Il Cinema Ritrovato, giorni 4 e 5 – in esplorazione di altre rassegne

Il Cinema Ritrovato, giorni 4 e 5 – in esplorazione di altre rassegne
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Prosegue il festival de Il Cinema Ritrovato a Bologna. In questo articolo troverete un resoconto delle giornate di martedì 25 e mercoledì 26 luglio, dalle proiezioni in sala a quelle in Piazza Maggiore. 

Sicuramente mercoledì 26 luglio sarete rimasti delusi dall’assenza di articoli sulla quarta giornata de Il Cinema Ritrovato. Non temete: scoprirete oggi come sono andate le proiezioni di martedì e mercoledì. 

Data la sua vastità, non è semplice seguire tutta la programmazione del Festival, ma stiamo facendo del nostro meglio! E, infatti, in questo articolo vi proporremo degli approfondimenti anche su film appartenenti a rassegne rimaste per ora inesplorate. 

Di seguito trovate il resoconto più dettagliato degli eventi a cui abbiamo partecipato, comprendenti anche le rassegne dedicate a Marlene Dietrich, Sergej Paradžanov e al Cinemalibero. E, ovviamente, anche gli immancabili appuntamenti serali in Piazza Maggiore!

“Shanghai Express”, 1932 (82’)

Nell’ambito della rassegna Marlene Dietrich, forza dirompente del cinema, il mattino di martedì si apre al cinema Arlecchino con la proiezione di Shanghai Express, lungometraggio diretto da Josef von Sternberg.

La pellicola ci porta in Cina, sul treno espresso diretto da Pechino a Shanghai. Proprio sul mezzo di locomozione nasce un film crime a tinte hitchcockiane, con cambi di parte e intrecci politici. Ecco, ciò è quello che troviamo in superficie.

Perché Von Sternberg ha confezionato bene il suo film, celando il vero significato e la vera anima della storia. Dietro la facciata di intrighi e avventura, infatti, incontriamo una profonda storia d’amore, sbocciata, terminata, ma poi bramata nuovamente dai due: quella tra Shanghai Lily – carismatica donna di mondo – e il capitano Donald ‘Doc’ Harvey – medico reale inglese.

Ogni evento è un tassello che, oltre a costruire la trama, racconta una parte della loro storia sentimentale, e noi spettatori siamo obbligati a coglierne solo un pezzo alla volta. Ma almeno, al termine della pellicola, i due non hanno più segreti per noi: li abbiamo scrutati a fondo e abbiamo empatizzato con loro, principalmente grazie all’enorme tensione creatasi, che ci ha fatto provare sulla pelle gli attimi più terrorizzanti della loro vita.

Come qualcuno più saggio di me disse, le vere intenzioni di una persona vengono alla luce solo nei momenti di pericolo per la propria esistenza.

Dunque, mentre affrontano pericoli e sfide, la passione tra Lily e Harvey emerge come forza dominante: entrambi, pur senza manifestarlo apertamente, lottano disperatamente per la sopravvivenza dell’altro. E questo sacrificio reciproco culmina – spoiler, ma abbastanza scontato – nel trionfo finale dell’amore.

Marlene Dietrich e Clive Brook in una scena del film
“Entezar”, 1974 (47’)

Cinema Jolly, ore 14.00. Incuriosita dalla rassegna Cinemalibero (dedicata ad opere non occidentali), mi sono prenotata per Entezar (Waiting), film del 1974 diretto dal regista iraniano Amir Naderi. 

In un’introduzione molto interessante, Ehsan Khoshbakht (già incontrato il primo giorno di festival) ci ha spiegato in breve le caratteristiche della regia di Naderi. Innanzitutto, si tratta di un artista estremamente sperimentale che, in realtà, nasce come fotografo. In effetti, il taglio fotografico delle sue riprese è evidente. Un’altra sua peculiarità è che, normalmente, Naderi preferisce assegnare il montaggio ad altri, possibilmente con una visione artistica diversa. 

Nel caso specifico di Entezar, opera parzialmente autobiografica, si può forse parlare di minimalismo astratto. Il film, realizzato per Kanoon (istituto iraniano per la produzione di beni culturali per ragazzi e giovani adulti), tratta il tema del desiderio sessuale nei giovani adulti. Nel corso dei suoi 47 minuti saltano all’occhio due elementi chiave: la luce e il movimento. 

A differenza di altre pellicole che ho visto, Entezar forse potrebbe non essere per tutti. Tuttavia, il suo valore sia di opera artistica che di testimonianza culturale di un altro paese è innegabile. 

“Freaks”, 1932 (62’); “Los golfos”, 1960 (84’)

Cinema Arlecchino, ore 16.45. Mi accomodo in sala in attesa dell’inizio di Freaks, capolavoro del 1932 di Tod Browning, un film che non vedevo da almeno dieci anni. 

Questa pellicola, prodotta dalla MGM, viene  normalmente classificata come un horror, ma in realtà è molto di più. Ispirandosi al racconto Spurs di Tod Robbins, Browning voleva infatti mostrare con dignità la vita, il lavoro e il cameratismo di veri “freaks”. L’audience del 1932 non era però pronto e, purtroppo, la casa di produzione si sentì costretta a ridurre la durata del film da 90 minuti ai 62 che conosciamo oggi. 

Nonostante la fredda accoglienza ricevuta all’epoca del suo rilascio, Freaks viene ora considerato un film chiave nella rappresentazione di persone con disabilità. Un vero peccato che non sia possibile recuperare la versione originale!

Finita la prima proiezione, ho fatto il giro dell’isolato e sono tornata nella stessa sala. E così alle 18.30 ho assistito alla proiezione di Los Golfos, il primo lungometraggio di Carlos Saura. L’opera venne realizzata nella Spagna franchista, ragion per la quale subì numerose censure

Los Golfos segue le vicende di un gruppo di giovani delinquenti che, desiderosi di far debuttare l’amico Juan come torero, cercano di racimolare soldi facili. Alla base della storia si trova un reportage giornalistico del tempo, dal momento che uno degli sceneggiatori – Daniel Sueiro – lavorava nel campo. Questo contribuisce al tono neorealista del film che, a tratti, assume un taglio quasi documentaristico. D’altro canto, è anche vero che il regista della pellicola veniva da un background di fotografo della realtà

“The conversation”, 1974 (114’)

La giornata di martedì si è conclusa con la proiezione in Piazza Maggiore di The conversation (La conversazione) di Francis Ford Coppola. Alle 21.45 inizia la presentazione del film e, contemporaneamente, cadono le prime gocce di pioggia. Noi spettatori cominciamo a guardarci intorno un po’ spaesati, ma nessuno sembra intenzionato ad alzarsi. Ore 22.15: il proiettore, oltre a svelare i primi fotogrammi di The conversation, illumina una pioggia fitta e sottile. Eppure, noi tutti decidiamo di resistere per amore del cinema.

Fortunatamente, questa situazione è durata solo per i primi venti minuti del film, permettendoci di godere della restante ora e mezza con più tranquillità. 

The conversation non necessita di grandi introduzioni. Si tratta di uno dei film più personali di Coppola, un racconto di smarrimento e di paranoia, realizzato cinque mesi dopo lo scandalo Watergate. Al centro della vicenda c’è il rapporto tra suono e immagine. Tanto il montatore audio della pellicola, quanto il protagonista Harry Caul (Gene Hackman) sono alla continua ricerca di una verità sepolta. Va da sé che anche lo spettatore si trova presto coinvolto in questo gioco di disvelamento.

“Peršyj parubok/Pervyi paren’”, 1958 (85’)

Cinema Modernissimo, ore 11.00. La giornata di mercoledì si apre con la visione di Peršyj parubok/Pervyi paren’ (The Top Guy), film che fa parte della rassegna de Il Cinema Ritrovato dedicata al regista ucraino Sergej Paradžanov. La filmografia di questo artista, oltre ad avere una rilevanza culturale, permette anche di indagare la produzione di film nel periodo post-Stalin. Da ex studentessa di russo, mi sembrava un’opportunità particolarmente interessante.

Peršyj parubok/Pervyi paren’ venne realizzato nel 1958, in un periodo in cui ci si stava staccando dal realismo socialista, l’estetica ufficiale sovietica dagli anni ‘30 agli anni ‘50. Eppure, questo musical vivace e coinvolgente fa largo utilizzo di questo stile, rendendo lecita una domanda: il film è un prodotto del realismo socialista o una sua parodia? Personalmente propendo per la seconda opzione.

La trama, in breve, segue gli abitanti di una fattoria collettiva nei loro momenti di svago. Al centro della vicenda si trovano il meccanico ribelle Juška (Hryhorij Karpov) e la ragazza di cui è innamorato, la bella Odarka (Liudmyla Sosjura).

Quando sono entrata in sala non avevo particolari aspettative su quello che avrei visto e, sicuramente, non mi sarei aspettata una commedia così ingegnosa. Penso proprio che proseguirò la mia esplorazione della filmografia di Paradžanov nei prossimi giorni!

“Kohlhiesels Töchter”, 1920 (65’)

Cinema Lumière, ore 14.30. Ancora piena di entusiasmo per i film muti di lunedì, mi prenoto per Kohlhiesels Töchter di Ernst Lubitsch. Prima de Il Cinema Ritrovato non avevo mai prestato particolare attenzione a questo genere, ma devo ammettere di averlo rivalutato in questi giorni.

Il lavoro di restauro di questa pellicola ha avuto inizio nel 2019, prima della pandemia che, purtroppo, ne ha inevitabilmente prolungato i tempi. Per molto tempo il film è rimasto un puzzle irrisolvibile e, infatti, per raggiungere un risultato soddisfacente sono state necessarie tre copie combinate tra loro. In particolare, quella proveniente da Copenhagen è stata fondamentale per recuperare le colorazioni: l’alternanza di spazi viene infatti resa con il cambio di colore.

Con Kohlhiesels Töchter Lubitsch entra nel territorio degli “slapstick”, i film grotteschi. Erano opere caratterizzate da ritmo e velocità, in cui la presenza scenica degli attori vale più di mille parole. E così, in questa commedia che può vagamente ricordare La bisbetica domata di Shakespeare, la figura imponente di Emil Jannings riempie lo schermo. Al suo fianco una fantastica Henny Porten nei panni delle sorelle Liesel e Gretel, ovviamente identiche nell’aspetto, ma opposte nel carattere.

“La visita”, 1963 (112’) 

La serata in Piazza Maggiore si è composta di due momenti.

La prima parte è stata introdotta da Thierry Frémaux dell’Institut Lumière, con la presentazione dei nuovi restauri per l’edizione 2024 dei film Lumière. Il critico francese ha annunciato con orgoglio che “dei globali 1428 filmati dei fratelli, ne sono stati catalogati ben 1417, ciascuno della durata inferiore al minuto. Direi che siamo ben coperti!”.

Sullo schermo più suggestivo di tutti, ne sono stati mostrati dieci, gli ultimi restaurati – la raccolta di Lione -, in collaborazione con L’Immagine Ritrovata e accompagnati musicalmente da Daniele Furlati.

I cortometraggi proiettati spaziavano da un panorama di un treno in Algeria del 1896 a una ripresa dalla cabina in Svizzera. Alcuni film mostravano scene di vita quotidiana, come donne al lavoro e uomini impegnati in varie attività, inclusa la manutenzione di un lampione. Altri presentavano vedute del porto di Marsiglia e della Torre Eiffel a Parigi, mentre uno mostrava i figli della famiglia Lumière con una barca che appariva inaspettatamente nell’inquadratura.

Un film girato in Giappone ritraeva lavoratori intenti a raccogliere il riso e un altro mostrava una difficile ripresa da una barca a Istanbul, impressionante anche se confrontata con le tecnologie odierne. La carrellata si è conclusa con un minuto di comicità – i Lumière, oltre al naturalismo, erano fanatici della risata.

Questi restauri eccezionali, oltre a mostrare le tecniche dei primi filmmaker in vita, offrono una finestra sulla vita quotidiana di 130 anni fa, permettendo agli spettatori di immergersi in un’epoca ormai lontana, anzi lontanissima.

La seconda parte – più sostanziosa – è dedicata ad Antonio Pietrangeli e il suo La Visita, interpretato magistralmente da Sandra Milo e François Périer.

Non ho fatto nulla per il restauro, ma ci tenevo a parlare fieramente di questa opera da parte del CSC”, ha affermato fra le risate Steve Della Casa, arrivato in piazza per sopperire all’assenza di Sergio Castellitto (che sarà invece in sala nella giornata del 27 giugno, impegnato in un dialogo con Marco Bellocchio).

Dopo la visione, ho compreso perchè Della Casa ne parlasse così orgogliosamente: la scrittura egregia, a cura del regista, Ettore Scola e Ruggero Maccari; un’enorme – non solo attorialmente (si scherza) – Sandra Milo nella “miglior interpretazione della sua vita, a detta del critico italiano; ma soprattutto, quel velo di grottesco, inettitudine, disagio esistenziale offerto solo dalla grande commedia italiana.

Insomma, un piccolo gioiello che sono molto felice di aver visto, soprattutto in una location come Piazza Maggiore.

Sandra Milo e Fraçois Périer in una scena del film

a cura di
Claudia Camarda e Francesco Pasquinelli

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Claudia Camarda

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