cosi”. La parte ridicola? La polizia l’aveva chiamata lui.
Sì, perché negli anni 90 esisteva una legge per cui chi abbandonava il tetto coniugale poteva avere problemi giudiziali. Sì, avete letto bene, una assurdità che, se fosse esistita oggi avrebbe probabilmente triplicato il numero dei femminicidi in Italia.
Il mostro è tornato
Scrivere di questi ricordi è l’ennesima pugnalata, mi sono rotta 27 anni fa e ancora non mi sono aggiustata, pensavo di averlo fatto, di essere riuscita a superare quella violenza assistita, ma la realtà dei fatti è ben altra. Scrivo per essere vicino a tutti i figli che hanno subito ciò.
Scrivo in anonimo, perché in mancanza di denunce fatte da mia madre in occasione di ogni violenza, ad oggi, rischio la querela da parte del mostro. Il mostro che dopo ha continuato a procreare e ha inculcato nella prole una educazione sbagliata, maschilista, patriarcale e ignorante. Non è colpa della prole, sia chiaro, si è quel che si viene spinti ad essere e se non si è intelligenti da opporsi c’è poco da fare.
Il mostro dopo 27 anni è tornato ancora una volta a far male e a pretendere ciò che non gli appartiene, perché convito che bastino pochi euro mensili per pulirsi la coscienza.
Come se i soldi fossero la cura per ogni cosa o siano sufficienti a sopperire la mancanza della figura paterna o quell’amore che millanta di avere per chi ha abbandonato e mai più cercato.
Il 25 novembre deve essere tutti i giorni?
La realtà dei fatti è diversa. Ho avuto una madre che ha sempre spinto affinché non perdessimo i contatti, ci ha costretto ad andare a casa dei parenti di lui dove parlavano male di lei, lei che non ha avuto alcuna colpa se non quella di essere sopravvissuta.
Ci ha costretto a presenziare ai funerali dei suoi parenti per rispetto. Non so quale rispetto se non quello che noi proviamo nei riguardi di una donna che è morta dentro 27 anni fa quando ha decido di ribellarsi e che ad oggi vedo di nuovo distrutta ad affrontare questo nuovo dolore che le viene inflitto, questa nuova ricomparsa prepotente.
Devo tutto a mia madre seppur mai le perdonerò di non aver denunciato. Se sei vittima di violenza ti prego denuncia fallo per te e per chi verrà dopo di te. E sì, rispondendo alla domanda: il 25 novembre dovrebbe essere ogni giorno per tutte le donne morte, per quelle sopravvissute e per chi purtroppo ha subito passivamente la violenza.
a cura di
Redazione
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