“Hotel Silence”, istruzioni per ricominciare a vivere

“Hotel Silence”, istruzioni per ricominciare a vivere
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Come organizzare il suicidio perfetto? Questa è la domanda, letteralmente, esistenziale a cui inizialmente tenta di rispondere Hotel Silence, l’opera di Audur Ava Olafsdottir, edito da Einaudi nel 2018.

Jonas è un uomo di 49 anni che decide di voler smettere di vivere. Il suo lavoro, per quanto redditizio, non lo soddisfa, ha appena divorziato e, dulcis in fundo, ha da poco scoperto di non essere il padre biologico della sua amata figlia.

Passa i pomeriggi in compagnia di sua madre, chiusa in una casa di riposo con la mente persa nelle nebbie della demenza senile.

Lui, che fin da piccolo ha sempre avuto un animo volto alla tristezza e sensibile a tutte le storture del mondo, perde anche quelle ancore salde che riuscivano a mantenerlo legato alla vita.

Se trovava un uccellino con un’ala rotta in giardino gli veniva il magone…Era come se avesse sempre qualche ferita aperta…sempre preoccupato che gli uomini non fossero buoni abbastanza gli uni con gli altri. Diceva: quando diventerò grande voglio essere buono, col mondo…perchè il mondo soffriva, soffriva eccome…gli è sempre piaciuto tanto il crepuscolo…”

Tutti i pensieri bui che da sempre lo accompagnano prendono così il sopravvento fino alla più completa epifania: il mondo non ha più senso, la vita non da più alcuna gioia.

La soluzione viene dunque da sé: suicidio. Ma come fare?

Anche in questa decisione estrema, infatti, il pensiero di Jonas va sempre ai suoi affetti. Come riuscire a sparire dando il minor dolore possibile? Bisogna organizzare il suicidio perfetto.

Non vuole che sua figlia scopra il suo cadavere e, pertanto, decide di andare a morire all’estero. E quale miglior posto se non un paese appena uscito dalla guerra? Ci sono molte morti di civili anche quando una guerra risulta formalmente finita!

Finirà così all’Hotel Silence, con un solo cambio di vestiti, pronto a rimanerci soltanto una notte, quanto basta per il suo piano perfetto.

L’incontro con gli abitanti dell’hotel, soprattutto con i due giovani gestori, però, farà slittare, un giorno alla volta, il suo appuntamento con la morte…

L’opera

Con quest’opera il panorama letterario si arricchisce di un libro delicato, a volte ironico, e sicuramente essenziale. Le parole che man mano si insinuano nella sensibilità del lettore sono come una carezza.

La scrittura è volutamente scorrevole e semplice, in forte contrasto con il tema trattato. Ma non per questo il romanzo perde del suo valore puramente letterario, anzi c’è sempre una precisa scelta lessicale nelle descrizioni e nei dialoghi che restituiscono al lettore delle immagini nitide di ogni scena.

Quello che sicuramente colpisce del romanzo è la scelta narrativa dei luoghi. Il testo, infatti, sembra diviso in due parti. Nella prima si analizza lo sconforto del protagonista, la sua apatia nei confronti della vita, nonostante si trovi in una ridente cittadina, dove tutto funziona a meraviglia: ci sono giardini, case di riposo per gli anziani, villette a schiera e luoghi di ritrovo per i giovani.

Nella seconda parte, invece, vediamo una lenta risalita. Posticipando la morte giorno per giorno, Jonas scopre la sua utilità nel mondo e la felicità che può derivare dall’aiutare il prossimo. E la rinascita, invece, accade proprio in un luogo di morte. A seguito della guerra, la città dell’Hotel Silence è ormai distrutta. Le persone arrancano senza una gamba, o mutilati di braccia e dita, ma con un attaccamento alla vita che emoziona e commuove.

Fonte: Pinterest

Fin dal suo arrivo in questa città distrutta, quasi inconsapevolmente, la sua scelta suicida, paradossalmente, inizia a vacillare. Lui, uomo sano, con affetti saldi e tutti gli arti ancora integri e al posto giusto, vuole morire; gli abitanti reduci da una guerra, vuotati di ogni speranza, chiudono la loro morsa sulla vita sperando di strappare ogni giorno in più al destino e fregare la morte.

Il tassista solleva il moncherino.
-Mina antiuomo_ dice e aggiunge di essere stato fortunato peerchè se l’è cavata con la sordità da un orecchio e con metà del braccio.
-Lo specchietto retrovisore mi aiuta a “sentire” quello che i passeggeri dicono. Guardo dunque sento!- aggiunge.
Io invece ci sento e ci vedo, penso.”

E tra una riparazione e l’altra nell’Hotel ormai fatiscente, Jonas scoprirà quanto sia relativa l’idea di felicità ma soprattutto di infelicità, fino a riuscire a guardare la vita con gli occhi di un sopravvissuto.

Non posso dire a questa giovane donna, che tanto ha faticato per sopravvivere con suo figlio sotto una pioggia di bombe- in una terra dove il sangue scorre nei letti dei fiumi- non posso dirle di aver fatto tutta questa strada per ammazzarmi. La mia infelicità nel migliore dei casi è un’idiozia, quando rovine e polvere si aprono davanti agli occhi fuori dalla finestra.”

Conclusioni

Paradossalmente, Hotel Silence, con i suoi temi di suicidio, di guerra e di depressione, è il libro che citerei parlando di inno alla vita, come quasi tutti i libri di narrativa che partono da un’idea suicidaria.

La forza che l’uomo riesce a trovare anche nelle situazioni di più totale sconforto, però, non è mai una manna dal cielo. È sempre una conseguenza di incontri, di amore, di aiuto, quel tanto che basta per uscire dalla stanza buia e iniziare a vedere il mondo da una prospettiva diversa.

Abbraccio mia figlia, la stringo a me.
Vorrei parlarle d’altro, invece le dico:
-Lo sapevi che l’uomo è l’unico animale che piange?
Mi sorride con tutto il viso.
-No, non lo sapevo. Pensavo fosse l’unico animale che ride-”

a cura di
Rossana Dori

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