I Foja raccontano il loro nuovo album “Miracoli e Rivoluzioni”: l’intervista

I Foja raccontano il loro nuovo album “Miracoli e Rivoluzioni”: l’intervista
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Venerdì 8 aprile i Foja hanno lanciato il loro nuovo album “Miracoli e Rivoluzioni”. È l’album della maturità artistica di questa band, napoletana per nascita, lingua e passione, ma aperta al mondo per vocazione.

Dodici tracce dove i “Miracoli” e le “Rivoluzioni” scandiscono lo svolgersi di un disco che si muove con temperamenti diversi su binari che vanno dal rock al blues, alla canzone d’autore, all’elettronica, alle incursioni rap, a ballate acustiche e cavalcate up-tempo-elettriche. Contesti che raccontano storie di alienazione e di riscatto, di dolore e di necessità di rivoluzione. Raccontano di ognuno di noi e infine di Amore, quello autentico, universale, a fare da sfondo a un lavoro corale e magnetico.

“Miracoli e Rivoluzioni” è sensibilità, impegno, passione allo stato puro. Un progetto che consegna un immaginario che va solo vissuto, con quella libertà e creatività che fanno dei Foja una delle band napoletane più importanti degli ultimi venti anni. Autori di una rivoluzione stilistica che ha elevato la nuova musica napoletana mettendola in relazione con i suoni dell’oggi e la visione del domani.

The Soundcheck li ha intervistati.

Ciao e benvenuti su The Soundcheck! “Miracoli e Rivoluzioni” è un disco ricco di sperimentazioni musicali. Ci sono vari generi, come rock, blues, pop, elettronica, ognuno dei quali si sposa benissimo col dialetto napoletano. Ogni canzone è come esplorare un mondo diverso e si vede che al centro di questo lavoro c’è l’arte. Come è stato unire tutti questi generi in un unico disco?

Il nostro progetto musicale ha da sempre messo al centro delle proprie opere la contaminazione, con “Miracoli e Rivoluzioni” abbiamo continuato su questa scia. Il concetto di base è semplice: immaginare la musica come un luogo di libertà senza “genere”, partendo dalla forma canzone e cercando la miglior atmosfera sonora per ogni brano, cucendo su ogni pezzo un abito su misura. Produrre un lavoro discografico, per noi, significa ricercare nuove sonorità che possano portare valore aggiunto alla scrittura, che è sempre il punto di partenza.

Il processo creativo si muove per passaggi successivi e se prima i riferimenti venivano cercati unicamente imbracciando gli strumenti, con il passare del tempo ci siamo resi conto che integrare l’elettronica potesse offrirci il quid che stavamo cercando. La pandemia in tal senso è stata paradossalmente un vantaggio: essendo distanti, abbiamo prodotto con i nostri laptop e schede audio molti tasselli dell’insieme e siamo giunti al lavoro finito consapevoli di non aver dato nulla per scontato. L’arte è sempre al centro, senza di essa non sarebbe possibile realizzare un disco di inediti.

L’album è ricco anche di collaborazioni. Come sono nati questi featuring?

Anche le collaborazioni sono eterogenee in questo album. Abbiamo scambiato le esperienze con artisti che hanno arricchito il disco, colleghi e amici che stimiamo e che sapevamo ci avrebbero consentito di colorare ulteriormente la produzione. I featuring sono per noi la punta dell’iceberg. La metafora funziona bene perché sotto le acque del mare c’è lo scambio artistico, la costruzione di un rapporto umano prima ancora che produttivo, lo scambio, gli ascolti. Il visibile agli occhi invece è la traccia che registriamo, per la quale il più delle volte lasciamo scegliere, piuttosto che imporre.

Caso eclatante quello di Clementino, che ha visto in “Santa Lucia” uno spazio diverso dalla sua zona di comfort. Noi cerchiamo proprio questo, uscire dagli schemi per creare con il featuring un prodotto artistico diverso da noi ma anche dall’artista che lo condivide. Solo in questo modo riusciamo dal nostro punto di vista a soddisfare il melting pot musicale che alla base dei nostri lavori discografici. Ringraziamo chiaramente tutti, dalla nostra “linea di sangue” Enzo Gragnaniello, a Lorenzo Hengeller, Davide Toffolo.

“Miracoli e Rivoluzioni” è il titolo del disco perché l’album affronta due questioni complementari: una sentimentale (i miracoli) e una esistenziale e sociale (le rivoluzioni). Secondo voi, per la situazione attuale, avremmo bisogno più di un miracolo o di una rivoluzione?

Avremmo bisogno di entrambe le cose. In questo momento il più grande miracolo e la più grande rivoluzione sarebbe la pace. Ma senza retorica. Il messaggio di Lennon ci sembra così lontano ma anche così vicino: perché non dare una possibilità alla pace? Ci vorrebbero anni e anni di analisi geo-politica per spiegarlo, ma non è questa la sede. E sempre senza retorica, per noi le due cose non sono poi così scisse: l’amore per un’amico, una compagna, una moglie, non è così poi diverso dall’amore per la giustizia sociale.

Alla base c’è l’empatia e la cura che sono delle piante da annaffiare tutti i giorni, sia nel proprio giardino che in quello pubblico. Nel merito della produzione, ci siamo mossi cercando di tenere legati i fili degli elementi cardine della nostra tradizione: il dualismo tra la sacralità dei miracoli che si spingono in una dimensione sovrannaturale rappresentata dall’amore e l’esigenza di rivoluzione, che parte dal soggettivo per immergersi nel sociale.

“E nun tene padrune chi cerca ogni juorno ‘na strada pe’ cammenà” è un verso contenuto nel brano “Duje cumme nuje”, una delle canzoni d’amore dell’album. Come mai, secondo voi, chi cerca ogni giorno una strada non ha un padrone? Cosa lo rende libero?

Avere il coraggio di cambiare, di rompere le catene mentali, rende liberi. I percorsi non sono unilineari, ce lo insegna la storia dei popoli e delle culture che, sottoposte all’imperativo della crescita per colmare il gap con i paesi industrializzati, hanno via via perso la loro identità e visto depredare le proprie risorse e le loro consuetudini. A dimostrazione di quanto sopra scritto, il confine tra il “miracolo” e la “rivoluzione” non è poi così marcato: in una canzone d’amore come “Duje cumme nuje” viene fuori il tema del cambiamento e della ricerca di se stessi che è un concetto lato, mutuabile dalla sfera soggettiva a quella più strettamente sociale, spezzare le catene della schiavitù di fatto non è diverso dallo spezzare le catene che tiene ci tiene imprigionati nei nostri tarli emotivi.

Per il momento uno dei singoli dell’album che sta avendo più successo è “ ‘A mano ‘e D10S “, una canzone che rivela tutta l’ammirazione per questa leggenda. Il brano sembra un inno scritto da tutta la comunità non solo sportiva, ma anche napoletana. Ma per voi personalmente cosa ha rappresentato Maradona?

Diego Armando Maradona è stato un simbolo di riscatto sociale, di umanità per la nostra città e per lo sport con la sua sfida ai poteri forti, è stato tra i più grandi  rivoluzionari del ‘900 nonché un vero artista del pallone. Le sue gesta restano scolpite nella storia, il suo sudore e la sua tenacia esempio per chi crede nella possibilità di realizzare un sogno e lasciare il proprio nome impresso. In qualsiasi ambito e in qualsiasi forma, non è necessario vincere la coppa del mondo per essere Maradona. Per capire chi è per noi Diego basta ricordare un suo mantra: “È fantastico ripercorrere il passato quando vieni da molto in basso e sai che tutto quel che sei stato, che sei e che sarai non è altro che lotta.”

Guardando per un po’ al passato. Quanto sono cambiati i Foja da ” ‘Na storia nova”, il vostro primo album del 2011?

Non ci sentiamo molto diversi dal passato, è sicuramente cresciuta la nostra responsabilità nei confronti della nostra storia e il nostro disco, “Miracoli e Rivoluzioni” per noi ha il sapore di un nuovo esordio. I Foja sono fondamentalmente gli stessi amici di sempre, che amano la musica e che vogliono condividere un percorso umano e artistico. Chiaro che nel corso degli anni le nostre vite si siano evolute, ci siamo tutti confrontati con scelte importanti, artistiche, di relazione. Da un punto di vista musicale ci ha tenuto sempre vivi l’esigenza di reinventarci e la responsabilità di tenere sempre serrate le fila del nostro pubblico per non deluderlo.

a cura di
Ilaria Mazza

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