UN, DUE, TRE, SALMO! Su come il rapper sardo ha dominato l’ultimo quinquennio musicale italiano

UN, DUE, TRE, SALMO! Su come il rapper sardo ha dominato l’ultimo quinquennio musicale italiano
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Una volta in radio ho sentito di un articolo che parlava del rapporto tra musica e psicologia. Il tal Jason Rentfrow, professorone di Cambridge, parlava qui di come esistessero tre “età della musica” e di come i gusti musicali cambiassero, appunto, in base all’età…interessante, si, ma anche ‘sticazzi: ci voleva davvero un docente di Cambridge per dircelo?

Dopo essermi messo l’ovvietà in tasca (scusa Cambridge, forse è solo invidia) ho comunque provato a leggere il mio percorso musicale. Come in una soggettiva alla Wes Anderson mi sono immaginato un bagaglio in primo piano ricolmo di cassettine, cd, vinili e biglietti di concerti e in questa babele musicale fatta un po’ di ricordi e un po’ di contemporaneità è spuntata, tra un disco degli Afterhours e un poster dei Beatles, una copertina rossa; sul carminio campeggiava un uomo con maschera da teschio, ciuffo e basettone di presleyana memoria.

Il riferimento al Pelvis from Memphis è ripetuto, con un diabolico gioco di parole, anche nel titolo dell’album: si tratta di “Hellvisback”, alba del 2016. E’ però già sul tramonto del 2015 che è arrivata la mia prima grande folgorazione.

LA PRIMA DI TRE: 1984

“1984/vengo al mondo d’estate” è oggi per me una frase indivisibile, come se quelle parole potessero esistere solo una attaccata all’altra, forgiate insieme. Come la chiave di un forziere il primo singolo estratto da “Hellvisback” di Salmo è un lasciapassare per una concezione diversa di rap, una dichiarazione d’intenti, un manifesto stilistico quasi senza eguali nel circuito dell’hip-hop italiano.

L’accennato riff di chitarra crea un tessuto musicale che accoglie in maniera netta e pulita, come fosse una sindone, l’umanità che trasuda da un flow graffiato e graffiante; le punchline, sapienti e ricercate, compongono in questo pezzo un affresco crudo ed incazzato della sua vita, un graffito che racchiude sia gli inizi nella sua Sardegna che le cadute londinesi, per poi comprendere infine – quasi come una predizione – il successo raggiunto fino a quel momento, solo un’ombra di quello che effettivamente verrà.

Pezzo fondamentale inserito in un altrettanto fondamentale album: “Hellvisback” è un disco cazzuto, un disco allo stesso tempo pesante e raffinato, un disco in cui senti tutta la forza delle basi e tutti i fendenti della voce. Le atmosfere presenti, tratto distintivo delle opere del rapper, sono molteplici: si passa dal deserto nel Far West di “Hellvisback”, riuscitissima traccia omonima del disco, al club di “La festa è finita”.

Possiamo trovare dell’hip-hop ‘90s in “Giuda” e “7am” e delle sonorità digitali e futuristiche in “Io sono qui”, il tutto passando per le osmosi musicali di “Mic Teaser” e “Il Messia”. Una creazione ibrida, fresca e malleabile: per la prima volta il rap non mi appariva chiuso a (bellissimi) schemi fissi ma mi si apriva ad orizzonti nuovi e fluidi.

Un po’ come un film che vince l’Oscar o un gol in rovesciata in una finale, per Salmo l’esordio con una major è stato una fiammata, uno scoppio potente che ha investito orecchie e timpani provenienti da mondi musicali differenti: l’onda d’urto ha tanto colpito i non affiliati alle cosche rappuse italiane quanto esaltato i sostenitori delle barre made in Italy, mettendo d’accordo una forbice di pubblico ampia da Bassi Maestro ai Club Dogo.

LA SECONDA DI TRE: Il live

Dopo la folgorazione di “1984” ed “Hellvisback” il rapper sardo aveva definitivamente fatto breccia nel mio mondo musicale. Era ora presente qua e là in qualche mia playlist Spotify; lo si citava, spuntava nei lunghi viaggi in macchina o nelle feste con gli amici.

Insomma, c’era, ma come c’erano tanti altri. Non faceva ancora parte di quell’heaven musicale che ogni persona, come un orticello, coltiva di giorno in giorno: che fosse stato solamente un buonissimo frutto di stagione passeggero? 

E invece, come una ragazza che vuole essere corteggiata, la subdola mossa del rapper è stata quella di essere sempre presente tra un disco e l’altro, di non scomparire mai veramente, essere dietro l’angolo pronto a comparire per poi ritornare a nascondersi.

Nascondersi e agire nell’oscurità, non andarsene. Perché se si parla di Salmo bisogna parlare della sua grande produzione, del suo grande fare: non solo sotto l’aspetto musicale, ma anche sotto l’aspetto del marketing, degli eventi, della regia ed interpretazione dei suoi video.

Dopo “Hellvisback” Salmo si presenta all’Italia come un’artista polivalente sfruttando ovviamente l’onda d’urto della sua musica. Nascondersi, ricomparire, rinascondersi, ricomparire: il 10 Novembre 2016 esce la chilanga “Don Medellin”, il 21 Luglio 2017 la hit da beach party “Estate dimmerda”, il 24 Novembre 2017 la sfacciata “Perdonami”, il 21 Settembre 2018 l’inizio del successo totale, “90 min”, il 9 Novembre 2018 finalmente l’album dei record, “Playlist”.

Un percorso da rollercoaster che ha però permesso all’olbiese di macchiare il territorio italico e di prepararlo alla sua, per il momento, magnus opus. Un album che conoscono tutti, pure quelli a cui non piace l’artista sardo: l’impatto è stato devastante.

Personalmente, però, il livello rispetto ad “Hellvisback” mi è sembrato minore, sempre che si possa riassumere il valore di un’opera con un mero livello. L’estro, la magia, la garra contenuti nel precedente album non mi sembravano nemmeno paragonabili.

Non tradito, ma scottato, ho deciso di arrivare faccia a faccia con il rapper, a capire veramente se le mie sensazioni fossero state giuste, se fosse possibile ri-folgorarmi: ho deciso di andare ad un suo live. Forse, IL live, quello al Forum di Assago, Milano.

E poi di riandarci una seconda volta, al Collisioni Festival di Barolo, Cuneo, giusto perché mi andava di capire se l’animale da palco visto la prima volta potesse essere tale anche su di una carrozzina e con una gamba gessata. Non parlerò del sudore speso in quei due concerti, della voce persa, dello stupore improvviso.

Non parlerò di come si infuocò il Forum con l’arrivo di Noyz Narcos, Madman, Gemitaiz o del pogo tra le colline ubriache delle Langhe, non parlerò perché, come ogni concerto, la musica va vissuta. L’evento, la gente, le urla. Se mai qualcuno leggerà questo articolo e arriverà coraggioso fino a qui, bè sappia solo una cosa: che bisogna andare ad un concerto di Salmo e vederlo, non sentirne parlare e farselo bastare.

Ah, e anche che dopo l’uscita nel Luglio di questo anno del “Machete Mixtape vol.4” le variabile impazzite a questo concerto possono essere pressochè infinite. E bellissime.

LA TERZA DI TRE: Il “Machete Mixtape vol.4”

Ora si che il rapper è entrato nel mio personale heaven musicale. A modo suo, con la sua fetta, ma indubbiamente in maniera importante. Salmo con “Playlist” è diventato, se possibile, ancora più polivalente: ancora più artista, forse meno rapper, sicuramente più completo.

Una figura musicale che sa offrirti atmosfere lontane, testi sofisticati e di denuncia, testi leggeri buoni solo da canticchiare, dichiarazioni d’amore metropolitane, hit dal ritornello irriverente. Salmo ha abbracciato una totalità che, attraverso i suoi live, sono diventati il suo verbo: la gente che canta “Lunedì” o “Il Cielo Nella Stanza” è la stessa che si esalta con “Ho Paura di Uscire” e si scatena sulle battute di “Tiè”.

L’humus musicale di Salmo, mai così variegato, è preso a braccetto da una miriade di iniziative di marketing che hanno fissato nell’immaginario comune un personaggio ben preciso, cafone ma intelligente, sfrontato ma giusto: un Salmo super-partes, fedele solo alla sua crew, un personaggio sostanzialmente inattaccabile. E che non ne sbaglia una.

Che sia in televisione da Alessandro Cattelan o da Manuel Agnelli, alla radio da Max Brigante, che giri un video con Alessandro Borghi o sia presente ad una data del Jova Beach Party il rapper trasforma in oro tutto ciò che tocca, tutto ciò che lo riguarda. Dalla musica agli eventi passando per il merchandising. Un Re Mida dei nostri giorni.

Ma quindi, Salmo è solamente un grande artista, un grande performer, o c’è dell’altro? E se si nascondesse, dietro la mise sfrontata e anarchica, un abile stratega? A confermare questa tesi, credo di poter portare l’esempio del “Machete Mixtape vol. 4”, per me l’ennesima folgorazione.

Perché ergersi a capofila di un progetto è difficilissimo e pieno di responsabilità, e se in un mercato sempre più ampio e conteso riesci a dominare con numeri strepitosi, cazzo, allora sei bravo per davvero.

Salmo riesce a sorprendere perché questa volta ad emergere, più che lui, sono forse tutti gli ospiti del mixtape: introdurre nuove leve come Tha Supreme e Shiva, confermare la meglio gioventù come Lazza e Nitro, presentare pesantemente al nuovo pubblico Dani Faiv e rispolverare vecchi leoni con Marracash, Fabri Fibra e Jack the Smoker.

Dove arriva lui, arrivano anche i suoi, insomma. Un’opera titanica con un risultato titanico, una compila di 18 brani mai così azzeccata per stili e generi mischiati tra loro, tra voci perfettamente a loro agio insieme e piccole perle divenute già dei cult.

Ed ora, a Dicembre 2019, un nuovo colpo battuto: “Playlist Live”, con all’interno due inediti di cui uno, “Charles Manson – Buon Natale 2” che segue il solco tracciato da “Ho Paura di Uscire” e “Yoshi”, entrambi remixati e riproposti con una versione alternativa. Pure nel ripresentarsi vuole avere un suo stile, il caro Maurizio.

Perché Salmo non se ne vuole andare, e se scompare è solo per ritornare più rumorosamente di prima.

a cura di
Alessandro Tarasco

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