SANTO: “Fumo la vita” come metafora dello smarrimento esistenziale
E’ uscito il 28 Gennaio “Fumo la vita” il nuovo singolo di SANTO. Il giovane cantautore ci descrive un sentimento comune con cui, prima o poi, tutti noi dobbiamo fare i conti (chi più chi meno). SANTO descrive una sensazione di disorientamento esistenziale sperimentando sonorità che intrecciano rap e it-pop, raccontandoci in rime che evocano immagini forti e attuali.
Francesco Santo è un giovanissimo musicista. Nasce a Pavia nel 2000, cresce a Varese e nel 2019 si trasferisce a Bologna per studiare. Fin da piccolo si approccio subito al mondo della musica tramite lo studio del pianoforte ed esibendosi in piccoli eventi. Dal 2016, poi, comincia a scrivere i suoi testi e impara a suonare la chitarra e il basso. Per proseguire i suoi studi universitari, tre anni fa, si trasferisce a Bologna e proprio in questo periodo pubblica i suoi primi singoli fino ad arrivare al suo ultimo pezzo “Fumo la vita“.
Ciao Francesco, prima di tutto grazie per il tuo tempo e benvenuto su The Soundcheck. Il 28 gennaio è uscito il tuo nuovo singolo Fumo la vita. Un testo e una sonorità particolare in un momento altrettanto particolare. Nel ritornello infatti canti: “Fumo la vita come una siga che manco mi piace, che quando è finita lascia sul palato un sapore di brace”. Perché non ci racconti un po’ di questo pezzo?
L’idea per “Fumo la vita” mi è venuta nell’autunno del 2020, durante una serata dedicata a riordinare le decine di file che riempivano il disordinato desktop del mio computer. In una cartella, avevo conservato alcuni pensieri, che ero solito scrivere nel periodo liceale. Tra questi, uno scritto nel dicembre del 2017 citava: “Mi piace paragonare il mio respiro a una sigaretta. L’aria ti fa vivere. L’aria è la vita. È una droga. Sai che fa male e lo hai sempre saputo. Eppure, hai iniziato e non riesci più a farne a meno. E continui. Un respiro. Un altro. Scandisce i secondi, muove il mondo, ferma vite. Tempo e respiro, non sono forse la stessa cosa? Prova ad ascoltarti. Inspira. Espira. Non smettere. Non puoi farlo. Sai che è una dipendenza. Non vuoi smettere. Tutto intorno a te deriva da quel gesto. Ma il dubbio viene? Se smettessi starei meglio? Chissà se mi verrà restituito il tempo per farlo”.
Nonostante il mio approccio a questo genere di argomenti sia cambiato, ho trovato in queste parole un grande potenziale e ho deciso di costruirci sopra un pezzo che potesse descrivere in maniera imparziale la sensazione di smarrimento esistenziale comune a tutti.
È passato poco tempo dalla pubblicazione del pezzo, per ora come sta andando? Sei soddisfatto del riscontro che sta avendo?
Visto che l’attenzione del pubblico è tutta concentrata sul fenomeno sanremese, insieme a Francesco Brezzi, proprietario dell’etichetta Ghost Records con cui collaboro attualmente, è stato deciso di rimandare di qualche settimana l’inizio delle promozioni relative al pezzo.
Per ora gli ascolti provengono per la maggior parte dalla piccola cerchia di persone che mi conosce e che mi segue sui social. Nonostante ciò, il pezzo è stato aggiunto a tante playlist, passa in radio e le persone continuano a riascoltarlo. Questo mi scalda il cuore. Sta andando bene.
All’anagrafe sei Francesco Santo ma in arte ti conosciamo come SANTO. C’è un motivo specifico dietro questo alter ego, o hai utilizzato semplicemente il tuo cognome?
Ho un bel cognome.
Ho letto che in passato suonavi maggiormente jazz e blues, mi chiedevo quindi come questo abbia influenzato il SANTO di oggi?
Assolutamente, mi sono sempre divertito a improvvisare su standard blues, e amo la complessità armonica del jazz. Il fattore divertimento quando suonavo il piano, in particolare jazz e blues, mi ha reso il processo di apprendimento quasi naturale, e imparavo semplicemente continuando a suonare e sperimentare tutti i giorni, senza che farlo mi pesasse minimamente. Oggi, questo modo di operare, mi aiuta a crescere tutti i giorni e mi accompagna, tramite ascolto e sperimentazione, a voler sapere sempre di più del libro infinito della musica. Ho tantissimo da imparare ancora.
Nel 2019 ti sei trasferito a Bologna, da Varese tua città natale, per continuare gli studi. Bologna ha influenzato in qualche modo la tua musica, o magari anche il tuo ultimo pezzo?
A dire il vero sono nato a Pavia, nel 2000, per trasferirmi 5 anni dopo a Varese, vicino ai miei nonni. Nonostante ci sia cresciuto, Varese non mi ha cullato tanto bene, ma il problema era più mio. Non mi sono mai sentito nel posto giusto, molte persone sono diffidenti, ed è un ambiente abbastanza chiuso. Bologna mi ha reso consapevole che esistono realtà più grandi, dove la tua voce e i tuoi pensieri, non vengono ignorati, ma ascoltati e magari apprezzati. Bologna mi ha insegnato a mettermi in discussione e da quando sono qua, sto crescendo molto, come persona.
Hai già qualche progetto futuro su cui stai lavorando?
“Fumo la vita” è il primo di una serie di brani, che insieme descriveranno a tutti il mio modo di godermi la vita, di cui apprezzo i contenuti ma di cui critico la forma. E non vedo l’ora che possiate sentirli.
a cura di
Ilde Stramandinoli
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