Mary Quant, colei che rivoluzionò la moda femminile

Mary Quant, colei che rivoluzionò la moda femminile
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Un ultimo elogio alla stilista che incarnò la liberazione sessuale femminile attraverso l’ideazione di un capo: la minigonna

Due donne e due rivali hanno cambiato il mondo della moda per sempre Coco Chanel e Mary Quant.
Se la celebre stilista francese diede alle donne libertà di movimento, abolendo il corsetto e dimostrando che anche la moda femminile era degna di introdurre il pantalone, la collega britannica non fu da meno. Mary Quant mise su stoffa il desiderio di emancipazione del movimento femminista! Lo fece con un semplice lembo di tessuto che fu scandalo, ammirazione e ribellione per tutte le donne del mondo.

La madre della minigonna ci ha lasciato in eredità un piccolo indumento che ha avuto un enorme potere comunicativo. Non possiamo esimerci dal sottolineare quanto quello che per molti possa essere un semplice capo di abbigliamento sia stato, in realtà, un simbolo di ribellione femminile nella lotta contro il maschilismo e l’oggettivazione del corpo femminile.

Anni ’70 proteste femministe

Era il 1960 quando da un negozio di King’s Road uscirono i primi modelli che incendiarono il dibattito sociale degli anni a venire. Il negozio di Mary Quant offriva modelli unici a prezzi accessibili, ma anche un’esperienza di shopping informale e diversa rispetto ai couturier o ai grandi magazzini. Ed è così che un esercito di ragazze iniziò a invadere le strade delle città europee e americane, armato di stivali alti e cosce scoperte. Un atto di ribellione verso una società ancora bigotta e patriarcale. Siamo negli anni delle lotte per i diritti civili che hanno visto le femministe e la comunità LGBT alleate per una causa comune.

La minigonna tra divieti e lotta politica

Mary Quant e la sua musa la top model Twiggy conquistarono la fama planetaria e attirarono anche violente critiche. Al tempo padri di famiglia, ma anche politici e “uomini della cultura” si espressero contro la minigonna e le giovani donne che la indossavano, le quali subirono a lungo lo sguardo torvo persino delle madri.

L’indumento fu spesso vietato nelle scuole e in altre realtà pubbliche che avevano il loro “regolamento sull’abbigliamento”. Il capo venne addirittura dichiarato illegale in Cina con una legge del 1961.
Di tutto ciò la stilista era consapevole affermando che “Le vere creatrici della minigonna sono le ragazze che si vedono per strada”.

Kabul anni ’70

In Francia, nel 1967,  la polizia si permise di accusare le minigonne di favorire atti di violenza sulle donne! Mentre l’allora ministro dell’istruzione francese Alain Peyrefitte pretese il ritorno dell’uniforme scolastica con gonna lunga.

Nell’Italia dell’epoca, cattolica e ben pesante, i presidi e i docenti minacciavano sanzioni disciplinari ed espulsioni a chi le indossava, in un clima teso pronto a scoppiare nella rivolta femminile. Prese di posizione che non fermarono l’inarrestabile diffusione della minigonna, perché quel “pezzo di stoffa” rappresentava, e rappresenta ancor oggi, la libertà femminile. Quando, sempre nel 1961, le gemelle Kessler fecero scandalo indossando la “mini” nel loro noto programma televisivo.

Fu solo nel 1966 con l’assegnazione del titolo di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero britannico a Mary Quant, che l’ascesa della mini-skirt all’interno delle collezioni delle più importanti case di moda venne consacrata. Un evento che diede inizio a tutte le evoluzioni del capo a cui siamo stati abituati.

Dalle prime mini, dai colori sgargianti e le forme geometriche, si passò alle più trasgressive e cortissime uscite sul finire degli anni ’60. Vent’anni, dopo nel 1980, arrivarono le minigonne in pelle nera, indossate dai punk. Le “mini” verranno spodestate solo dai micro pantaloncini, di inizio anni ’90, indossati da un’altra donna rivoluzionaria: la performer Madonna. Dolce e Gabbana, Prada e molti altri brand basarono intere collezioni su questo indumento affermandone l’importanza e l’assoluta iconicità. Diventando un elemento irrinunciabile all’interno di qualsiasi guardaroba che si rispetti.

Twiggy in minigonna per le strade di Londra

Durante questo periodo la “mini”, in tutti i suoi modelli e le sue variazioni, iniziò ad essere indossata anche da personaggi pubblici, estranei al mondo dello spettacolo, come la principessa Diana. Oltre ad essere continuamente portata da cantanti ed attrici come Debby Harry dei Blondie, che spesso ne fecero una delle loro caratteristiche più riconoscibili.

Fu un passo fondamentale che introdusse nel mondo del potere e della cultura un concetto di donna diverso che forse è stato l‘incipit per la creazione di tutto quello che è oggi la moda urban e no gender.

Se indossiamo sneaker, calzature prima maschili come i mocassini, anfibi, ma anche tute, felpe, pantaloni cargo, giacche da uomo, minigonne in tuta, zaini e marsupi, lo dobbiamo in parte anche alla minigonna iniziatrice di un lungo cammino verso il rinnovamento dell’abbigliamento femminile.

Parlare nel presente di un argomento del genere suona strano perché diamo per scontate certe libertà; eppure ricordare il percorso, pieno di ostacoli, con cui anche dal punto di vista “estetico” siamo arrivati a questo livello di emancipazione rimane importante. La memoria è la forza di un movimento, perdendola si rischia la retrocessione.

Purtroppo ancora oggi si sente spesso parlare di scuole che vietano l’uso di determinati capi di abbigliamento soprattutto, per non dire solamente, femminili. Se la minigonna nel corso di questi cinquant’anni ha avuto un’evoluzione di forme, colori, lunghezze e tagli resta ancora legata al bisogno della donna di liberarsi dal patriarcato e dal maschilismo più becero, che si nascondono in modo infimo e si tentano di instillare nelle giovani menti per pura ignoranza.
Dal nostro canto vi consigliamo di indossare sempre quello che vi pare e piace, e di ricordare che la
minigonna non necessita di nessun fisico nello specifico, può e deve essere indossata da chiunque.

a cura di
Francesca Calzà e Iolanda Pompilio

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Francesca Calzà

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