Volevo solo ubriacarmi, invece sono andato a scuola (San Patrizio 2021)
Secondo San Patrizio paradossale, lontano da abbracci e dal rumore dei bicchieri che vanno a consacrare momenti legittimi di distensione. Lo scontro del vetro che inneggia alla leggerezza, la sincronica pace che, sguardo e consequenziale sorriso veicolano nel più classico brindisi scacciapensieri.
Questo periodo, per me che vivo l’Irlanda e le sue sfumature come schiaffi di vita non è altro che un esilio forzato e di riluttante accettazione verso qualcosa di troppo grande. Qualcosa che fino a poco tempo fa pensavo di comprendere ma che ancora non da riferimenti per strutturare un pensiero futuro solido e propositivo.
Va bene la favola dell’immacolato ottimismo a ripeterci tra i denti che “andrà tutto bene” ma fare i conti con la realtà è divenuta una partita da giocare più ostica.
Una partita tramite catene invisibili che volenti o nolenti sentiamo stringere anche se facciamo finta non siano presenti.
E la Musica?
Il mondo della musica ne ha risentito tanto, alla pari di tanti altri settori trascurati dal meccanismo giornaliero del non poter aver risposte. Una sala d’aspetto lunga un anno che ha ghettizzato l’artista in una campana di vetro. L’artista è impossibilitato a guardare l’esterno, ma sotto gli occhi di tutti mentre le prospettive cadono come foglie avvizzite dall’albero delle idee.
Qualcosa si muove, tramite pionieri moderni del buon senso aventi la percezione reale della gravità della questione. La musica e tutta l’arte è in ginocchio anche grazie a un’opinione pubblica che consente questa silenziosa omertà, scarnificando un’ovvia e teoricamente consequenziale logica di disapprovazione e indegno collettivo.
Esempio pratico e quasi matematico di come l’italiano stia giornalmente facendo piccoli passi quasi involontari verso un punto di non ritorno, di propensione a un cambiamento involutivo avvolto dalla paura.
Si sta riducendo in maniera arbitraria ad un numero, come se divenirlo fosse l’approdo più sicuro per continuare a campare una vita di imposizioni accettate contornate da certezze accomodanti.
Paghiamo le conseguenze
La tutela verso il prossimo spinge il pensiero d’azione a un ridimensionamento necessario. Porta a stringere i pugni e a fare del nostro meglio per preservare il vicino o semplicemente noi stessi nell’inevitabile sfida giornaliera di guardarci allo specchio, evitando di contaminare ulteriormente un pagina di storia logora e colorata di nero.
Una pagina che, munita di un segnalibro di cemento armato e mascherina, porta a nascondere il sorriso, quello che ci ricorderà per sempre quante cose belle abbiamo dato per scontato prima di perderle e vederle silenziosamente salutarci come inevitabili adeguamenti.
Adeguarsi, riadattarsi, comprendere, immedesimarsi, avvilirsi, arrabbiarsi, riprendersi, reinventarsi, destarsi.
La crono storia delle sensazioni forse si avvicina all’elenco qui scandito, il time laps degli ultimi 12 mesi è riassumibile in queste varianti. Adesso, dopo pugni di mosche e ruggine contemplata come esperienza da raccontare è decisamente ora di tornare a fare i conti con la fantasia. Perché questo c’è rimasto, oltre a un intuito da rinfrescare.
Il 17 marzo 2021, San Patrizio, mi sveglio con l’intento di fare festa, anche se isolato nelle campagne cesenati cerco vie di fuga. Cerco di distrarre la mia voglia di palco, furgoni carichi, incroci di sguardi con una bella cartucciera di Guinness, la maglia dei Celtic Glasgow stirata e tirata a lucido e la playlist di Punkadeka che per l’occasione si veste di cornamuse e violini.
Riesco ad accettare la situazione anche grazie al vicinato che, dalla distanza, alza i calici e si rende partecipe per poco. Ma soprattutto grazie al fatto che alle ore 21 e alle ore 24 saliranno sul palco dell’Estragon di Bologna e al One Yoga Planet in Kansas negli Stati Uniti, rispettivamente Modena City Ramblers e Dropkick Murphys, per esibirsi nei rispettivi show di San Patrizio.
La fine dell’arte?
Per molti potrà sembrare una magra consolazione, per altri è un monito che spinge a chiedersi se veramente questa è la fine che aspetta all’arte che più amiamo.
L’emozione negli sguardi dei MCR è tangibile, contagiosa, genuina e a tratti riflessiva. Coronano 30 anni di onorato servizio e nel bene o nel male questo anniversario non passerà nel dimenticatoio.
L’Estragon vuoto fa lo stesso effetto di piazza San Pietro vuota per la messa di Natale. La componente mistica è equivalente e la gente da casa scrive ininterrottamente per più di due ore nella chat dell’evento per sentirsi parte di un abbraccio collettivo.
La scaletta regala sprazzi di vecchie ballate, appunti di resistenza, nostalgia, eccitazione e poi riflessione. Sorrisi, strette al cuore, ninna nanne, pensieri all’Irlanda e poi ancora riflessione.
Quello che non può essere toccato con mano, quello che non è possibile avere, appunto il contatto, viene sostituito da una marcata coscienza e da una prospettiva che prevale in maniera determinante dopo un anno intero di paradosso temporale e solitudine culturale. C’è tanta voglia, si tocca.
Suonare senza pubblico, uno strano San Patrizio
Mi chiedo cosa spinge una band a suonare in un locale vuoto e capisco che reinventarsi è forse l’attitudine che fa dell’uomo l’eccellenza (sulla carta) di questo pianeta. La corsa alla sopravvivenza, che metaforicamente ci riconduce a istinti primordiali, radicati.
Qui il folk centra il bersaglio più di ogni altro genere o movimento perché le radici conducono emotivamente e in senso pratico a una resistenza vitale atta a riscoprirsi. Le radici, il folk, connubio imprescindibile. L’arte della strada e della vita vissuta servono proprio a fare del passato un trampolino per risalire la china. Non è un semplice concetto nostalgico dei “tempi andati”. È prendere spunto, spunto artistico, spunto emozionale, spunto per credere, spunto di vita da mettere alla base di una rinascita.
Il concerto scorre liscio, la connessione internet regge e il cimitero di lattine di Guinness riempie all’orlo il lavello della cucina.
Oggi ho festeggiato ma ho imparato, come fossi andato a scuola a cuor leggero, senza l’imposizione che mi faceva odiare la sveglia del mattino. Ho imparato che questo mondo, quello della musica non ti regala nulla se la vivi come una missione atta a far del bene. Che la gavetta è un motivo di vanto e orgoglio, che essere appesi a un concetto idealistico e attitudinale non significa per forza essere ancorati al passato e puzzare di vecchio e stantio.
Questo San Patrizio ho imparato l’arte di reinventarmi nello spirito, grazie al sacrificio che in questi anni mi ha regalato tante soddisfazioni e che, come drammaticamente è purtroppo successo ho dato a lungo per scontato quanto la felicità che ci sta scivolando silenziosa dalle mani.
Abbiamo bisogno di stimoli e possibilità, sta a noi essere sia uno che l’altro.
a cura di
Vasco Abbondanza