“Jesus Christ Super Saiyan”: Tommaso Primo racconta il nuovo brano tra luci, tenebre e speranza

“Jesus Christ Super Saiyan”: Tommaso Primo racconta il nuovo brano tra luci, tenebre e speranza
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“Jesus Christ Super Saiyan”, scritto da Tommaso Primo con la collaborazione di Gianluigi Capasso e prodotto da Gianmarco Grande, è il pezzo di apertura del nuovo album del cantautore. Su The Soundcheck l’artista ci racconta meglio la sua musica, tra luci e tenebre, speranza e prese di coscienza.

Ciao Tommaso e benvenuto su The Soundcheck! In “Jesus Christ Super Saiyan” scegli di rappresentare Gesù in una chiave moderna e provocatoria: cosa ti ha ispirato ad abbinare la figura di Cristo a un immaginario così contemporaneo e urbano?

    Ciao a tutti e grazie!

    “Jesus Christ Super Saiyan” ha un processo di scrittura inusuale. Chi mi ha ispirato? La vita.

    E poi ho iniziato a leggere, guardare, ascoltare. Saramago, Time Rice, De Andrè, i Vangeli apocrifi ma anche quelli canonici. Anche una vecchia serie censurata su Netflix, Messiah.

    È il primo brano di un concept album che ho in mente da tanto tempo. Ho deciso di farlo nascere! E Jesus Christ Super Saiyan è stata la prima canzone di questo nuovo viaggio. Le dovevo il fatto di essere apripista.

    Nel brano affronti temi come politica e consumismo attraverso la tua musica e il dialetto napoletano. In che modo credi che l’uso del dialetto influisca sulla ricezione del messaggio e sulla sua potenza espressiva?

    Napoli è la città perfetta per il ritorno di Jesus Christ. È un luogo in cui si incontrano luci e tenebre, riflettori e indifferenza, Africa e Europa, Est ed Ovest, antico e moderno. Ha un filo conduttore che la unisce a New York ma anche a Gaza, a Rio de Janeiro così come ad una metropoli indiana. È una città in cui la bellezza spicca ma è anche la stessa città in cui a quindici anni si muore uccisi (e spesso, purtroppo). Ecco, nella mia mente focalizzo sempre questa immagine, Gesù che torna nei rioni e nelle periferie e dice a questi ragazzini armati di dare spazio all’amore, alla rinascita, al verde e all’arte. Il napoletano dona ad un brano metafisico sfumature di concretezza e realtà.

    Hai descritto “Jesus Christ Super Saiyan” come un brano “insolente” e ti sei definito tramite del messaggio. Quanto ritieni che la tua musica sia un canale per esprimere idee più grandi, più universali?

    Il mio precedente disco parlava di sessualità. C’era un brano, cantato realmente con una ragazza vittima della tratta delle schiave, che parlava dell’incontro sul marciapiede fra un padre alla ricerca di forti emozioni e sua figlia che si prostituiva. Non ha suscitato negli ascoltatori il morso allo stomaco provocato da Jesus Christ Super Saiyan, anzi, dalla parolaccia fatta dire a Gesù. Perché? Perché siamo timorosi nei confronti della religione e del clericalismo. Il nostro non è un rapporto di fede con la divinità, è un rapporto di paura. Sto provando a dissacrare questo timore e a dire quello che sento. Non è facile, è un viaggio dentro me stesso ma mi sento fortemente ispirato.

    Questo brano, con le sue influenze urban-rap, reggaeton e latin, sembra essere un mix di generi che richiamano la tradizione ma anche la contemporaneità. Come sei arrivato alla scelta di queste sonorità per esprimere il tuo messaggio?

    Grazie ad Alessandro Aquilini, il mio deus ex machina. Abbiamo fatto un anno di esperimenti e io e Gianluigi Capasso, con cui ho scritto il disco, abbiamo incontrato molti producer. Abbiamo trovato la giusta strada grazie a Gianmarco Grande e a Davide De Blasio. Ognuno di noi viene da mondi diversissimi. Io sono un cantautore della scena napoletana folk pop, Gianluigi è un compositore e chitarrista, Gianmarco un producer nativo digitale tra i più forti in Italia, Davide un musicista e producer campano tra i più promettenti. La fusione tra i metaversi genera nuovi mondi.

    Guardando alla tua evoluzione artistica, dalle prime canzoni fino a oggi, quanto pensi sia cambiato il tuo approccio ai temi sociali e culturali nella musica? E come la tua esperienza a Londra ha influito su di esso?

    Non c’è più la spensieratezza. Mi manca. Ma la cantano tutti gli altri ed io, inoltre, non la provo da tempo.  Ho bisogno di buttar fuori quello che il mio istinto spirituale, politico e sociale percepisce. Spero un giorno di poter ritrovare quello status.

    Spesso i tuoi testi sfidano i confini tra laicità e religione. Pensi che l’arte debba avere il compito di mettere in discussione argomenti considerati “scomodi” o controversi? Che responsabilità senti nel farlo?

    Ho la sensazione che sulle tematiche, l’arte sia annichilita. Ma non è soltanto colpa degli artisti, ma anche della discografia, del pubblico (che si professa sempre innocente). La musica oggi ha un valore diverso. Le persone non lottano più contro la schiavitù, l’hanno accettata. Il masochismo è il grande sovrano del millennio. Così come l’egoismo.

    Ringrazio Triggger e Ada per avermi permesso di fare un disco dalla tematica delicata, soprattutto in questo periodo storico. È un grande piccolo atto di resistenza culturale.

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