Grand Theft Hamlet, il documentario vincitore del SXSW girato da Pinny Grylls e Sam Crane, sarà disponibile su MUBI a partire da domani, venerdì 21 febbraio. La particolarità di quest’opera è quella di essere stata girata all’interno di un videogioco. L’esperimento, nato casualmente, rappresenta una novità all’interno del mondo cinematografico
Grand Theft Hamlet è stato girato in un periodo storico che ha coinvolto tutto il panorama mondiale, quello della pandemia. Crane e il suo amico Mark Oosterveen hanno passato molto tempo a giocare a GTA, per distrarsi un po’, durante il periodo di clausura forzata dovuto alla pandemia. Da qui, però, è nata un’idea insolita, ma al tempo stesso geniale.
“Grand Theft Hamlet”
Crane e Mark immaginano, dopo essere fuggiti dalla polizia all’interno del gioco, di ritrovarsi nel Vinewood Bowl, la versione di GTA dell’Hollywood Bowl. All’interno del mondo virtuale, i due amici mettono in scena Amleto, iniziando così a fare le audizioni per gli attori dell’opera teatrale. Nel corso di questa parte del documentario, hanno modo di conoscere ed interfacciarsi virtualmente con persone provenienti da varie parti del mondo e di varie estrazioni sociali.
In questa avventura videoludica incontrano un estimatore di Shakespeare, un cuoco storico, una nota doppiatrice di videogiochi (Jen Cohn) e una giocatrice che ha fatto coming-out con la sua famiglia.
L’opera intreccia il mondo reale con quello virtuale, mettendo in rilievo non solo le problematiche legate al gioco, ma anche quelle legati alla vita quotidiana dei player-attori, con una grande dose di ilarità.
Un mondo senza confine?
Grand Theft Hamlet rappresenta un grande esperimento sociale. A quanti di voi lettori, infatti, sarà capitato di giocare ai videogiochi online e di interagire con persone appartenenti a realtà differenti? Tutto ciò può unire i partecipanti, ma al tempo stesso potrebbe anche dividerli.
In questo mondo c’è spazio per tutti. A Mark e Crane è bastato un semplice passaparola per pubblicizzare le audizioni per Hamlet. Un luogo all’apparenza semplice e veloce, ma che nasconde al suo interno tante complessità.
Man mano che vengono scritturati i personaggi, non solo veniamo a conoscenza del loro vissuto, ma c’è anche chi, a causa del suo lavoro, deve abbandonare il ruolo che gli era stato assegnato. Oltre agli attori, scopriamo anche qualcosa sui registi: mentre Sam ha famiglia e bambini, Mark è solo. Il ragazzo parla della solitudine da cui si sente attanagliato. Il gioco rappresenta, quindi, la sua unica via di fuga e ne diventa quasi ossessionato, come gli fa notare un’amica. Come se, per lui, quell’universo fosse diventato il suo tutto.
Essere o non essere?
Ma cosa lega un mondo videoludico come quello di GTA all’Amleto di William Shakespeare? Come nell’opera più famosa del drammaturgo inglese, anche i player del gioco sono tormentati dai dubbi riguardanti la propria esistenza e cercano di fuggire dalla realtà, in un “altrove”.
Uno dei punti più emozionanti del documentario è quando i registi parlano con altro player di nome Driver. Si discute di quanto sia labile il confine tra la vita e la morte, e di quanto, a volte, il suicidio possa essere l’unica strada per individui con vissuti tormentati.
Ve lo consigliamo?
Grand Theft Hamlet è un documentario completamente diverso da quelli che già conoscete. La storia non risulta già scritta, ma prende forma man mano, scena dopo scena. Il mondo virtuale lascia il posto a quello reale e viceversa, in una realtà in cui ognuno può mostrarsi per chi veramente è e non per quello che deve dimostrare tutti i giorni di essere.
Essere o non essere? Questo è uno degli interrogativi a cui tutti noi siamo chiamati a rispondere giorno dopo giorno e a cui, silenziosamente e con grande maestria, Grand Theft Hamlet cerca di dare risposta.
a cura di
Maria Raffaella Primerano
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