Suicidio: allarme giovani. La letteratura come memorandum

Suicidio: allarme giovani. La letteratura come memorandum
Condividi su

Nella rassegna stampa, che mi faccio la mattina presto, ho trovato in questi giorni diversi articoli riguardanti il suicidio e l’aumento delle telefonate per la richiesta di aiuto. TelefonoAmico è il sito di riferimento per questi dati e si legge su Il Messaggero:

Nel 2021 l’organizzazione ha ricevuto la cifra record di quasi 6.000 richieste d’aiuto legate al suicidio, anche i primi dati del 2022 sembrano confermare il trend: nei primi sei mesi dell’anno sono state più di 2.700.

Da una parte l’immensa preoccupazione per questi numeri; dall’altra la soddisfazione di sapere che la richiesta di aiuto riguardante il malessere psicologico sta aumentando perché non è più un tabù.

Suicidio: letteratura e social

Il Covid, che di desolazione ne ha portata tanta, ha permesso anche di sdoganare il legame che si aveva con la paura di raccontarsi. L’unico modo che abbiamo avuto per sopravvivere è stato rifugiarci nel mondo online, tra dirette e videochiamate, a volte fingendo che tutto andasse bene.

Poi abbiamo affrontato le piccole riprese, con il terrore assoluto di uscire e vivere a metà. Di nuovo la scuola, gli esami e la DaD. Di nuovo richiusi e poi ancora in strada “liberi di distanziarci a meno di un metro“.

Nessuno ha avuto il coraggio di dire “sto bene” perché, per la prima volta da che ho memoria, diverse fasce di età hanno affrontato lo stesso identico problema, con tutte le sue sfumature.

Cosimo Piovasco di Rondò, illustrazione di Roger Olmos per il libro Cosimo, Logos edizioni.
Suicidio: il dolore non passa mai di moda

La quarantena, e i due anni di incertezza, hanno permesso di rispolverare libri e solitudine, hanno ristretto così tanto il confine fra questa e il bisogno di stare soli che sembra essersi completamente lacerato, confondendo ogni singola particella del nostro credo identitario. Dove sono collocati i libri, in questa lacerazione?

Eravamo negli anni delle medie e il primo incontro con la morte lo abbiamo avuto, forse, con Il barone rampante, di Italo Calvino. Un ragazzo che scelse di lasciare il suo spazio e la sua famiglia per vivere in solitudine sugli alberi. Nonostante la complessità della storia, che ho ridotto in questo modo, Cosimo Piovasco di Rondò scelse di morire solo, lontano da tutto ciò che lo faceva sentire incompreso e pensante.

Crescendo ci lasciarono fra le mani Goethe e I dolori del giovane Werther, una storia pienamente romantica nel senso più letterale e artistico del termine, dove l’amore è sofferto, non ricambiato e dove l’unica via di uscita sembrava essere quella del suicidio.

In realtà chiunque oggi potrebbe esordire con un “si vabbè ma non mi sarei mai ammazzato per amore“. Forse nessuno lo avrebbe fatto. Eppure il suicidio di Werther non è legato all’amore non corrisposto, non del tutto almeno. Non c’è spazio fra l’amore per la patria e quello per Lotte, si sovrappone tutto e quel tutto lascia un senso di disperazione e di smarrimento che porta il ragazzo a scrivere volontariamente la parola fine alla sua vita.

La morte di Chatterton, di Henry Wallis. 1856. Yale Center for British Art, New Haven
Suicidio: OMS e media

In tempi moderni questo causa meno sconvolgimento di quanto ne suscitò in Germania, subito dopo la pubblicazione dell’opera, nel 1774. Si stima che furono 40 i ragazzi che si tolsero la vita nel medesimo modo e da allora gli studi sui suicidi effetto Werther non sono mai terminati.

Sul sito La mente è meravigliosa si legge:

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha persino elaborato un documento con determinati precetti da seguire per i giornalisti che forniscono informazioni su fatti relazionati a un suicidio.

Perché questo? Perché così come il romanzo di Goethe venne bandito in Italia e Danimarca, il Canada scelse di non condividere, in tempi recenti, la serie tv Tredici. Lo scopo sembra essere quello di mettere in sicurezza i ragazzi proprio da questo effetto sociale che scatena, in alcuni casi, il suicidio di altri.

Il problema non sembra essere legato all’atto ma piuttosto alla narrazione romantica del gesto, soprattutto da parte dei media. Il bisogno di risvegliare compassione e tenerezza nel lettore porta il pubblico a rispecchiarsi nella vittima senza però riuscire ad uscire fuori da quel momento. Chiedere aiuto risulta complesso, un processo che viene bypassato dal pensiero: se nessuno si è occupato di quella persona, perché dovrebbe esserci qualcuno disposto a farlo per altri?

Suicidio: cosa raccontano i libri oggi?

Oggi abbiamo la fortuna di aver sviluppato, grazie agli studi negli anni passati, un’attenzione certamente diversa non solo sul tema del suicidio, ma anche sul più comune gesto di suggerire un libro.

Ricordo che un ragazzo giovanissimo, che partecipò all’incontro in libreria sul tema del suicidio, disse:

Noi non sappiamo chiedere aiuto perché nessuno ci ha mai mostrato come si fa. Non sappiamo parlare delle nostre emozioni perché nessuno ci spiega come fare.

La stessa cosa la esprime Helen, protagonista del romanzo Scusate il disturbo, di Patty Yumi Cottrell. Nonostante lei sia una donna più vicina alla mia età che non a quella dei ragazzi di vent’anni, dimostra ancora una certa difficoltà nella gestione del dolore per la morte del fratello che ha scelto il suicidio. Questo romanzo, suggerito a pochissime persone, ha la capacità di scatenare un’infinità di domande tra cui: a volte il suicidio, è davvero l’unica cosa che possiamo fare per noi?

Scusate il disturbo, PattY Yumi Cottrell, 66thand2nd

In contrapposizione, Auður Ava Ólafsdóttir ha scelto di raccontare la storia di Jónas, un uomo di mezza età che vuole porre fine alla sua vita ma ha l’accortezza di non lasciare che sia sua figlia a ritrovare il corpo. Nel romanzo esce fuori una parte di vita legata al bisogno di ritrovare un posto nel mondo, cosa che non riuscì al giovane Werther. Hotel Silence resta così una storia forse più adatta a chi cerca uno specchio del protagonista, ma che lascia con una nota amara per tutte le persone satelliti di cui nessuno sembra accorgersi. “Non lo avrei mai detto“, si dice spesso, “non aveva dato segnali”.

Cosa può consigliare la libraia?

Di evitare di essere superficiali nel dispensare consigli di lettura, provare a rispettare la richiesta di aiuto dell’altro senza minimizzare il malessere. Di condividere i numeri dei centri di ascolto invece degli articoli tristemente romantici sul suicidio.

a cura di
Ylenia Del Giudice

Seguici anche su Instagram!

LEGGI ANCHE-Teatro Duse 2022/2023: “Un teatro per sognare”
LEGGI ANCHE-
La Storia e Io: le donne di Alba de Céspedes

Condividi su

Ylenia Del Giudice

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *