Santachiara: “ecco cosa significa sentirsi a casa”

Santachiara: “ecco cosa significa sentirsi a casa”
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Per Santachiara la musica è “La strada più breve per tornare a casa”, titolo del suo nuovo album.

In un’intervista esclusiva, il giovane artista racconta il suo ultimo disco tra l’infanzia nomade, la scoperta di nuove culture e l’importanza del viaggio

Luigi Picone, in arte Santachiara, nasce nel 1998 ad Alberobello ma vive un’infanzia nomade, viaggiando in lungo e in largo con i suoi genitori, entrambi artisti di strada. Questa esperienza lo plasma, arricchendo la sua musica di influenze multiculturali. Fin da giovanissimo sviluppa una passione per il rap, ma amplia presto i suoi orizzonti musicali abbracciando generi diversi come il cantautorato italiano, il rock, la techno e l’urban.

Da ragazzo si stabilisce a Napoli, in particolare nel quartiere di Santachiara. A partire dal piccolo studio di registrazione allestito nel salotto di casa e attraverso tutto il suo percorso artistico, l’artista ha costruito un legame unico con il quartiere di Napoli che porta il suo nome.

Nel giugno del 2020, Santachiara fa il suo debutto discografico con tre singoli eccezionali: “quindi”, “io e me” e “alba”. A fine 2020, pubblica il suo primo lavoro più completo, intitolato “7 pezzi”. Nel 2021 arrivano le pubblicazioni di “Chiedimi” e “Passi falsi” ed i primi live, con la partecipazione alla “speciale” edizione del Mi Ami Festival, ribattezzata Mi Manchi, Ancora.

Nel corso degli anni la crescita artistica di Santachiara è evidente e continua: i suoi brani si strutturano sempre di più, con una scrittura che si arricchisce di citazioni culturali sorprendenti. Nell’estate del 2022, il suo ultimo singolo “La mia testa è un postaccio” si posiziona tra i brani Indie Pop più apprezzati dell’anno.

Con l’album “La strada più breve per tornare a casa”, Santachiara ci invita a esplorare le diverse sfumature della sua creatività. Ogni traccia del disco rappresenta una tappa di questo viaggio, che attraversa generi musicali differenti, dal cantautorato all’elettronica. Ogni canzone è un frammento dell’anima dell’artista, una riflessione intima sul concetto di “casa” e sull’importanza di trovare un senso di appartenenza.

The Soundcheck ha intervistato Santachiara per parlare del suo nuovo album e dei progetti futuri!

Ciao Santachiara! È un piacere intervistarti per The Soundcheck! La tua infanzia è stata unica: hai girato l’Italia e il mondo con i tuoi genitori, e così hai visto e conosciuto moltissimi posti diversi. Quali sono i luoghi del tuo cuore?

I luoghi del mio cuore sono Napoli e ovviamente Santachiara. Santachiara è dove è nato tutto, è un posto che mi ha cambiato la vita a livello di esperienze e di concezioni. Poi c’è la Sicilia, Siracusa in particolare perché mia mamma viene da lì. Ci vado ogni estate, è un posto che mi permette di “staccare” dal resto.

Poi c’è sicuramente Spoleto in Umbria, città in cui sono cresciuto. Mia mamma, infatti, quando ha deciso di smettere di fare l’artista di strada, ha scelto di farmi vivere nel posto che riteneva “più tranquillo” tra la Sicilia e Napoli. Spoleto però è un piccolo centro: mi è iniziato a stare stretto dai 16 anni, poi a 18 quando ho iniziato l’università non vedevo l’ora di andarmene.

Un altro luogo che trova spazio nel mio cuore è Milano, soprattutto per la nascita di quello che è il mio percorso professionale: è una posto che mi ha dato tanta ispirazione e tante possibilità. Infine ho un legame speciale con Roma, di cui sono follemente innamorato, città in cui ho lavorato e in cui ho diverse amicizie; forse è la mia preferita fra tutte perchè simile a Napoli, dove vivo e mi sento veramente a casa.

Ora che ti sei stabilito a Napoli, viaggi ancora?

Sì, assolutamente, ma non più con i miei. Mio padre continua a lavorare nel mondo dell’intrattenimento ma non fa più l’artista di strada, mia mamma invece ha cambiato completamente carriera. Dati tutti i viaggi che ho fatto quando ero più piccolo, la passione per il viaggio è rimasta. Fortunatamente sono riuscito a trovare, grazie anche a quella che è la carriera nella musica, un metodo per viaggiare. Il mio lavoro mi permette appunto di entrare in contatto con persone che si trovano in diverse città dell’Italia, andarle a trovare e lavorarci insieme. Tutto questo secondo me è un arricchimento che non ha prezzo. Quindi sì, ancora viaggio e ancora mi piace un sacco viaggiare.

Il tuo album è un viaggio attraverso i luoghi ma anche attraverso diversi stati d’animo ed emozioni. “Joker” parla per esempio di dolore e “non ci balli con me” racconta la malinconia. Di quali emozioni è stato più facile scrivere?

Bella domanda questa! Dato che il mio prima EP rappresentava un mondo un po’ più introverso ed era legato ad un atmosfera un po’ più oscura, forse la sfida vera è stata trovare un metodo per uscire da quelli che erano i miei classici sound e le mie classiche tematiche e andare un po’ oltre. Sono cresciuto dal periodo in cui ho fatto il mio primo disco, e in questo nuovo lavoro affronto dei temi che vanno oltre la mia vita personale.

Nel disco forse il pezzo più difficile da scrivere è stato “l’ultimo giorno” perchè va a toccare delle caratteristiche di me che sono molto importanti e che attanagliano i miei pensieri e le mie giornate, si parla per esempio dell’ansia del futuro e dell’insicurezza in merito al fare la cosa giusta. E’ stato difficile riuscire a dargli un senso speranzoso orientato al futuro piuttosto che malincolino e legato al passato. Invece il pezzo forse più facile è stato “odiami ancora”, un brano dall’atmosfera non più nostalgica ma sbarazzina e divertita. E’ un pezzo in cui volevo semplicemente divertirmi e far divertire.

Come è stata pensata la composizione della struttura dell’album? C’è un preciso ordine che hai deciso di dare in base alla concatenazione degli stati d’animo che ti capita di provare quando viaggi? Per esempio trovo molto coerente e riuscita la sequenza di brani “colpa dei no”, che parla di amore e odio, “le porte della notte”, che racconta una storia finita, e “non ci balli con me”, che vuole esprimere le sensazioni di malinconia quando finisce un viaggio e rimaniamo da soli con i ricordi.

Assolutamente! Mi fa piacere che questa cosa venga notata! Ad oggi, soprattutto con il digitale, le persone molto spesso non seguono la scaletta, non ascoltano le canzoni seguendo l’ordine. Questo mio disco è un lavoro a tutto tondo e ho cercato di curare ogni aspetto della sua parte creativa. Abbiamo scartato molte tracce, ho fatto una selezione e ho impiegato del tempo per costruire la scaletta poiché desideravo creare un percorso che partisse dalla prima traccia e finisse con l’ultima, proprio per dare l’idea di un viaggio attraverso cui si possono vivere diverse cose.

La fine dell’album infatti affronta dei temi un po’ più introversi, come quando si finisce un viaggio e, consapevoli di dover tornare a casa, bisogna fare i conti con se stessi e con le esperienze vissute.

Ci tengo molto che il tutto sia ben amalgamato e coerente per dare un’idea giusta di quello che è la mia musica. Trovo vincente questo modo di fare dischi forse un po’ old school, mi piace cioè dare al progetto un senso, un’idea, e non semplicemente creare una raccolta.

Parlando ora del tuo viaggio musicale, quale sarà la prossima tappa dopo l’uscita dell’album? Hai in programma di cantare live?

Stiamo lavorando al live già da un po’ di tempo. Naturalmente ho studiato questo disco anche per suonarlo. Alcune canzoni sono addirittura nate mentre facevamo le prove per lo scorso live, quindi dall’espressione pura di due persone che si mettono a fare musica e a provare insieme.

Nel mio live cerco di mischiare elementi del suonato ad altri molto elettronici, cosa molto coerente con il sound del mio disco. Stiamo cercando di realizzare uno show davvero figo, in cui io e le persone che mi accompagnano possiamo usare più macchine, non stando ferme legate davanti ad un semplice oggetto ma interagendo con vari strumenti.

Sto poi continuando a scrivere altre canzoni, non mi sono in realtà mai fermato perchè “chi si ferma è perduto”! L’idea è quella di fare musica sempre più bella e sempre più mia. In generale stiamo lavorando a tanto in questo momento, non ho un attimo libero.

Collabori con altri artisti? Con chi ti piacerebbe farlo in futuro?

Quando scrivo collaboro spesso con altri autori, e non solo per cose mie. Mi piace molto collaborare con gli artisti ma il fatto di mandare la traccia per poi ricevere indietro la strofa non mi fa impazzire. Preferisco sempre un confronto: bere un birra, conoscere l’altra persona, vedere come mi trovo, e poi magari lavorare insieme e creare qualcosa di interessante. Per me la collaborazione, proprio in termini di senso, è un “creare insieme”, è accettare l’uno l’arte dell’altro e trovare una fusione che spacca. Quindi collaborare semplicemente per un nome o per un altro tipo di situazione, anche solo di stima, non è ciò che mi va a genio: vorrei costruire qualcosa insieme a qualcuno.

Ci sono moltissimi artisti forti in Italia, alcuni li conosco, altri no. Magari uscirà fuori qualcosa nel prossimo periodo.

L’album ha una struttura circolare, con tanto di intro e outro, e l’ultima frase pronunciata nella traccia conclusiva riprende il titolo dell’album “la strada più breve per tornare a casa”. Cosa significa per te “casa”?

Questo è proprio il concetto del disco: in realtà la casa non c’è. Io non ho radici fisiche: sono nato in Puglia perchè i miei giravano, ma in Puglia non ci sono mai stato; poi sono andato a Spoleto dove sono cresciuto ma non ho parenti e quindi un legame vero lì. In seguito Sicilia e Napoli. In realtà la casa per me è sempre stata il posto in cui stavo bene e questo è il concetto che abbiamo cercato di esprimere anche nella copertina del disco, che rappresenta un salotto per la strada.

Per quanto possa essere una banalità dire “non conta la destinazione ma conta il viaggio”, alla fine è così. Casa in fondo non sei altro che tu nel momento in cui stai viaggiando. Poi in alcuni posti ti senti fuori luogo, come quando sei ad una festa e non ti diverti; in altri, come per magia, anche se sono nuovi e non conosci nessuno, ti senti pieno, tranquillo e contento. Questa alla fine secondo me è casa: tutti i luoghi in cui una persona si sente se stessa e a proprio agio.

Nel mio caso anche la musica è casa. E’ la cosa a cui sono legato da più tempo nella mia vita: ho iniziato e abbandonato tanti progetti ma la musica c’è sempre stata. Quando avevo bisogno di ripararmi metaforicamente dalla pioggia o di stare da solo la musica mi ha sempre accolto.

a cura di
Elena D’Ercole

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