Formula 1, il grande circus… dell’ipocrisia!
Tante belle parole e slogan, che però vengono sbugiardati costantemente dai fatti. Gli accadimenti del weekend in Arabia Saudita sono solo gli ultimi di una lista di contraddizioni che si fa sempre più lunga.
Come il più spietato dei conti presentati dal karma, o come la classica ruota che gira, la sorte ha fatto cadere la maschera delle ipocrisie della Formula 1 in un solo colpo.
La lista è talmente lunga che è difficile perfino decidere da dove iniziare a raccontare gli accadimenti, ma partiamo dall’ultimo in ordine cronologico.
L’incidente di Mick Schumacher
Ieri pomeriggio, durante il Q2 delle qualifiche per il Gran Premio dell’Arabia Saudita, il figlio di Michael si è schiantato contro le barriere a oltre 240 km/h, spezzando letteralmente la macchina in due ed uscendo miracolosamente illeso dallo schianto.
Ma cosa ha causato l’incidente?
Mick ha perso il controllo della vettura “saltando” su un cordolo troppo alto e andando quindi a perdere tutto il “downforce” che queste nuove macchine da Formula 1 sfruttano grazie al cosiddetto “effetto suolo” nel momento in cui si trovano a stretto contatto col terreno.
Come si crea una vettura ad effetto suolo?
Per ottenere dall’effetto suolo una deportanza occorre fare in modo che sotto alla vettura passi un flusso d’aria con una velocità maggiore di quello che passa sopra la vettura. Per ottenere questo si sfruttano le proprietà del tubo Venturi.
Disegnando quindi il fondo di una vettura come un tubo di Venturi e avvicinandolo il più possibile al suolo, è possibile far sì che la pressione dell’aria che passa sotto la vettura sia minore di quella che passa sopra, creando così una depressione tra il fondo della vettura e l’asfalto. Questa depressione fa sì che la macchina rimanga attaccata al suolo.
Rimane ovvio, quindi, che nel momento in cui la vettura si alza dall’asfalto, magari per passare su un cordolo molto alto in una curva ad alta velocità, la depressione che tiene la macchina “schiacciata” verso l’asfalto viene meno e la vettura diventa non più controllabile, tendendo a “decollare”, come è successo ieri sera a Mick.
Proprio per motivi di questo genere legati alla sicurezza, le vetture a effetto suolo erano state bandite dalla Formula uno già nel lontano 1982.
Perchè se le vetture a effetto suolo sono così pericolose sono state reintrodotte?
Il motivo è solamente uno, come dichiarato dalla stessa Federazione: favorire lo spettacolo.
Negli anni passati si è visto in maniera molto vistosa come nel momento in cui una vettura arrivava in scia a quella che la precedeva non riusciva ad entrare in lotta, ma si allontanava di nuovo. Questo perchè il carico aerodinamico di chi gli stava davanti andava a disturbare il suo, rendendo quindi la macchina più difficile da guidare e facendolo nuovamente arretrare.
Ovviamente ciò rendeva le gare noiose, senza sorpassi e allontanava quella fetta di pubblico che non era formata da appassionati.
Un tentativo di alleviare questo problema è stata l’introduzione del DRS, l’ala mobile che si può spalancare nei rettilinei per guadagnare velocità e superare chi sta davanti.
Ma la vera rivoluzione è arrivata appunto con le nuove regole della stagione 2022, e il ritorno delle macchine ad “effetto suolo”.
Visto che la maggior parte della deportanza che tiene le macchine incollate all’asfalto è data dall’aria che passa sotto la vettura e non da quella che arriva frontalmente sui carichi aerodinamici, le monoposto sono meno influenzate dall’aerodinamica di chi precede. Di conseguenza la lotta in pista è ora più facile (come abbiamo visto nella gara inaugurale della stagione tra Leclerc e Verstappen), perchè è possibile rimanere molto vicini a chi sta davanti senza disturbare più di tanto la propria aerodinamica o rovinare troppo le gomme.
Circuiti cittadini ad alta velocità sì, circuiti veri e propri no (o ni)
Proprio per la delicatezza del sistema che garantisce la stabilità della nuova vettura, la Federazione avrebbe dovuto ripensare il calendario del Mondiale. Delle considerazioni di opportunità sui circuiti cittadini dove le vetture sfrecciano ad alta velocità (Arabia Saudita o Azerbaijan) sarebbero state necessarie. O quantomeno abbassando i cordoli di questi circuiti per non correre il rischio di far saltare eccessivamente le vetture ed evitare incidenti come quello occorso a Schumacher.
Ma questo ci porta ad un’altra grande ipocrisia che noi italiani conosciamo bene: per anni Imola è stata fuori dal calendario del Mondiale di Formula 1 ed è rientrata solo in tempi di Covid.
Oltre alla mancanza di sponsor “pesanti” la motivazione risiedeva anche nei problemi di sicurezza del circuito romagnolo. Circuito che però era già stato pesantemente modificato dopo gli incidenti mortali del 1994 di Roland Ratzenberger ed Ayrton Senna.
Quindi un circuito vero e con vie di fuga ampie no, ma si va a correre in un circuito cittadino in Arabia Saudita, dove si percorre un giro ad una media di circa 250 km/h (secondo più veloce di tutto il Mondiale dopo Monza), e dove non ci sono vie di fuga ma muri, come ha potuto constatare a sue spese ieri sera Mick Schumacher.
“Safety first” o “money first”?
Le ultime considerazioni portano prepotentemente alla ribalta uno degli slogan-mantra della Formula 1, “safety first”.
La sicurezza delle monoposto è oggettivamente migliorata negli anni. Un incidente come quello di ieri pomeriggio infatti, se capitato 20-25 anni fa, avrebbe causato danni gravissimi al pilota, mentre Mick è uscito praticamente illeso). Ma la sicurezza su cui vorremmo porre l’accento non è solamente quella in pista, ma anche quella fuori.
Questo ha fatto gettare la maschera sull’ipocrisia più grande di tutte: si sta correndo il Gran Premio dell’Arabia Saudita con bombe che cadono a 20 km dal circuito.
La scorsa settimana tutti ad indossare la maglia dell’Ucraina e a far posare i piloti con lo striscione “no war”, cancellando anche il GP di Russia dal calendario. Però poi oggi, come nel più clamoroso dei voltafaccia, si gareggia quasi sotto le bombe.
Giusto ieri FIA e Formula 1 hanno emesso una nota congiunta che affermava che:
il programma del Gran Premio proseguirà nonostante l’attacco missilistico da parte di ribelli yemeniti avvenuto ieri contro un impianto petrolifero Aramco a Jeddah, a poco più di 20km dal circuito. “Governo e autorità locali assicurano che l’evento è sicuro”.
FIA e Formula 1
Strano come alcune bombe facciano sentire più al sicuro di altre e mobilitino le coscienze in maniera diversa.
“We race as one” o “they pay like no-one”?
Altro grandissimo (e giustissimo) slogan messo in campo dalla Federazione per combattere le discriminazioni.
Poi però ci si trova a correre sul circuito di un Paese, l’Arabia Saudita, che discrimina pesantemente, e non sa cosa voglia dire tolleranza. Il re governa a suo piacimento e non esiste nessun parlamento. Le minoranze etniche, culturali e religiose non hanno diritti e non sono tollerate. Alle donne, invece, ultimamente è stato “concesso” di poter avere la patente e, di conseguenza, guidare una macchina. Ai più però è sembrata una mossa di facciata piuttosto che di apertura vera verso i diritti.
Ma perchè si corre a Gedda? Presto detto: uno dei main sponsor dell’intero circus della Formula 1 è Aramco, ovvero la compagnia petrolifera nazionale saudita.
Quale citazione migliore, quindi, per chiudere l’articolo di “Money, it’s a gas! Grab that cash with both hands and make a stash”?
a cura di
Andrea Giovannetti