“Andrà tutto bene”, ma quando scusate?!

“Andrà tutto bene”, ma quando scusate?!
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Era il 9 marzo di un anno fa quando l’ex Pesidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lock-down in Italia e tutta la serie di restrizioni a cui ci saremmo dovuti abituare ed attenere, oltre alla carrellata di chiusure che si sarebbero protratte per chissà quanto tempo (non ancora terminate) dalle scuole alle attività commerciali.

Un intero Paese fermo

Era marzo del 2020 e il covid-19 entrava prepotente nelle nostre vite, nelle nostre case e tra le nostre abitudini, condizionando e segnando per sempre la nostra esistenza.

Ormai è trascorso un anno.

Un anno che ha stroncato vite e attività, che ha distrutto sogni e speranze, che ha stravolto il modo di giocare dei bambini, il modo di fare lezione a scuola, di sostenere esami universitari, di lavorare in qualunque settore: per ristoranti, bar, pub e negozi.

Un anno senza eventi live, senza concerti, senza spettacoli teatrali, senza congressi, convegni, fiere, senza palestre e piscine. Ospedali al collasso e personale sanitario impegnato costantemente in prima linea a lottare contro tutto, non solo contro un virus, ma anche contro l’ignoranza e un sistema che fa “acqua” da tutte le parti, che non tutela e che non aiuta.

Una finta presenza di uno Stato assente, di “politici imbrillantinati che minimizzano i loro reati” come cantava il grandissimo Rino Gaetano in una sua canzone (illuminante e attuale come se fosse stata scritta oggi e non quarant’anni fa). Un giro di soldi in un gioco di potere che non accenna a terminare, proprio come questa pandemia.

Quanto durerà ancora tutto questo? Quando ne usciremo davvero?

La verità è che ci siamo ancora dentro come se non fossero trascorsi 365 giorni, siamo fermi ad un anno fa con la differenza che quell'”andrà tutto bene” è fallito miseramente, è fallito un Paese con una classe dirigente incapace di far fronte a quest’emergenza.

Un potere che mangia in faccia e sulla testa e le spalle della povera gente, di chi fa dei sacrifici per arrivare a fine mese, di chi ha dovuto chiudere le serrande definitivamente e non solo per i periodi stabiliti dai vari decreti.

Un anno fa gli hashtag più gettonati erano #iorestoacasa e #andràtuttobene, c’era gente che cantava sui balconi, c’erano arcobaleni attaccati alle ringhiere. Abbiamo iniziato a familiarizzare con la DAD, il take away, i pannelli trasparenti pronti a separarci da chi avevamo di fronte, con l’obbligo di igienizzarci le mani ovunque andassimo e di rispettare i segnali pronti a ricordarci il famoso metro di distanza.

I Mass Media ci hanno bombardato ogni singolo giorno con le stesse parole, come se fossero chiodi da piantarci bene in testa:
virus, pandemia, contagi, ondate, tamponi, decessi, distanziamento sociale, terapia intensiva, mascherine, gel igienizzanti, guanti, coprifuoco, DPCM, vaccino, zona rossa, zona gialla, zona arancione, autocertificazione, assembramenti.

Un terrorismo psicologico che non ha risparmiato nessuno, con un aumento di stati di ansia, paura, depressione, senso di smarrimento e impotenza che ha portato, in alcuni casi purtroppo anche a tragici epiloghi. Una situazione che ha fatto salire vertiginosamente i casi di violenza domestica e di suicidi.

Siamo al 9 marzo 2021 e siamo in zona rossa, ergo: siamo punto e a capo.

Siamo ancora fermi, siamo ancora al “no” alla musica del vivo, ma sì alle messe cantate nel club del Signore, pronte a confermare un anno di contraddizioni e di prese in giro, di finte aperture e finti respiri di sollievo.

E la verità è che non è andato bene niente, è andato tutto malissimo. Ho paura che non ci sarà nessun ritorno alla normalità e che questa “non- normalità” sia avanzata lentamente fino a radicarsi completamente nel nostro modo di vivere, di pensare e di agire.

Ho paura che finiscano le speranze perché nessuno sembra parlare di una “fine”, ma solo e soltanto di un “continuo”, che inizia a pesare, inizia davvero a pesare, anche sui più forti e su quelli che hanno sempre creduto in quell'”andrà tutto bene”

a cura di
Claudia Venuti

illustrazione di
Nico Madonia

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Claudia Venuti

Claudia Venuti nasce ad Avellino nel 1987, a 14 anni si trasferisce a Rimini, dove attualmente vive e lavora. Oltre ad essere il responsabile editoriale della sezione musica di TheSoundcheck, è responsabile dell’area letteratura dell’ufficio stampa Sound Communication. Studia presso la Scuola Superiore Europea di Counseling professionale. Inguaribile romantica e sognatrice cronica, ama la musica, i viaggi senza meta, scovare nuovi talenti e sottolineare frasi nei libri. Sempre alla ricerca di nuovi stimoli, la sua più grande passione è la scrittura. Dopo il successo della trilogia #passidimia, ha pubblicato il suo quarto romanzo: “Ho trovato un cuore a terra ma non era il mio” con la casa editrice Sperling & Kupfen del Gruppo Mondadori.

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