Tu dipendi dal clima e lui dipende da te

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Come tutti sappiamo negli ultimi decenni è in atto quel fenomeno che è il cambiamento climatico. Si sta palesando sempre di più portandoci a prendere delle serie misure per evitare conseguenze ancora più catastrofiche di quelle che si stanno verificando in più regioni del mondo. Ma quando l’uomo ha cominciato ad influenzare così fortemente il clima?

Indicativamente i primi impatti evidenti delle attività antropiche sul clima si fanno risalire al periodo della rivoluzione industriale, quindi dalla seconda metà/fine del XVIII secolo.

Non a caso si parla di Antropocene, cioè l’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre è fortemente condizionato a scala sia locale sia globale dagli effetti dell’azione umana.

Le cause

Le cause antropiche sono per la maggior parte da ricondurre alle emissioni (industriali, mezzi di trasporto, agricoltura e allevamento, riscaldamento, sistemi digitali ecc..); a queste si aggiungono cause naturali come cambiamenti orbitali e della geografia astronomica della terra, eruzioni vulcaniche, macchie solari e cambiamenti delle geodinamiche delle placche terrestri, che però agiscono in maniera molto minore.

Quindi quello su cui possiamo lavorare sono principalmente le emissioni. I gas climalteranti sono i gas serra (CO2, CH4, N2O, Gas fluorurati) e sostante particolate.

La gran parte dell’aumento di questi è dovuto alla combustione di carbone, petrolio e gas che produce anidride carbonica e ossido di azoto; alla deforestazione poiché gli alberi aiutano a regolare il clima assorbendo CO2 dall’atmosfera.

Anche lo sviluppo dell’allevamento di bestiame contribuisce, dato che i bovini e gli ovini producono grandi quantità di metano durante il processo di digestione; in aggiunta abbiamo i gas fluorurati che sono emessi da apparecchiature e prodotti che utilizzano tali gas.

Un po’ di dati

Il calcolo della velocità dell’aumento di emissioni è un elemento nuovo: si è misurato un aumento di CO2 di 98 ppm in 60 anni, da confrontarsi con un aumento di 80 ppm in 7000 anni circa, durante la transizione dall’ultimo picco glaciale all’attuale interglaciale.

Il tasso di aumento di CO2 in atmosfera è aumentato da 0,85 ppm/anno nel primo decennio di misure (1960-1969), rispetto ai livelli preindustriali, a oltre 2 nell’ultimo decennio misurato (2009-2018): in particolare, nel 2017 e 2018 è stato misurato un aumento di 2.5 ppm di CO2 all’anno.

Uno degli effetti dei cambiamenti climatici è il riscaldamento globale, strettamente legato all’emissione dei gas serra perché questi trattengono l’energia solare riflessa sulla terra. Per fare un confronto prendiamo i rapporti dell’IPCC (Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici).

Il riscaldamento climatico medio è stato in totale di 0,74°C dal 1906-2005, mentre di 1,09°C nel periodo 2011-2020 rispetto al 1850-1900, con un aumento all’anno in media di 0,2°C.

Si stima che le cause naturali abbiano contribuito in misura minore di 0,1°C in totale tra il 1890 e il 2010.

Le stime

Sempre dai rapporti IPCC emerge che per limitare il riscaldamento globale ad un livello specifico è richiesta una limitazione delle emissioni cumulative di CO2 che raggiunga quota zero nette, insieme a forti riduzioni delle emissioni degli altri gas serra, che nel 2050 dovranno diventare pari a zero. In più si punta a una riduzione dell’energia prodotta facendone un uso più efficiente.

L’obiettivo è quello di mantenere il riscaldamento ben al di sotto dei +2°C rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitarlo solo a +1,5°C; ad oggi è circa a +1°C. Mezzo grado può fare davvero la differenza.

Se continuiamo ad emettere gas serra ai ritmi attuali si raggiungerà +1,5°C nel 2040. Si stima che servano azioni urgenti in meno di 7 anni per invertire la rotta e contenere l’aumento della temperatura media globale, altrimenti si andrà verso una situazione irreversibile.

Effetti diversi ma gravi

Le conseguenze del cambiamento climatico sono già in atto e se non ci attiveremo presto queste saranno sempre più drastiche.

Nello specifico, nelle aree mediterranee si rischia (e in parte sta già avvenendo) un aumento della temperatura maggiore rispetto alla media europea, portando a un elevato rischio di incendi (si vedano anche gli ultimi giorni), bassa frequenza di precipitazioni che compromette le coltivazioni diminuendone la resa, diminuzione del potenziale idroelettrico e così via. Si potrebbe continuare all’infinito.

Per non parlare dell‘Artico. I risultati dell’analisi della velocità di scioglimento dei i ghiacci ci dice che nella primavera del 2020 si sono sciolti più velocemente che in passato e che si sono dimezzati come dimensioni rispetto a un decennio fa.

Time-lapse scioglimento Artico 2016

Gli oceani sono sproporzionatamente impattati dall’aumento della temperatura media globale. Il riscaldamento delle acque ed espansione termica comportano un innalzamento delle acque e modifiche alle correnti.

L’acidificazione e deossigenazione invece si presentano come un rischio per le barriere coralline, portando a cambiamenti quantitativi e qualitativi della biodiversità marina. Un’altra conseguenza potrebbe essere il degrado degli ecosistemi costieri che può rappresentare una minaccia per la sicurezza fisica, economica e alimentare delle comunità nei pressi delle zone costiere, così come per le risorse necessarie a livello globale.

Paradossalmente le aree che avranno più ripercussioni sono quelle africane che contribuiscono in modo limitatissimo all’immissione di gas nell’atmosfera. Sempre da uno dei rapporti dell’IPCC (del 2014) si stima che in Africa le temperature aumenteranno con un ritmo maggiore rispetto alla media mondiale durante il XXI secolo. Questo a causa dell’alta esposizione e della bassa capacità di adattamento del continente.

Gli effetti si palesano in modo differente nelle diverse aree del globo. In Africa si riscontra un’alternanza tra alluvioni e siccità, senza avere una via di mezzo e conseguenze sulla salute, portando a malattie ed epidemie.

Non dimentichiamo i cicloni, uragani e inondazioni in Bangladesh dove le piogge estreme sono due volte più probabili rispetto alla media come nella Cina sud-orientale; in Perù invece risultano 1,5 volte più probabili.

Il cambiamento non interessa solo una parte delle nostre vite

In tutto ciò bisogna fare una riflessione: chi resterebbe in un posto caratterizzato da frequenti inondamenti, incendi, siccità o desertificazione? Oppure chi andrebbe in vacanza in un luogo così?

È bene sottolineare come il cambiamento climatico interessi altre sfere, come quella politica, sociale ed economica. Con il passare degli anni ci sono sempre più persone che migrano altrove perché le loro aree sono state devastate o rese inabitabili da fenomeni estremi. Lo status di “rifugiato climatico” ancora non è contenuto nella definizione della Convenzione di Ginevra; quindi, non essendoci un riconoscimento non c’è nemmeno protezione.

Il cambiamento climatico è una questione di interesse mondiale, nessuno è escluso.

a cura di
Alice di Domenico

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