Wonder Woman 1984: il ritorno di Diana Prince è una mezza delusione

Wonder Woman 1984: il ritorno di Diana Prince è una mezza delusione
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Wonder Woman 1984, sequel – ancora una volta diretto da Patty Jenkins – di Wonder Woman con Gal Gadot, è disponibile in digitale dallo scorso venerdì 12 febbraio. Niente sala dunque per il ritorno di Diana Prince; vista la situazione la scelta è stata quella di non aspettare la riapertura e procedere direttamente con lo streaming. Conclusione amara ma prevedibile per un film già più e più volte rimandato.

Questa volta le vicende si svolgono nel cuore degli anni Ottanta; epoca durante la quale la ricerca della ricchezza e della bellezza a tutti i costi la facevano da padroni. Diana Prince conduce una vita solitaria e malinconica, sentendo ancora moltissimo la mancanza dell’amato Steve Trevor. Lontana da tutto e tutti, vive nel ricordo e nella solitudine e sembra, così, aver trovato un equilibrio.

Un giorno l’FBI porta allo Smithsonian alcune pietre preziose da analizzare; il compito viene affidato a Barbara Minerva, gemmologa esperta che diventa nuova collega e amica di Diana. Fra queste pietre c’è anche un misterioso quarzo citrino, apparentemente di scarso valore ma che in realtà cela un potere smisurato. Quello di esaudire i desideri di chi lo abbia tra le mani.

Un problema di sceneggiatura

Inutile negarlo, Wonder Woman 1984 non è all’altezza del film del 2017 e una delle ragioni principali di questo calo di qualità è proprio la sceneggiatura. In Wonder Woman a firmare lo script c’era Allan Heinberg; in WW84 ci sono Geoff Johns e Dave Callaham insieme alla stessa Patty Jenkins.

La carne al fuoco, per quanto riguarda linee narrative e inserti tematici, qui è davvero tanta; troppa, forse. Wonder Woman 1984 è inutilmente lungo e ipertrofico: 151 minuti di durata. 151 minuti in cui succedono un sacco di cose, ci vengono impartire diverse lezioni e lezioncine ma alla fine dei quali – paradossalmente – non ci rimane addosso nulla.

Il fatto di introdurre nuove linee e sviluppi della storia, in teoria, dovrebbe essere un pregio; in questo senso Wonder Woman 1984 è più ricco e sfaccettato del primo film. Il problema è che quando si sceglie di raccontare così tanto, a risentirne è l’approfondimento di alcune di queste linee narrative e dei personaggi stessi.

L’unica ad avere un arco narrativo completo è Diana Prince. Patty Jenkins ci mostra un’altra Diana e un’altra Wonder Woman, di cui non possiamo fare a meno di innamorarci ancor di più. Quanto alla storia in sé ci sono troppi buchi di sceneggiatura, troppe strizzatine d’occhio non necessarie alla contemporaneità, troppe soluzioni scontate.

Gal Gadot e Chris Pine

Gal Gadot continua anche qui a infondere linfa vitale al personaggio di Diana Prince e riesce con la sua sola presenza a correggere anche qualche difetto di scrittura del suo personaggio. In WW84 vediamo più Diana di Wonder Woman; soprattutto nella prima parte del film quando emerge il suo lato più fragile.

Gadot è perfetta nel rendere tutte le sfumature del suo personaggio e nel dare concretezza alla sua evoluzione. Wonder Woman qui è profondamente umana e col suo lato più umano si trova in conflitto, soprattutto nella storyline che riporta Steve Trevor (Chris Pine) nella narrazione. Storyline che manca della logica di base in alcuni sviluppi, ancora per un difetto di sceneggiatura.

Steve viene letteralmente resuscitato quando Diana chiede di poter riavere il suo grande amore esprimendo il desiderio attraverso il quarzo citrino. Trevor quindi ricompare, senza alcuna spiegazione, impossessandosi del corpo di uno sconosciuto qualunque di cui assume le sembianze. Né Diana né Steve si fanno troppe domande, ma lo spettatore sì. E non ottiene risposte.

Grande pecca – ma non è una novità – è la totale assenza dell’aspetto passionale della relazione fra Steve e Diana. Un peccato grave, perché la chimica tra Gadot e Pine è palpabile, ma entrambi sono costretti a mettere in scena un amore che è sì romantico ma troppo stilizzato.

Gal Gadot, va detto, è una dea e qui ha un’eleganza e una classe straordinarie. La sequenza più bella è quella dell’addio a Steve Trevor; sequenza girata benissimo, di grande cinema, con buona pace di chi pensa che i cinecomic siano “parchi di divertimenti” e poco altro.

Diana capisce che per riacquistare il pieno controllo dei suoi poteri deve rinunciare a Steve. I due si dicono addio, Chris Pine resta fuori dall’inquadratura ma è presente come non mai. Diana corre lasciandosi alle spalle il suo grande amore e andando incontro alla sua missione, in un grido di rabbia e dolore. Patty Jenkins dà vita a una sequenza tecnicamente impeccabile e di grande impatto. Purtroppo una delle poche del film.

Max Lord e Cheetah

Max Lord e Cheetah sono i villain principali che Wonder Woman si trova ad affrontare in questo capitolo. Il personaggio di Max Lord funziona abbastanza bene, grazie anche alla magnifica interpretazione sopra le righe di Pedro Pascal. Manco a dirlo, anche Max Lord soffre per qualche mancanza in fase di scrittura che, purtroppo, inficia la riuscita completa del suo personaggio.

Il problema vero è Barbara Minerva e come va in scena la sua evoluzione in Cheetah. Troppo frettolosa, troppo didascalica. Anche Barbara esprime il suo desiderio al quarzo citrino. Ci viene detto che chiunque lo faccia deve dare qualcosa in cambio; che sia la salute, i poteri o, nel caso di Barbara Minerva, la capacità di provare emozioni.

Barbara diventa un essere umano privo della benché minima empatia nel giro di un battito di ciglia, mentre sviluppa abilità fisiche sempre maggiori. In 151 minuti di durata avremmo voluto vedere un conflitto interiore mentre Barbara fa spazio a Cheetah, qualche dubbio, magari dei ripensamenti.

Come succede per Diana, che invece è piena di tormenti quando scopre che per riavere Steve deve rinunciare a parte dei suoi poteri. E invece no: Patty Jenkins decide di mostrarci Barbara che pesta un molestatore e solleva pesi (forza fisica) e comincia a trattar male tutti quelli che la circondano (perdita dell’empatia). E non è così che si racconta la genesi di un villain.

Le sequenze d’azione

Lo scontro finale tra Wonder Woman e Cheetah regala attimi di puro orrore. Attimi di orrore tutti legati alla CGI su Cheetah; divertitevi a scoprire a chi somiglia Kristen Wiig conciata in quel modo, se riuscite a non distogliere lo sguardo.

Wonder Woman e Cheetah se le danno di santa ragione ma per un arco di tempo irrisorio, che sfiora appena i dieci minuti. A fronte, vale la pena ricordarlo, di un minutaggio totale di 151. Anche il resto delle sequenze d’azione è un po’ sottotono e gli effetti visivi non sono così spettacolari come si vorrebbe.

Un po’ di adrenalina scorre nella macrosequenza ambientata in Egitto, ma ci si arriva già provati da una narrazione inutilmente prolissa e il merito della riuscita è tutto appannaggio di Gal Gadot, non certo di guizzi tecnici o particolari trovate registiche.

Ne vale la pena?

Wonder Woman 1984 è un film che non convince in pieno, non solo come sequel ma in assoluto. Purtroppo i buchi di sceneggiatura, gli effetti visivi imperfetti e le trovate non sempre all’altezza non sono una novità nei film del DC Extended Universe. Universo narrativo dall’andamento altalenante come pochi.

Vale la pena per Gal Gadot, per la prova di Pedro Pascal, per la colonna sonora che qui è usata davvero molto bene. E non c’è da stupirsi, essendo curata da Hans Zimmer. Vale la pena perché è comunque da apprezzare lo sforzo di allargare l’orizzonte narrativo e di far scoprire nuovi lati di Diana.

E vale la pena, infine, perché il messaggio che passa è positivo. Scontato, appesantito da un surplus di retorica sul finale, ma positivo e coerente. Diana ci ricorda che dobbiamo stare attenti a cedere alle nostre ambizioni e desideri; che dobbiamo perseguire ideali di altruismo e rettitudine e che se non facciamo così rischiamo di perdere tutto.

Patty Jenkins è una regista che bisogna tener d’occhio e seguire; per Wonder Woman 3 già confermato, per il suo prossimo progetto legato a Star Wars e per ciò che ha diretto in passato.

Purtroppo, gli evidenti difetti di scrittura e gli effetti visivi non sempre all’altezza delle aspettative pregiudicano la completa riuscita del film, che finisce per scivolarci addosso, raggiungendo tranquillamente la sufficienza ma niente di più.

a cura di
Anna Culotta

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