“A thousand Knives” di Ryuichi Sakamoto
Fuori dal contesto che l’ha reso celebre in tutto il mondo, Ryuichi Sakamoto nasconde una carriera ben più ampia e sfaccettata. Oggi analizzeremo il primissimo tassello che ha dato il via alla lunga carriera del musicista e compositore giapponese attraverso il suo primo EP: “A thousand Knives”
Tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta di Ryuichi Sakamoto, noto per essere stato uno dei più grandi compositori di colonne sonore in Giappone e a livello internazionale.
Nella sua lunga carriera lo troviamo accostato a registi di fama mondiale come Bernardo Bertolucci, per cui ha composto la colonna sonora de “L’ultimo imperatore” e “Il tè nel deserto“, Pedro Almodovar o, guardando in casa propria, i pluripremiati Oshima Nagisa e Hirokazu Kore’eda.
Pochi però conoscono l’opera di Sakamoto al di fuori del contesto cinematografico nonostante sia riconosciuto tra i cultori del mondo musicale come uno dei pionieri della musica elettronica.
Tra la sua band “Yellow Magic Orchestra” e i suoi lavori da solista, Sakamoto presenta decine di album tutti da scoprire, oggi però mi preme introdurvi alla sua visione musicale e non credo ci sia modo migliore di farlo se non partendo dal suo primo EP: “A thousand Knives“.
A Thousand Knives
Pubblicato nel 1978, “A Thousand Knives” (千のナイフ)segna il debutto solista di Sakamoto e la sua importanza non risuona tanto a livello qualitativo in quanto primo EP di un’artista che pubblicherà poi decine di altri lavori, quanto per la testimonianza artistica che lascia.
L’approccio fortemente sperimentale e la curiosità e la competenza con cui si tuffa fin da subito in generi anche lontani dal suo contesto sociale, tra i quali il jazz e la musica elettronica che non hanno sicuramente le proprie radici piantate nella cultura giapponese rendono l’EP un importante manifesto della grandezza della carriera di Sakamoto.
Detto ciò l’album non è sicuramente un capolavoro, come ci si potrebbe aspettare da un primo lavoro sperimentale; gli spunti sono sicuramente interessanti e per la maggiore efficaci, ma sono altrettanti i momenti in cui la sperimentazione sfugge di mano e si trasforma in qualcosa di controverso o addirittura disomogeneo.
I brani
L’album inizia dal brano omonimo, “Thousand Knives”, aperto da una serie di suoni fortemente robotici che sembrano mimare parole poco intellegibili. Subito a seguire un abile intreccio di strati di suoni sintetizzati che creano un paesaggio sonoro molto futuristico, culminante in un deciso assolo di chitarra. L’uso dei sintetizzatori era ancora relativamente nuovo all’epoca e l’uso innovativo di questa tecnologia da parte di Sakamoto stabilisce un nuovo standard per la musica elettronica.
Tanto bella è questa prima traccia quanto lo è confusionaria la seguente, “Island of woods“: la traccia è molto lunga, con ben 9 minuti di canzoni e nonostante sia molto variegata e presenti un grande numero di effetti sonori, ciò che ne risulta sembra solo un’accozzaglia di diversi layer sonori.
Troppo lunga appunto per essere un semplice intermezzo ma allo stesso tempo troppo poco definitiva per essere una traccia a se stante, di cui sembra essere presente solo lo scheletro.
Molto meglio brani come “Grasshoppers”, che si apre e si muove su una vivace linea di pianoforte dalle sonorità jazz. brano sicuramente più convenzionale e semplice dei restanti dell’album ma che mostra la formazione classica di Sakamoto.
A seguire il brano che meglio identifica lo spirito dell’album: “Das Neue Japanische Elektronische Volkslied“.
Un riff sintetizzato per suonare in maniera molto ovattata apre la canzone e poco dopo entra in scena quello che sembra essere un flauto di bamboo. Le sonorità tipicamente asiatiche non stonano in questo mare di sintetizzatori e addirittura lo cavalcano alla perfezione. Il risultato è straordinario e di certo non casuale.
Il titolo rimanda alla Volkslied, musica folk tradizionale della Germania, esplicitamente a indicare un intento di fusione.
Conclusione
L’album sfida le nozioni convenzionali di genere e stile, mescolando elementi di musica elettronica, jazz e classica. Ciò che ne risulta è un’opera fondamentale che getta le basi per l’evoluzione della musica elettronica. L’approccio visionario alla composizione e la curiosità testarda con la quale Ryuichi Sakamoto abbraccia nuove tecnologie hanno lasciato un segno indelebile nel mondo della musica. Questo album rimane una testimonianza del suo spirito sperimentale e resiste sicuramente alla prova del tempo.
A cura di
Simone Endo
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