“Tatami – Una donna in lotta per la libertà”: le battaglie di Leila
Per la prima volta un regista israeliano e una regista iraniana si uniscono in un thriller politico mozzafiato. “Tatami – Una donna in lotta per la libertà” è in uscita giovedì 4 aprile e ve ne parliamo qui, in questa recensione!
Tbilisi, Georgia.
Campionati mondiali di judo.
Insieme alla sua fedele allenatrice Maryam, la judoka iraniana Leila si prepara per quella che potrebbe essere una svolta nella sua carriera. Il suo più grande successo: vincere la medaglia d’oro.
Leila se lo sente, questo è il suo campionato. Può farcela.
Con una determinazione eccezionale ed una tecnica invidiabile, con fatica e caparbietà, riesce a battere un’avversaria dopo l’altra, lasciando sbalorditi anche i telecronisti che commentano ogni incontro.
“Tatami – Una donna in lotta per la libertà”
Poi un telefono squilla.
Una, due, tre volte.
Ripetutamente.
Il Governo Iraniano e la Repubblica Islamica intimano a Leila di fingere un infortunio e ritirarsi dalla competizione, per non rischiare di dover sfidare una judoka proveniente dall’Israele, paese che l’Iran non riconosce.
La ragazza è incredula, ma le viene fatto capire ben presto quanto possa essere pericoloso – per lei e per tutta la sua famiglia – rifiutarsi. Pena l’essere bollata come traditrice dello Stato.
Si trova così di fronte ad una scelta impossibile: rinunciare al suo sogno o continuare a lottare per la libertà, rischiando la vita?
Leila e Maryam a confronto
Tatami è la storia di due donne dotate della stessa forza, ma che affrontano la vita in modo totalmente diverso, ciascuna alle prese con i suoi demoni interiori.
Leila è testarda e orgogliosa, competitiva con se stessa prima ancora che con gli altri, e disposta a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi e denunciare i soprusi. È una miccia pronta ad esplodere, che ha imparato a sfogare la sua rabbia e la sua impulsività proprio lottando contro le sue avversarie.
Ed un carattere così impegnativo, si sa, ha sempre bisogno di qualcuno che lo tenga sotto controllo. A questo ha sempre pensato Maryam, anche lei un tempo judoka ed ora allenatrice della nazionale, nonché sua sostenitrice fin dal primo giorno.
La donna , al contrario, ha un atteggiamento remissivo e rassegnato nei confronti della vita, avendo imparato a convivere con le scelte di un passato ambiguo e con un infortunio che ha interrotto bruscamente una promettente carriera. Nonostante ciò, ha scelto di fare pace con se stessa e di passare dal campo d’azione agli spalti, facendo il tifo e dando consigli alla sua allieva prediletta.
Due donne profondamente legate da un sentimento affettivo, prima che da un rapporto sportivo e professionale, dagli stessi ideali e dalla stessa cultura che le ha rese e continua a renderle schiave. Incapaci di prendere liberamente decisioni riguardo al proprio futuro.
Un cammino verso la libertà
Ci si accorge ben presto di come quell’incredibile tensione sottolineata dai cronisti non riguardi solo la competizione sportiva, ma soprattutto una seconda battaglia, ben più importante.
Quella per la libertà, contro una politica che fa di tutto per impedirla. E questi due combattimenti riescono a dialogare perfettamente fra di loro.
Le sequenze si susseguono rapidamente, con un ritmo incalzante e serrato. Le scene emotivamente più intense si alternano parallelamente, in un gioco di luci e ombre continuo quasi fastidioso.
Gli spazi sono angusti, gli ambienti lugubri e inquietanti.
Le luci accecanti, i suoni fragorosi e improvvisi, i visi segnati da smorfie di fatica e di dolore, dal sangue e dal sudore.
Il tutto rappresentato con un tenebroso bianco e nero e con un formato in 4:3, proprio per rendere evidente quella claustrofobia, quel senso di chiusura ed oppressione che chi vive sotto un regime dittatoriale si ritrova costantemente e inevitabilmente ad affrontare.
I registi
Una scelta politico-psicologica, che ha unito per la prima volta un regista israeliano, Guy Nattiv, ad una regista iraniana, Zar Amir (che nel film interpreta proprio il ruolo dell’allenatrice Maryam), nella rappresentazione di una storia di grande potenza, ispirata a vicende reali vissute da veri atleti.
Due figure che, se all’apparenza tanto diverse e provenienti da due popoli da sempre in lotta fra loro, hanno scoperto proprio nell’Arte di avere molte più affinità di quelle che si immaginavano, ritrovandovi una vicinanza e gli stessi valori.
Ed è questo comune sentimento di fratellanza a trionfare nel film.
Per questi registi, l’Arte è quella voce della ragionevolezza, della coscienza che, nonostante tutto, continua a farsi strada in mezzo al rumore, alla violenza e ai disordini.
Un film ispirato a storie vere
In Tatami viene data voce a tutti gli artisti, a tutti quegli atleti costretti a rinunciare ai propri sogni, ad abbandonare la propria carriera per sottomettersi alla volontà di qualcun altro. O, in caso contrario, ad essere esiliati dalla propria patria, costretti a chiedere asilo per sfuggire ad un potere politico oppressivo e dispotico.
In particolare, ci si ispira alle sportive iraniane, artefici di azioni straordinarie: Sadaf Khadem, prima pugile del paese rifugiatasi in Francia e diventata lì sostenitrice dei diritti delle donne; Kimia Alizadeh, costretta a lasciare il Paese per via delle ripetute minacce governative; Elnaz Rekabi, arrampicatrice che ha gareggiato senza indossare la hijab.
Il governo iraniano ha sempre fatto il possibile per evitare che iraniani e israeliani si incontrassero in eventi internazionali, senza considerare il fatto che quelle che avevano davanti non fossero marionette da manovrare a loro piacimento, ma persone. Con passioni e sentimenti da non calpestare.
Un cognome difficile da dimenticare
E non sembra essere un caso che anche la protagonista del film abbia un forte legame con la realtà, un cognome decisamente importante: Hosseini.
Potrebbe essere solo una coincidenza, ma come non pensare al celeberrimo scrittore afghano Khaled Hosseini, autore del best seller internazionale Il cacciatore di aquiloni, che tanto si era battuto per raccontare i conflitti fra gli individui ed il mondo islamico?
Ed è singolare che uno dei suoi struggenti romanzi, Mille splendidi soli, racconti la storia di due donne altrettanto forti, con due caratteri diversi e due modi opposti di affrontare la vita, ma che lottano ugualmente per ciò in cui credono. E che il nome di una delle due sia proprio Mariam.
Una casualità, forse.
O forse è bello pensare, in un mondo in cui le varie arti dialogano fra di loro, quanto le figure femminili possano – in modi diversi – essere fonte di ispirazione l’una per l’altra. Di come si sostengono a vicenda e si stringano la mano, formando una catena, per resistere ai soprusi e per lottare per la libertà.
Il messaggio finale
Ed è proprio con l’immagine della libertà che questo film si chiude: due chiome di capelli sciolti, senza più un velo che le copra, ma fluttuanti, al vento, in un cammino nel buio verso il rispetto ed una nuova consapevolezza di sé.
Tatami è un thriller politico di potenza e profondità straordinaria, e l’applauso con cui è stato accolto alla Mostra del Cinema di Venezia non ha rappresentato solo un’acclamazione, ma un vero e sincero sentimento di protesta contro ogni tipo di fondamentalismo che opprime e limita i diritti fondamentali di ogni individuo.
Per i quali, da sempre e per sempre, ci batteremo.
a cura di
Lucrezia Aprili
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