“Last night in the Bittersweet”: il ritorno di Paolo Nutini

“Last night in the Bittersweet”: il ritorno di Paolo Nutini
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Paolo Nutini torna a pubblicare un nuovo disco di canzoni dopo ben otto anni. Ne sarà valsa la pena?

Non ci riesco. Vi giuro. Sento e risento le canzoni. Cerco di trovare il trucco ma non ci riesco. Last Night in the Bittersweet è un disco coi controcazzi. Ecco, l’ho detto. Ma no, non per il packaging figo del doppio vinile a marchio Atlantic Records che sembra pubblicato negli anni ’70. Paolo Nutini ci ha messo del suo. E come col “Piccolo Chimico” l’artista scozzese gioca con gli elementi della musica e si rimette in gioco.

Un silenzio durato otto anni

Cosa abbia spinto un artista a “sparire dalla circolazione” dopo 8 milioni di copie vendute per i precedenti album “These streets”, “Caustic love”, passando per “Sunny side up”, quello della hit “Candy” rimane un mistero. Ma anche no. Rimane la certezza che Paolo Nutini è un artista autentico e in continua evoluzione poco incline alle mode e ai meccanismi dello show business.

Per sfatare ogni dubbio mettiamo su il disco. E no, non parte il pezzo “piacione” del bel ragazzo scozzeseconoriginitaliane. “Afterneath” sembra un ibrido fra il kraut rock dei Can. Un solo accordo, basso a palla e synth, i vocalizzi soul di Nutini. Tutto questo introduce il dialogo preso dal film “True Romance – Una vita al massimo” del 1993 di Tony Scott, sceneggiato da un giovane Quentin Tarantino, con Patricia Arquette e Christian Slater. Un amore disperato che sopravvive, malgrado tutto, fra violenza e droga.

Strumenti in libertà

Un basso accattivante introduce “Radio” che si muove fra chitarre sognanti e malinconie pop. “Through the Echoes”, forse è uno dei singoli più ascoltati in radio tratti dall’album. Ha un’impronta decisamente da ballad classica, non solo nella strumentazione rigorosamente vintage. Il piano accennato e l’anima soul che torna a graffiare. “Acid Eyes” ha un ritornello tipicamente pop che rimanda al Nutini del passato ma la strumentazione è completamente adattata in libertà espressiva, come il resto del disco.

Naenche il tempo di accenni di elettronica “umana”, alla Radiohead, per intenderci in ” Stranded Words” che parte uno dei pezzi più “fuori dagli schemi” del disco: “Lose it”. Il rimando a Lou Reed è immediato, stesso strato di chitarre abrasive e voce recitante.

Non riuscivo a trovare

una via d’uscita dalla mia mente preoccupata

Sentendo di essere stato lasciato indietro

Mi stava portando giù, giù, giù

“Petrified in love” suona molto Tom Petty. Il batterista che dà il quattro con la bacchetta, a testimonianza di un album espressamente suonato ( e sentito) live. Con “Everywhere” si alimenta un crescendo soul di tutto rispetto. “Abigail” invece curva in territori folk con un’essenzialità vicina a Johnny Cash. “Children of the Stars” invece sembra una take dei Fleetwood Mac rimasta nascosta negli anni come una gemma preziosa.

“Heart Filled Up” riprende dall’inizio. Come in “Afterneath” anche qui gli strumenti sono liberi di andare, con il ritmo ossessivo di un riff che suona come un mantra che si espande nell’universo sonoro lasciandoci orfani. “Shine a light” ha richiami sospesi fra Springsteen e U2, ma nella migliore accezzione possibile. “Desperation” invece ha stoffa post-punk senza snaturare però la personalità.

La disperazione era il mio santuario
L’impero della mia sanità mentale
La disperazione è un contrattacco
Contro i giganti e i topi allo stesso modo

Anima nuda

Ancora virate ed esperimenti sonori con “Julianne”. Gli archi ad abbellire una composizione con piano, classica alla maniera di Cat Stevens. “Take me Take Mine” forse il pezzo sperimentale più azzardato e coraggioso del disco. Una composizione che suona molto prog in quasi sette minuti. Brano conclusivo affidato a “Writer”. Voce e chitarra, totally naked. Più Leonard Cohen che Dylan, quindi più anima che si denuda su un tavolo operatorio.

Paolo Nutini quindi torna con un album sostanzioso ( circa 70 minuti e 16 canzoni) che ci consegna un artista libero di sperimentare nuove soluzioni senza perdere lo spirito struggente e romantico, autentico e sognatore. Gli otto anni di attesa sono dunque serviti a far nascere in lui la consapevolezza di un artista capace di sperimentare la magia della musica e degli strumenti. A noi non resta che abbandonarvi in questo piacevole viaggio.

a cura di
Beppe Ardito

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Beppe Ardito

Da sempre la musica è stata la mia "way of life". Cantata, suonata, scritta, elemento vitale per ridare lustro a una vita mediocre. Non solo. Anche il cinema accompagna la mia vita da quando, già da bambino, mi avventuravo nelle sale cinematografiche. Cerco di scrivere, con passione e trasporto, spinto dall'eternità illusione che un mondo di bellezza è possibile.

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