Cari amici uffici stampa, promoter e organizzatori, avete rotto il cazzo.

Cari amici uffici stampa, promoter e organizzatori, avete rotto il cazzo.
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Lettera aperta e a cuore aperto a chi, come noi, ha scelto con non poca difficoltà e con non poco coraggio di vivere in questo ambiente: la musica. Tra timori e richieste a volte plausibili, altre volte tendenti all’assurdo

Cari amici uffici stampa, promoter e organizzatori di eventi, avete rotto il cazzo. Non prendetela sul personale, ma leggete queste parole come espressione proveniente da un amico che vi vuole bene, che conosce perfettamente tutto ciò che fate, il mazzo che vi fate per portare a compimento il risultato nel migliore dei modi e il lavoro incessante, metodico e degno di lode che ogni giorno realizzate (anzi, ogni ora, anzi ogni quarto d’ora, dando una sbirciata alla casella mail).

Il mondo della musica, sia come comunicazione (giornalismo, promozione), sia come realizzazione di cose pratiche (produzione audio, produzione eventi), è davvero un mondo bellissimo e difficilissimo. Impervio. Una collina bellissima da guardare da lontano, una sfida incredibile non appena ci si accorge che le strade da percorrere sono dissestate, malmesse, difficili da affrontare.

Ma noi (“noi” inteso come tutti coloro che vivono e vogliono vivere di musica), una volta capito tutto ciò, ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo proseguito. Perché ci piacciono le sfide e perché questo è il posto che ci fa bestemmiare, sudare, ma anche godere e che ci dà una cosa impareggiabile: la soddisfazione, la gratificazione.

Non tutto è sempre perfetto. Siamo umani. Le sfide che si affrontano lasciano qualche ferita. Nulla di irreparabile, sia chiaro. Immersi nel lavoro, qualche cosa, qualche dettaglio micro o macroscopico è inevitabile che esca fuori e che non lo si riconosca in quel momento. Ed è per questo motivo che ogni tanto, così come ci fa piacere quando qualcuno ci loda per l’impegno e per la bella riuscita del nostro lavoro, d’altra parte se fa notare che qualcosa è andato storto, non bisogna sgridarlo, né guardarlo in cagnesco o con sospetto. Non bisogna rimanerci male.

Non bisogna pensare che quella critica, dettaci magari in maniera costruttiva, invalidi tutto quanto di buono c’è stato. Tutt’altro: è il punto sul quale ragionare per il futuro. È un punto di vista dal quale poter prendere spunto, anche solo per dire “Lui ha visto queste cose. Amen. Magari altre persone non hanno fatto caso a quel dettaglio. O forse sì?”. Intanto, però, è uno spunto di riflessione.

C’è molta differenza, cari colleghi e amici, tra una critica demolitrice e un appunto amichevole: la prima è sterile polemica, l’altra è una pacca sulla spalla.

Nella recensione di un disco o nella cronaca di un evento è necessario, se non etico, esprimere anche eventuali punti deboli che si sono ravvisati nell’opera o nel momentum dello show. Si può solo citare, oppure si può approfondire con motivazioni (spiegare e contestualizzare sono le basi del nostro lavoro di comunicatori), ma è necessario farlo, per noi che siamo (anche) dall’altra parte della barricata. È necessario per crescere, è necessario per essere obiettivi, è necessario perché quel difetto, quell’errore è qualcosa a cui, spesse volte, si può porre rimedio in futuro. È necessario perché, più semplicemente, è comune dovere di cronaca.

Non è piacevole criticare il lavoro e l’impegno delle persone, ma se la critica viene spiegata e motivata, analizzando i fattori che hanno portato a notare questo o quell’altro, può e deve essere utile per il soggetto o i soggetti che direttamente o indirettamente vengono o si sentono implicati. Il senso di irrigidimento e nervosismo iniziale (comprensibile, naturale e umano) deve gradualmente svanire a favore di un pensiero autocritico.

Anche il solo chiedersi “Perché ha scritto questo?” e trovare risposta chiara nell’articolo stesso è un passo fondamentale per prendere il meglio e trasformare in nuova occasione propositiva la criticità notata. Perché se l’autore del pezzo è stato onesto e chiaro, altrettanto sarà la spiegazione di quanto notato.

“Fare critica” e “criticare” sono cose diverse, molto diverse. Tra loro c’è una sottile linea di granito e acciaio. È una differenza che è importante conoscere e riconoscere, perché permette di capire motivazioni e intenzioni di chi vi sta mettendo davanti agli occhi qualcosa che non va, qualcosa che magari è migliorabile. Un qualcosa di reale, non di immaginato.

Quindi, cari amici e colleghi di uffici stampa, cari promoter, cari organizzatori: vi vogliamo bene, vogliamoci bene. E cercate di capire anche che una comunicazione dove tutto sembra per forza perfetto, non gioca a vantaggio di nessuno. Né per noi, né per voi, né per gli artisti che seguite.

Con affetto e stima.

a cura di
Andrea Mariano

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Andrea Mariano

Andrea nasce in un non meglio precisato giorno di febbraio, in una non meglio precisata seconda metà degli Anni ’80. È stata l’unica volta che è arrivato con estremo anticipo a un appuntamento. Sin da piccolo ha avuto il pallino per la scrittura e la musica. Pallino che nel corso degli anni è diventato un pallone aerostatico di dimensioni ragguardevoli. Da qualche tempo ha creato e cura (almeno, cerca) Perle ai Porci, un podcast dove parla a vanvera di dischi e artisti da riscoprire. La musica non è tuttavia il suo unico interesse: si definisce nerd voyeur, nel senso che è appassionato di tecnologia e videogiochi, rimane aggiornato su tutto, ma le ultime console che ha avuto sono il Super Nintendo nel 1995 e il GameBoy pocket nel 1996. Ogni tanto si ricorda di essere serio. Ma tranquilli, capita di rado. Note particolari: crede di vivere ancora negli Anni ’90.

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