The Quiet Girl: un’infanzia negata e ritrovata
The Quiet Girl (An Cailín Ciúin, questo il nome originale irlandese della pellicola) trae origine da un racconto breve di Claire Keegan ed è stato candidato agli oscar nella categoria “Miglior film internazionale”. Il film è un commovente affresco in 4:3 che racconta la storia di un’infanzia tenuta in ostaggio da una famiglia indifferente e ostile. Ma dietro l’angolo, qualche volta, vi è uno spiraglio di luce.
Dopo la visione del trailer di The Quiet Girl sono rimasto subito affascinato dalla fotografia.
Al primo sguardo interpretai la scelta dell’immagine in 4:3 come parte della volontà di raccontare un film “in piccolo”. Una storia “piccola”, vale a dire iper-intimista, dai toni delicati e soffusi, e che parlasse d’infanzia lasciando da parte toni grandiosi e grandi lezioni sulla crescita e la maturazione.
Avevo parzialmente ragione (ma su questo torneremo dopo).
Il film in sé racconta la storia di Càit, una bambina ultima di sette fratelli che vive in una regione rurale dell’Irlanda. Càit parla poco, viene presa in giro dalle sorelle e dai compagni di scuola, i genitori non la considerano e anzi la trattano con disprezzo, come nel caso del padre.
Quando la madre rimane di nuovo incinta, Càit viene mandata da parenti lontani che la terranno con loro per un’estate, nella fattoria dove vivono e lavorano. Come in un gioco di specchi scopriamo però che la nuova famiglia è l’esatto opposto di quella natale. Eibhlín e Sean, la coppia di coniugi che ospiterà Càit, sono infatti persone sensibili e affettuose. Ma soprattutto, la loro idea di educazione include accettazione e rispetto, sentimenti che in famiglia Càit non ha mai conosciuto.
An Cailín Ciúin: una storia di formazione e qualcosa di più
L’idea che l’amore cambi le persone e sia in grado di “aprire” il carattere chiuso di una ragazzina non è nuova. Ma la bellezza di The Quiet Girl non sta nel cosa, ma nel come. La forza del film infatti sta sì nei rapporti tra i personaggi, nel suo realismo, ma anche e soprattutto nel modo in cui questo viene raccontato. A tal proposito, all’inizio ho detto di avere parzialmente ragione sul motivo della scelta dei 4:3, del fare fare cioè qualcosa di “piccolo” (una soluzione usata con successo, ma per altri motivi, in un film italiano recente molto apprezzato di cui abbiamo parlato qui).
Ma una volta visto il film, ho capito che la volontà di Bairéad non è tanto quella di fare della forma narrazione, o almeno non è solo quello. C’è infatti un motivo più specifico alla base, ovvero la volontà di sovrapporre lo sguardo esterno dello spettatore a quello interno del personaggio. Spiegandomi meglio: tutto ciò che vediamo noi come spettatori, guardando The Quiet Girl, è l’esatta (o per meglio dire, è un ottimo tentativo di) rappresentazione di quello che vede Càit, di come lo percepisce, di come si sente in relazione a esso.
Un esempio di questo si vede dal modo in cui Bairéad inquadra gli oggetti filmici. Vediamolo analizzando delle scene in particolare come queste in cui sono presenti gli adulti:
In questa coppia di frame invece c’è il punto di vista interno di Càit nella stessa scena:
Il film dunque si muove in modo intelligente su questo doppio binario. Nella prima immagine c’è il mondo com’è visto da Càit. Gli adulti sono resi come figure bidimensionali e minacciose, di profilo, di spalle o da lontano. Nella seconda invece c’è il mondo interno di Càit, ovvero la tensione che prova rappresentata dallo stringersi le mani. Il film si sviluppa quindi combinando questi punti di vista, quello interno e quello esterno. Quella di Bairéad è una soluzione registica molto potente, perché sfrutta al massimo il linguaggio proprio del cinema, che è sempre stato quello di raccontare tramite le immagini.
Una domanda che svela il senso
Ad ogni modo, il film non si perde nello studio dei dettagli microscopici, anche se eleganti e significativi. La storia mantiene coesione e ritmo durante tutta la durata della pellicola, e termina con un finale agrodolce che sono sicuro metterà alla prova anche i più restii alla commozione.
Pe concludere, il momento che più ho apprezzato guardando The Quiet Girl è una linea di dialogo tra Càit e Sean, che sintetizza in modo molto dolce il suo messaggio. La scena è a circa metà del film: i due sono nella stalla della fattoria e Sean sta dando da bere del latte a un vitellino appena nato. Càit, dopo un momento di silenzio, chiede: “Perché non diamo il latte delle mucche ai vitelli (invece del latte in polvere)?”. Sean risponde in modo assai pratico: “Perché quello lo vendiamo”. In questo caso, la domanda di Càit potrebbe essere stata “Perché ai figli non diamo il meglio?”.
È anche la domanda del film.
a cura di
Marco Manto
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