Trilogia della città di K: la favola nera di Agota Kristof

Trilogia della città di K: la favola nera di Agota Kristof
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Trilogia della città di K di Agota Kristof, uscito in Italia nel ’98, è un esempio di letteratura contemporanea di ottima qualità.

Il romanzo è ambientato in un luogo non ben definito, presumibilmente nell’Est Europa, durante la Seconda Guerra Mondiale. La Grande città di K è stretta nella morsa della guerra. Lucas e Claus, due bambini gemelli, sono costretti ad andare a vivere con la nonna perché loro madre non può più prendersi cura di loro. La nonna è un’anziana bisbetica e crudele che tutti conoscono come “la strega” (si pensa infatti, che abbia avvelenato il marito).

L’anziana signora li terrà con sé, ma li farà lavorare duramente e non mancherà di insultarli e trattarli male, anche per ripicca verso la figlia, con la quale non ha un buon rapporto. Ma col tempo si affezionerà molto ai due piccoli.

Mentre il padre dei bambini è un corrispondente di guerra e comparirà solo in un secondo momento.

Sono tempi molto duri e i due bambini devono sopravvivere in un mondo fatto di fame, povertà, disperazione e sofferenza.

Ma Lucas e Claus sono anche due piccoli geni e se le inventano tutte per racimolare qualche soldo e aiutare la nonna e loro stessi, ad andare avanti. Nel corso delle loro giornate incontrano diversi personaggi, più o meno positivi: tutti senza un nome ma definiti o da un aggettivo o dal ruolo che ricoprono nella società (la Madre, la Nonna, il Curato, la Fantesca, l’Ufficiale, l’Attendente). Un’umanità vera, costretta a patire sofferenze per noi inimmaginabili.

Come la ragazzina soprannominata Labbra-leporino, chiamata così per via di una malformazione al labbro, che vive in una catapecchia assieme alla madre. Quest’ultima è affetta da una profonda depressione e se ne sta tutto il giorno a fissare il vuoto. Così la bambina non ha nessuno che si prenda cura di lei, è sporca e trasandata e inoltre ha a malapena di che sfamarsi. I due gemelli la aiuteranno a sopravvivere in diversi modi, prima di tutto procurandole del cibo e poi chiedendo aiuto al prete della città.

I due gemelli possiedono una straordinaria intelligenza per dei bambini della loro età, ma non intendono andare a scuola, così falsificano i documenti per fingersi sordo muti ed esserne esonerati. Impareranno tutto ciò che c’è da sapere da autodidatti, muniti solo di un dizionario, un quaderno e una matita. E dalla vita di tutti i giorni, naturalmente.

Inoltre si sottopongono al digiuno forzato, a punizioni corporali e umiliazioni psicologiche (insultandosi a vicenda) per aumentare la loro resistenza al dolore e temprarsi.

Poi scrivono tutto in un quaderno, per registrare i fatti. Da questo, deriva il titolo del primo capitolo del romanzo.

L’opera, scritta nell’arco di cinque anni, tra l’86 e il ’91, si divide in tre grandi capitoli: Il grande quaderno, La prova e La terza menzogna.

Impossibile interpretare la storia senza conoscere il passato dell’autrice, nata in Ungheria nel 1935 e rifugiatasi in Svizzera, assieme al marito e alla figlia, per fuggire dai moti ungheresi del 1956. Pare infatti, che alcuni episodi del romanzo, in particolare del primo capitolo, siano ispirati a fatti reali della sua infanzia.

È quindi palese che il racconto sia una metafora del regime sovietico nel quale la stessa Kristof ha vissuto: la repressione, la censura, la corruzione, la fame e la chiusura verso il mondo esterno sono tutti tratti tipici di quel periodo storico.

Lo stile della Kristof è asciutto, diretto e non lascia spazio alla benevolenza: tutto l’orrore della guerra è raccontato senza filtri e senza tralasciare alcun dettaglio macabro.

Il tema del sesso è trattato in più parti, quando i bambini hanno a che fare con adulti che manifestano delle strane perversioni. Anche in questo caso, l’autrice non lascia spazio all’immaginazione, ma racconta tutto nei minimi dettagli.

Ma il romanzo è un grande capolavoro, anche e soprattutto per le ultime pagine, dove viene stravolto tutto ciò che è stato narrato nei capitoli precedenti. Il lettore rimane quindi a bocca aperta e con diversi punti di domanda irrisolti. I due gemelli sono davvero esistiti o si tratta della stessa persona che si è immaginata un suo doppio? I fatti della loro infanzia sono davvero accaduti? Fino ad arrivare a non capire quale sia la realtà dei fatti e quale la parte immaginata.

La Trilogia della Kristof ha una scrittura che scorre velocemente ma colpisce come un pugno allo stomaco.

A cura di
Silvia Ruffaldi

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Silvia Ruffaldi

Silvia ha studiato Scienze della Comunicazione a Reggio Emilia con il preciso scopo di seguire la strada del giornalismo, passione che l’ha “contagiata” alle superiori, quando, adolescente e ancora insicura non aveva idea di cosa avrebbe voluto fare nella vita. Il primo impatto con questo mondo l’ha avuto leggendo per caso i racconti/reportage di guerra di Oriana Fallaci e Tiziano Terzani. Da lì in poi è stato amore vero, e ha capito che se c’era una cosa che voleva fare nella vita (e che le veniva anche discretamente bene), questa doveva avere a che fare in qualche modo con la scrittura. La penna le permette di esprimere se stessa, molto più di mille parole. Ma dato che il mestiere dell’inviato di guerra può risultare un tantino pericoloso, ha deciso di perseguire il suo sogno, rimanendo coi piedi ben piantati a terra e nel 2019 ha preso la laurea Magistrale in Giornalismo e cultura editoriale all’Università di Parma. Delle sue letture adolescenziali le è rimasto un profondo senso di giustizia, e il desiderio utopico di salvare il mondo ( progetto poco ambizioso, voi che dite ?).

2 pensieri su “Trilogia della città di K: la favola nera di Agota Kristof

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