The Fabelmans: il ritratto (definitivo) del cinema di Steven Spielberg

The Fabelmans: il ritratto (definitivo) del cinema di Steven Spielberg
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Uscito in Italia il 22 dicembre, The Fabelmans è il 34mo film di Steven Spielberg. Ma rispetto a tutti gli altri, questo è il definitivo testamento della sua vita umana e artistica, metacinema dove Spielberg narra se stesso.

Dopo Truffaut con Effetto Notte, Fellini con 8 e 1/2, Alfonso Cuaron con Roma anche Spielberg, alla soglia dei suoi 76 anni, mette in scena il suo percorso umano e artistico. Già la scelta di uscire prevalentemente nei circuiti d’essai anzichè nei grandi multisala sta a dimostrare come il film vada aldilà dell’intrattenimento puro e colossale di film iconici come Lo Squalo, Indiana Jones o Jurrassic Park.

In realtà già nel 1999 Spielberg aveva avviato un progetto analogo dal titolo “I’ll Be Home” scritto insieme a sua sorella Anna. Ma per il timore di sembrare troppo irrispettoso nei confronti dei genitori è stato abbandonato. Ora Spielberg raccoglie in The Fabelmans tutte le vicende famigliari unendole alla scoperta del cinema.

Il primo (traumatico) spettacolo

In realtà il battesimo di fuoco del piccolo Sammy col cinema è traumatico. Durante il suo primo film da spettatore rimane scioccato da un incidente sullo schermo fra un treno e un’auto. La madre Mitzi (interpretata da Michelle Williams) e il padre Burt (interpretato da Paul Dano) cercano di razionalizzare quell’episodio agli occhi del loro bambino. Burt, di professione brillante ingegnere, gli regala un modellino di treno e Mitzi una telecamera per filmare e rivivere un momento che in realtà è ricostruito.

Questa ambivalenza (“gli scienziati contro gli artisti”) dimostrerà il connubio famigliare diviso fra il raziocinio pratico del padre e il senso estetico della madre, fra le promozioni e i conseguenti spostamenti del padre dalla RCA, General Electric fino al’IBM e l’insoddisfazione della madre, promettente pianista costretta ad abbandonare ogni velleità artistica per seguire la famiglia.

Tecnologia ed estetica

Questo connubio fra tecnologia ed estetica sarà la ricetta del giovane Sammy (un convincente Sammi LaBelle) per iniziare i primi rudimentali film girati col contributo delle sorelle o degli amici. Una delle scene più appassionanti del film sono le rudimentali tecniche usate per rendere reali gli spari in una rappresentazione di genere western.

Ma la telecamera sarà anche la prova di drammi famigliari che sfoceranno in divisioni. In questo Spielberg calca molto la mano sul rapporto d’amore e odio verso sua mamma, una donna insoddisfatta e vittima di una morale schiacciante (forse inconsapevolmente per mano dello stesso regista). D’altro canto il giovane Sammy mostra la difficoltà di seguire il desiderio del padre che lo vorrebbe proiettato verso una carriera professionale simile alla sua.

E ancora (non mi dilungo per rischiare lo spoiler) l’antisemitismo e le difficoltà che il giovane Sammy ha dovuto affrontare nel college, il primo grande amore (con una spassosa “prima volta”) fino al sorprendente finale che suggellerà il passaggio verso la professione dei suoi sogni per mano di uno dei più grandi registi della storia americana, interpretato qui da un altro grande regista che lascio scoprire a voi. Anzi, in una delle scene finali sembra che quell’interprete-regista si impadronisca del film per un interminabile istante che interrompe quasi la prolissità quasi monotona dello stile Spielberg.

Conclusioni

Con The Fabelmans, Spielberg ha il pregio di saper rappresentare il proprio percorso umano e artistico con il suo stile. In questo film ci sono i suoi sogni e le sue sofferenze, i sentimenti. Come la realtà rappresentata all’inizio con quell’incidente ferroviario, così il piccolo Sammy rivive nell’iconico Spielberg e ci trasmette tutta l’innocenza di un bambino e la consapevolezza di un uomo adulto che ha razionalizzato quei momenti.

Ma riesce ad esprimere sentimento e poesia, nostalgia di una stagione di bellezza ma anche di sacrifici, riscatto e accettazione. In definitiva un film corale coinvolgente, in questo molto americano quasi a voler rappresentare la parte sana di un paese dove è possibile realizzare “lo spettacolo più bello del mondo” come il titolo del primo film che il piccolo Sammy/Spielberg guardò da bambino.

a cura di
Beppe Ardito

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Beppe Ardito

Da sempre la musica è stata la mia "way of life". Cantata, suonata, scritta, elemento vitale per ridare lustro a una vita mediocre. Non solo. Anche il cinema accompagna la mia vita da quando, già da bambino, mi avventuravo nelle sale cinematografiche. Cerco di scrivere, con passione e trasporto, spinto dall'eternità illusione che un mondo di bellezza è possibile.

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