“La ferita”, il romanzo di Lucio Leone per le persone altamente sensibili
La ferita, di Lucio Leone, parte dal capitolo -26, un conto alla rovescia per entrare nel pieno della vita di un uomo che si immerge nel brodo primordiale delle sue emozioni, rendendole specchio di molti lettori. La storia sembra richiamare un’esperienza personale dell’autore che no, non ferisce corpi di mestiere. Un esercizio di empatia, calibrata dalla costante lotta tra il cervello razionale e quello poetico, tra la parte più pratica e quella più emotiva.
Guardo il cielo e sorrido. Sono entrato nell’uomo in tempo, sembra mattina. Spesso mi chiamano che è quasi il tramonto e quando arriva la notte non c’è più nulla da fare, il buio cancella le immagini e, con loro, la possibilità di vedere e cambiare. La mattina, invece, mi dà tempo per risolvere.
Quello che si legge nella seconda di copertina è vero: La ferita è la storia di un uomo che incide i corpi delle persone che scelgono di uccidersi perché è grazie a quelle lesioni che riesce a viverne la storia. Cerca sempre di arrivare prima che queste possano fare la scelta estrema, però.
Pratica un’incisione nella carne, vi entra dentro e ne assorbe la vita, vivendo intensamente pensieri e sensazioni.
La ferita: esorcizzare la morte
La prima volta che ho letto questo romanzo, pubblicato da Alessandro Polidoro Editore nel 2021, l’ho percepito carico e dispersivo; assomigliava a storie che ricordavo di aver letto. Nel tempo l’ho quasi lasciato nascosto, perfino in libreria: ho presupposto che non fosse il momento di suggerirlo. In questi giorni il concetto di altamente sensibile è tornato fuori con forza e mi è sembrato opportuno cogliere il momento.
La ferita, con il suo andamento naturale, di chi parla di qualcosa senza tabù, è in grado di far apparire la morte come un evento anche magico. La possibilità di limitare la superficialità di chi guarda la vita scorrere via e quella di lavorare sull’empatia nei confronti di chi è andato e di chi resta.
La ferita: salvare gli altri per salvare noi stessi
Dalla storia di Leone una cosa sembra emergere rispetto ad altre, ovvero il suo domandarsi costantemente fin quanto spingersi oltre. Il limite, nel suo lavoro, è costituito dal semplice provare a cambiare quella storia; a trasformare quel bisogno che, alcuni, provano di togliersi la vita. Se poi non riesci? Avresti potuto essere più convincente? Forse avresti potuto fare di più.
Nella sua casa non si parla di emotività, non ci si può permettere il lusso di sentire un peso opprimente anche nel luogo in cui ci si sente al sicuro. Emozioni bandite, empatia ad uso e consumo del cliente, che chiama per ammettere il suo fallimento con una vita.
L’incontro di due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche: se c’è una reazione, entrambe ne vengono trasformate.
C.G. Jung
Allora l’esistenza degli altri diventa anche il mezzo per conoscere se stesso e quel deep blue nel quale non ha mai messo mano, lui che pensa solo alle altre persone.
La ferita: i riferimenti alla biblioterapia
Ciò che Lucio Leone mette nero su bianco è quello che si può ritrovare nel concetto di biblioterapia, o quanto meno nella parte dedicata alla nostra incapacità, in un dato momento, di leggere la nostra storia, motivo per cui abbiamo bisogno di quella degli altri come fosse uno specchio.
Lo fa in modo delicato, permettendo al lettore di provare a cimentarsi nella difficilissima arte dell’empatia, così da lasciare libere le interpretazioni e le idee sul tema del suicidio e della morte. Allo stesso modo, permette di scegliere: affrontare questi pensieri ora, più tardi o mai.
a cura di
Ylenia Del Giudice
LEGGI ANCHE:- Arte Fiera 2022: pro e contro
LEGGI ANCHE:- Le carceri turche e italiane, la realtà passa (anche) attraverso i libri