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Sono sbarcati oggi su Disney Plus i primi due episodi della serie targata FX, Alien: Earth. Ideata, scritta e diretta da Noah Hawley, la serie promette di riscrivere le regole del franchise, donando nuova linfa a uno degli universi narrativi più amati e longevi della storia.

Cos’è peggio di essere inseguiti da uno Xenomorfo? Essere inseguiti da uno Xenomorfo e da altre letali creature aliene!

Sono disponibili da oggi su Disney Plus, i primi due episodi di Alien: Earth, prima attesissima serie di uno dei franchise più amati e longevi del panorama cinematografico.

Ideata, scritta e (in parte) diretta da Noah Hawley – già creatore delle serie tv Fargo e LegionAlien: Pianeta Terra (questo il titolo italiano) si pone un duplice obiettivo. Da un lato richiamare quelle atmosfere horror che hanno fatto la fortuna del cult diretto da Ridley Scott; dall’altro ampliare un universo narrativo già spremuto, tra film, videogiochi, libri e fumetti, donandogli nuova linfa. E in questi primi due episodi, Noah Hawley sembra aver centrato in pieno l’obiettivo.

La serie promette di attuare un importante restyling, reinventando la saga degli Xenomorfi e spostando l’azione dallo spazio al nostro Pianeta Terra. Un profondo atto di rifondazione, che ricorda quello attuato anche per l’universo di Predator, rivitalizzato da Prey prima e dal film d’animazione Killer of the Killers poi. In attesa del nuovo capitolo Predator: Badlands.

Alien: Earth

Anno 2120. La nave spaziale Maginot, con a bordo un equipaggio di umani e androidi, è di ritorno sulla Terra dopo una missione di ricerca e recupero di sconosciute forme di vita aliene. Durante il viaggio, però, un incidente libera alcune di queste creature e l’astronave precipita sul nostro pianeta.

Parallelamente, la Prodigy – compagnia tecnologica fondata da un geniale ragazzino di nome Boy Kavalier – dà alla luce i primi meta-umani, come Wendy (Sidney Chandler). Corpi sintetici adulti in cui vengono impiantate le coscienze di bambini malati, in fase terminale. Un’invenzione capace di salvare le loro vite e, allo stesso tempo, di inaugurare una nuova frontiera evolutiva.

L’eredità del franchise

La nuova serie FX disponibile su Disney Plus – i cui episodi verranno da ora rilasciati settimanalmente – punta sull’usato sicuro. Un’astronave in missione nello spazio, un equipaggio formato da umani e sintetici, un pericolo imminente che minaccia le loro vite. I richiami al film di Ridley Scott sono chiari, fin dall’overture iniziale con il titolo che va piano piano svelandosi, mentre una tetra colonna sonora accompagna le prime immagini.

Scopriamo il nome della nave spaziale (emblematico il richiamo a una linea di fortificazioni per contrastare le minacce esterne), conosciamo l’equipaggio all’interno e l’anno in cui è ambientata la storia: 2120. Appena due anni prima degli eventi del film del 1979.

Hawley dimostra di essere molto fedele alle atmosfere horror del primo capitolo – strada intrapresa anche da Fede Alvarez per il suo Alien: Romulus – rifuggendo (per ora) l’anima più action di Aliens. Il risultato è una tensione che si costruisce piano piano, che brucia a fuoco lento per poi gradualmente divampare in alcune sequenze angoscianti e adrenaliniche.

Wendy (Sidney Chandler)

Questa volta, però, a minacciare i nostri protagonisti e l’umanità non c’è solo uno Xenomorfo, ma anche altre specie aliene recuperate dall’equipaggio durante la spedizione. Piccoli insetti che prosciugano il sangue delle loro vittime, un grande occhio munito di tentacoli che si impadronisce del cervello ospite, un enorme bozzolo dal quale fuoriesce una creatura vermiforme. E alcune uova. Quelle uova che abbiamo imparato a conoscere e temere.

A fronteggiare la minaccia, da una parte Wendy e gli altri meta-umani, guidati dal sintetico Kirsh (Timothy Olyphant) e inviati da Kavalier, interessato al carico della nave spaziale. Dall’altra una squadra militare accorsa proprio sul luogo dello schianto della Maginot, coadiuvata da alcuni assistenti medici, tra cui figura Hermit (Alex Lawther), fratello umano di Wendy.

L’avidità umana

Usato sicuro, ma anche innovazione. Il microcosmo che Alien: Earth vuole approfondire, rispetto a quanto visto nei film, è quello relativo agli androidi e alle multinazionali. Fin dagli esordi del franchise abbiamo conosciuto esseri ibridi ambigui e imprevedibili. A partire da Ash (Ian Holm), ufficiale scientifico della Nostromo, che nel film del ’79 si rivela un androide incaricato dalla compagnia (la Weyland-Yutani) di prendere in consegna l’alieno. E non importa se, per farlo, è costretto a mettere in pericolo i membri dell’equipaggio.

Ci sono stati poi androidi più docili e collaborativi, come il Lance Bishop di Lance Henriksen in Aliens o come Annalee Call (Winona Ryder) in Alien: La clonazione. Per poi tornare a una versione più sfuggente come quella di Andy (David Jonsson), vista in Alien: Romulus. Senza dimenticare il sinistro ed inquietante David di Prometheus e Alien: Covenant, interpretato da Michael Fassbender.

Il sintetico Kirsh (Timothy Oliphant)

Non era mai stato esplorato, però, uno schema completo e complesso delle varie potenze tecnologiche in gioco. Ed è proprio in questa direzione che si muove la serie di Noah Hawley. Le didascalie poste all’inizio del primo episodio forniscono un’utile panoramica per capire il mondo tecnologico nel quale ci stiamo per addentrare. Un mondo governato da multinazionali.

Nel futuro, tre specie gareggeranno per la corsa all’immortalità: i Cyborg (umani cibernetici potenziati), i Synth (Esseri artificiali intelligenti) e gli Ibridi come Wendy. La tecnologia migliore indicherà quale Compagnia governerà l’universo. Una vera e propria lotta per la supremazia. Una supremazia tecnica per il controllo dell’evoluzione scientifica.

E il carico della nave Maginot non è altro che un’occasione per dimostrare tale superiorità. Lo scontro è tra la Weyland-Yutani, proprietaria della nave e quindi del suo carico, e la Prodigy, che ne nega il recupero perché precipitata sul proprio territorio. La minaccia aliena diviene mera merce di scambio, evidenziando come il vero pericolo per l’umanità si celi in realtà nel profitto.

Un aspetto introdotto e affrontato soprattutto nei primi film della saga, ma che la serie promette di approfondire, svelando come la mostruosità si nasconda nell’essere umano e nella sua avidità.

Un inizio confortante

A fronte di qualche spiegone di troppo – utile però al world building iniziale – e di un ritmo piuttosto altalenante, i primi due episodi di Alien: Earth lasciano ben sperare. Noah Hawley e Dana Gonzales dimostrano di aver ben studiato il materiale originale: una regia coinvolgente e claustrofobica, che però fa forse troppo affidamento su una costruzione della tensione già nota e collaudata. Almeno in questi episodi iniziali.

La serie alterna sequenze di puro terrore a momenti più distesi e introspettivi, affidati soprattutto al rapporto fraterno tra Wendy ed Hermit. Due fratelli che si riabbracciano a distanza di anni, cresciuti (lui) e mutati nell’aspetto (lei), felici finalmente di essersi ritrovati. Un tema, quello dell’amore fraterno, già brillantemente introdotto in Alien: Romulus.

Ed è proprio sul rinnovato entusiasmo per la saga, lanciato dal film di Fede Alvarez, che Alien: Earth si muove con intelligenza. Capace di trovare il giusto equilibrio tra le sequenze splatter/gore dei primi capitoli e i momenti di riflessione sull’evoluzione delle specie e sul rapporto umani-androidi inaugurati in Prometheus.

a cura di
Alessandro Michelozzi

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