Erica Mou e le intense sfumature della vita. L’intervista

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Erica Mou, poliedrica artista con all’attivo sei album in studio, due romanzi e oltre ottocento concerti in Italia e all’estero, ha pubblicato il suo settimo disco il 15 novembre dal titolo “Cerchi”. Un viaggio alla scoperta del proprio io che passa attraverso le complicate ed intese sfumature della vita.

CERCHI è il nuovo album di ERICA MOU pubblicato il 15 novembre 2024, settimo della sua discografia. Composto da undici tracce, l’album descrive un cammino di crescita e scoperta, che inciampa nella Circolarità del tempo, un cerchio che non si chiude mai completamente ma in cui eventi e relazioni si ripresentano simili trovandoci diversi, in una profonda riconciliazione con sé stessi. Su The Soundcheck l’artista ha raccontato meglio il suo lavoro e la sua musica.

Ciao Erica e benvenuta su The Soundcheck. “Cerchi”, il tuo ultimo album, esplora la ciclicità del tempo e il modo in cui eventi e relazioni si ripresentano. Cosa ti ha ispirato a lavorare su questo tema e come lo hai tradotto in musica?

Sentivo di essere in un momento della vita in cui stavo affrontando cose che avevo già vissuto in passato ma in un modo nuovo. Ogni canzone tocca questo tema con sfumature diverse, si passa dalla ciclicità di essere genitori e figli, a quella di tornare a vivere da adulti nel posto dal quale si è andati via da ragazzi, al ripresentarsi di abitudini in differenti storie d’amore, e molte altre declinazioni che si traducono in atmosfere musicali diverse tra loro ma accumunate dallo stesso filo.

L’album si apre con “Madre”, un brano che sembra creare un ponte con il tuo libro Una cosa per la quale mi odierai. Come si collegano i due progetti e in che modo l’esperienza di scrittura del libro ha influenzato il processo creativo di questo disco?

Forse devo proprio a Madre l’aver iniziato a scrivere il romanzo. Infatti una parte del testo della canzone è
confluita nel libro e ne ha ispirato la struttura. Anche Una cosa per la quale mi odierai racconta di un cerchio, descrivendo i nove mesi della malattia di mia madre mentre a mia volta stavo vivendo i nove mesi dell’attesa di mia figlia. Infatti in tour, all’interno della scaletta del concerto, c’è anche spazio per un paio di letture dal romanzo che dialogano con le canzoni di Cerchi.

In “Canzone per la me che sono stata” inviti a riflettere sul passato con accettazione e perdono. È un messaggio universale, ma quanto di questa traccia è personale? Hai avuto un momento specifico che ti ha portato a scrivere questa lettera a te stessa?

Ero in una casa bellissima a Roma, prestata da un’amica. Ero sola e nell’armadio, cercando il fon, ho trovato una chitarra. L’ho presa e ho scritto questo brano senza neanche pensare. È un saluto a una parte di me, della mia vita, che non esiste più eppure continua a vivere da qualche parte, nel profondo, tra
la pancia e la voce. Penso che tutti, nel corso della vita, nasciamo più volte. Così questo brano chiude l’album ma in un certo senso lo riapre anche.

La residenza artistica al Teatro Petrella di Longiano è stata un luogo cruciale per la nascita dei brani. Come ha influito questa esperienza sulla scrittura e sulla registrazione dell’album?

Avevo scritto tante canzoni e sono arrivata a Longiano senza sapere bene su quali, tra queste, avremmo lavorato ma con la certezza che al mio fianco ci sarebbero stati Flavia Massimo (al violoncello), Molla (alla ritmica e al basso) e il nostro fonico Fabio Cardone. Volevo che il disco fosse fatto dalle stesse persone che mi accompagnano in tour, che avesse dentro la verità di un istante. È stata un’esperienza incredibile, a livello personale e umano. Arrangiavamo brani da mattina a notte, con un’intensità e un’armonia pazzesche.

Nei tuoi testi affronti temi come l’incertezza dell’età adulta e l’inquietudine che questa crescita comporta. Come sei riuscita a bilanciare introspezione personale e riflessioni universali in “Cerchi”?

Penso che non ci sia niente di più universale di un’esperienza personale.

Le sonorità sono state registrate in una dimensione live, cercando di catturare la verità del momento. Quali sfide e vantaggi hai trovato in questo approccio, rispetto a un processo di registrazione più tradizionale?

Il vantaggio è l’emozione che viene catturata, l’originalità del suono, la scintilla creativa che non viene
sotterrata da altri mille passaggi e rifacimenti. La sfida è stata prima di tutto acustica, ovvero riuscire a preservare alcune registrazioni fatte in teatro che ovviamente non hanno la stessa pulizia di quelle fatte in studio. E poi ritrovare un’oggettività su ciò che poteva essere lavorato ulteriormente, senza perdere il calore iniziale.

Descrivi ogni brano come una maglia di una collana, con la prima e l’ultima canzone che si tendono le mani. Quanto è importante per te l’idea di un album come un’opera completa, rispetto a una collezione di singoli?

Forse sono un po’all’antica su questo ma amo gli album. Mi piace dare un senso alla sequenza delle tracce, all’ oscillare dei ritmi e dell’atmosfere in questo viaggio. Ovviamente io scrivo canzoni e
ognuna ha la sua storia e la sua vita ma poi è affascinante vedere come possano dialogare tra loro, arricchendosi di senso. Ed è molto bello a livello musicale esplorare con un album le varie
possibilità di un’idea di suono inziale che ci si è dati quando si comincia ad arrangiare i brani.

a cura di Noemi Didonna

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