Cari artisti, abbiate cura della vostra musica

Cari artisti, abbiate cura della vostra musica
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C’è troppa nuova musica”. Questo è stato, ed è tuttora, il cuore pulsante di molteplici conversazioni, discussioni e riflessioni. Situazioni che coinvolgono artisti, uffici stampa, promoters, giornalisti, redattori e tante altre categorie di lavoratori che operano nel settore musicale.

L’inarrestabile produzione discografica dell’ultimo anno, specialmente dal periodo di lockdown, pare essersi assestata su un numero di uscite musicali – tra singoli, EP e album – compreso tra le sessanta e le cento nuove canzoni a settimana.

Traducendo pragmaticamente questi dati, l’addetto ai lavori, così come l’ascoltatore medio, qualora volesse stare al passo con tutte le novità dello scenario musicale (emergente e non), dovrebbe idealmente riuscire a ritagliarsi del tempo – tanto tempo – da dedicare esclusivamente all’ascolto dei nuovi brani.

Ipotizzando una durata media di tre minuti a canzone, parliamo di un ascolto complessivo compreso tra le tre e le cinque ore; presupponendo, poi, un ascolto attento, immersivo ed imprescindibilmente legato a processi di metabolizzazione e relativa analisi del singolo brano – com’è proprio fare da parte dei critici musicali -, il tempo di ascolto totale potrebbe persino aumentare.

Per quanto viscerale possa essere la passione per la musica, chi è che dedica realmente tutto questo tempo all’ascolto delle canzoni nuove?

Per quanto sentita ed urgente sia la voglia di comunicare qualcosa, quali artisti riescono effettivamente a emergere dal crescente “rumore di fondo”?
Purtroppo per noi, per voi, purtroppo per la musica: quasi nessuno.

Da semplice tendenza ad apparente conditio sine qua non: produrre il più possibile nel minor tempo possibile è un modus operandi che, pur avendo subito un incremento inimmaginabile soprattutto in questo ultimo, fatidico anno, caratterizza da parecchio tempo l’attività discografica di artisti e band, ma sono state le parole pronunciate pochi mesi fa da Daniel Ek, SEO di Spotify, a legittimare ed incentivare il fenomeno dell’iperproduzione musicale.

Alcuni artisti che avevano successo una volta potrebbero non averne altrettanto sugli scenari futuri, dove non si può fare un disco ogni tre o quattro anni e pensare che sia sufficiente. Gli artisti che oggi ce la fanno capiscono che si tratta di coinvolgere i fan. Si tratta di mettersi al lavoro, di creare uno storytelling attorno all’album e intrattenere un dialogo continuo coi fan”.

Insomma, se vuoi sopravvivere come musicista devi pubblicare, pubblicare, pubblicare.

Ma cosa succede se lo fai? E se invece non lo fai?
Ancora una volta, nonostante i due quesiti rispecchino condizioni agli antipodi, la risposta è identica per entrambi: non succede quasi nulla.

Come suggerito dal titolo dell’articolo, queste righe di riflessione hanno come principali destinatari proprio loro, gli artisti, protagonisti non sempre né totalmente consapevoli delle dinamiche in gioco del nuovo mercato musicale.

Ma chi sono gli artisti di oggi?

Nel corso del tempo le regole e i gradi accessibilità del settore musicale sono stati ampiamente modificati: la musica, un tempo esclusivamente “fisica”, è oggi quasi totalmente digitalizzata, dalla primordiale fase di lavorazione e produzione del brano all’immissione finale dello stesso sulle piattaforme di streaming.

Un processo molto simile riguarda anche l’iniziazione dell’artista che, se prima dell’era digitale doveva armarsi di talento, perseveranza e di una buona dose di fortuna per affermarsi in quanto tale, oggi ha a disposizione strumenti decisamente più accessibili con cui inaugurare il proprio percorso musicale alla velocità della luce. Persino io, se volessi, potrei aprirmi un profilo Spotify for Artist, caricarvi qualche canzone registrata in studio et voilà: ecco una nuova artista.

Vero è che questo cambiamento ha portato innumerevoli vantaggi a chi, seppur artisticamente valido, non ha risorse economiche sufficienti per sostenere i costi del proprio progetto musicale, ma è altresì vero che snellire in questo modo fulmineo e per nulla selettivo gli indispensabili step che trasformano il musicista/cantante in un artista ha alimentato una convinzione a dir poco aberrante: chiunque può essere un artista.

c'è troppa nuova musica
Fermi tutti, cari lettori. Placate le dita sulle vostre tastiere.

La musica è un bene comune, una risorsa incommensurabile, un balsamo salvifico. Uno degli hobby più stimolanti e delle passioni più longeve nella vita di un individuo. In quanto tale, la musica è di tutti, certo. Ma non è per tutti, siamo d’accordo?

Veloci, di corsa, “dai dai dai” (come direbbe René Ferretti). Una volta approdati nel mercato musicale, bisogna alimentare la sua catena di montaggio con il maggior numero possibile di canzoni. Che ci abbiate dedicato cinque minuti o cinque mesi, che l’abbiate scritta voi o qualcun altro per conto vostro, che ascoltarla per la prima volta vi abbia fatto commuovere o lasciati piuttosto indifferenti, non importa poi granché.

Questo accade perché le canzoni vengono percepite e trattate sempre più come fossero prodotti, e non esperienze. Ma perché?

Zygmunt Bauman, sociologo divenuto famoso per la teoria della modernità liquida, afferma in molteplici dei suoi testi (Amore Liquido, 2003; Vita Liquida, 2005) che le relazioni odierne facciano perno su principi e regole simili a quelli su cui si fonda il consumismo tipico delle società industrializzate: usufruire di un prodotto il più possibile nel minor tempo possibile, per poi passare a quello successivo.

E dunque, se è vero che – più o meno inconsciamente – tendiamo a utilizzare le persone come fossero prodotti, perché non dovremmo fare altrettanto con le canzoni?

Questo brutale accostamento era indispensabile per introdurre e, in parte, spiegare due fenomeni interconnessi: quello delle cosiddette canzoni “usa e getta” e quello degli artisti stagionali.

Le canzoni usa e getta altro non sono che il risultato finale della folle corsa di tutti quegli artisti – specialmente gli emergenti – ossessionati dai famigerati numeri online: i likes sui social, gli streams su Spotify, l’inserimento nelle playlist e così via dicendo.

È doveroso precisare che l’origine di questa folle maratona non è da ricercare (esclusivamente) nella natura masochistica di chi fa musica oggi. Ma (anche e soprattutto) in tutte quelle realtà, piccole o mastodontiche, che alimentano negli artisti la convinzione che quello sia il solo modo per farsi ascoltare, notare e ricordare. Per una settimana, o al massimo per qualche mese.

Avete presente le playlist a pagamento?

Giuriamo solennemente di trasformare la tua nuova canzone nel tormentone della settimana”.

 Avete presente i talent show?

Non ci sarà ascoltatore nel nostro mondo che non conoscerà il tuo nome per i prossimi tre mesi”.

La sensazione è che ad orientare perentoriamente l’operato, le tempistiche e le scelte degli artisti di oggi non sia il tanto decantato amore per la musica, bensì la paura di rimanere “fuori dal giro” finendo inesorabilmente nel dimenticatoio.

Pare, in definitiva, che chi fa musica oggi conviva quotidianamente con il terrore che le parole pronunciate dal SEO di Spotify la scorsa estate assumano i connotati di una profezia che non permette a nessuno di fermarsi neanche per un istante, pena l’oblio, un oscuro punto di non ritorno.

Ma l’arte ha bisogno di tempo.

Un tempo suo soltanto, sacrosanto ed intoccabile. Una bolla all’interno della quale il processo creativo nasce da un’urgenza comunicativa specifica, si traduce in note e parole e soltanto alla fine prende forma in una o più canzoni. Canzoni in cui i pensieri e i sentimenti dell’artista si incastrano e manifestano in maniera unica e idealmente non replicabile.

Senza questo tempo, da processo prevalentemente creativo fare musica si riduce ad una macchina che sforna meccanicamente parole già sentite e canzoni molto simili tra loro.

Pochi giorni fa un artista con cui collaboro mi ha fatto ascoltare un suo brano inedito per sapere cosa ne pensassi. Una volta fornitogli il mio feedback, gli ho rigirato la domanda. “È una mia canzone. È ovvio che mi piaccia, no?”, ha risposto lui.

Eppure, non giurerei che ogni canzone abbia a priori la stessa importanza, lo stesso legame affettivo e valenza narrativa per chi l’ha scritta/composta. Altrimenti – data l’attuale tendenza a pubblicare nuovi brani in maniera seriale e, a tratti, compulsiva – come sarebbe possibile dar voce e forma musicale a tutti quei piccoli pezzi di noi in maniera così semplice, immediata e frequente?

Si, ok, ma quindi? Ci stai chiedendo di pubblicare meno canzoni?

Ci tengo a precisare che, operando come libera professionista nel settore musicale, senza nuova musica non esisterebbe il mio lavoro. Dunque, non è mia intenzione, né rientra nelle mie concrete possibilità l’idea di arrestare il vigente fenomeno dell’iperproduzione musicale.

Non vi sto chiedendo di produrre meno musica, ma di ascoltarvi più di quanto già facciate, così da tradurre ciò che siete e sentite in canzoni migliori, sincere, reali. Siate cocciutamente voi stessi. Non permettete all’impazienza di emergere o alla paura di scomparire di sminuire la vostra creatività, il vostro modo unico di comunicare quell’universo artistico che è vostro soltanto.

Ascoltatevi, mettetevi in discussione nota dopo nota, siate ambiziosi al di là del consenso altrui. Cercate costantemente di pretendere sincerità da parte di chi vi conosce, ascolta e sostiene in maniera continuativa. Imparate a riporre fiducia nelle parole e nei consigli di chi lavora con e per voi, più che nelle playlist editoriali di Spotify o nel numero di followers.

Insomma, cari artisti, la vostra musica è preziosa: abbiatene cura.

a cura di
Annalisa Senatore

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Annalisa Senatore

Annalisa all’anagrafe, ma sul web e nel cuore lei è @annamatita_. Nata e cresciuta a Siracusa, ha una laurea in psicologia, una in neuroscienze, un master in comunicazione digitale eeeee Macarena! Vive a Bologna dal 2015 ed è proprio in questa meravigliosa città che ha conseguito la prestigiosa specialistica in “Casi umani: dove trovarli (e lasciarli)”. Social media manager, press officer, sniffatrice seriale di libri, sosia ufficiale di Amy Winehouse e orgogliosissima Serpeverde.

2 pensieri su “Cari artisti, abbiate cura della vostra musica

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