Evelyn McHale: la foto del più bel suicidio al mondo

Evelyn McHale: la foto del più bel suicidio al mondo
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L’importanza della cultura visiva e la sua influenza sulla vita degli artisti nel corso del tempo.

L’altra sera ho voluto iniziare una nuova serie tv, in attesa che quelle che seguo abbiano un proseguo, e sono incappata in questo telefilm che si apre con una ballerina su un tetto che danza e che, poco dopo, viene spinta da una figura incappucciata. Ora, della scena in sé ne avrei da dire, ma andiamo oltre. La clip del “volo” della ragazza, con annessa caduta di schiena, inevitabilmente, mi ha portato alla memoria la foto che ritrae il più bel suicidio al mondo, quello di Evelyn Francis McHale.

La storia


Evelyn McHale
, il 1° maggio del 1947, decise di gettarsi dall’ottantaseiesimo piano dell’Empire State Building di New York, a soli 23 anni. La sua storia, se guardata con gli occhi di oggi, è abbastanza comune e, probabilmente, se fosse avvenuta ai nostri giorni lei sarebbe ancora viva. A causa del lavoro di suo padre era costretta a trasferirsi di continuo. Sua madre, in preda ad una forte depressione, aveva chiesto il divorzio e la aveva abbandonata, insieme ai suoi sei fratelli, alle cure del marito che, come soluzione, aveva deciso di trasferirsi nuovamente a Tuckahoe, New York.

Qui Evelyn riuscirà a portare a termine la high school e, successivamente, entrerà nei Women’s Army Corps che, paradossalmente, la portarono nuovamente a spostarsi per il paese, questa volta però da sola. Sicuramente l’esperienza non le piacque visto che una volta terminato il servizio, bruciò la divisa.

Inizio della fine


Tornata a New York trovò un lavoro e un ragazzo, con il quale progettò anche di sposarsi nel giugno del 1947. Questo evento, però, non ebbe mai luogo.

Il giorno dopo il compleanno del suo fidanzato, Evelyn torna a New York e prende una stanza al Governator Clinton Hotel qui, in piena solitudine, scrive due biglietti d’addio che porterà con sé successivamente.

Alle 10.30 lascia la stanza d’albergo e si dirige verso l’Empire State Building, compra il biglietto per la vista panoramica e sale all’86imo piano. A questo punto la cronaca e le testimonianze dell’epoca ci raccontano che una volta giunta al piano ripiega il soprabito, poggia la borsetta con le due lettere, alcune foto di famiglia e un taccuino nero, si avvicina alla balaustra e si lancia nel vuoto atterrando di schiena, morendo sul colpo senza danno alcuno al corpo (almeno esteticamente).

Le lettere di addio


Al fidanzato lascia una breve nota:

Vivrai meglio senza di me, non sarei una brava moglie per nessuno…”.

A chi avesse trovato il corpo, invece, un biglietto con delle istruzioni, chiamiamole pure volontà, chiarissime:

Non voglio che nessuno, della mia famiglia o meno, veda alcuna parte di me. Potete distruggere il mio corpo cremandolo? Prego voi e la mia famiglia: non voglio nessun funerale o commemorazione. Il mio fidanzato mi ha chiesto di sposalo in giugno. Starà molto meglio senza di me. Dite a mio padre che ho preso troppe tendenze da mia madre…”

La nascita della foto divenuta leggenda


Di lì stava passando uno studente di fotografia, tale Robert C. Wiles che colse l’attimo dopo solo quattro minuti dalla caduta di Evelyn, sull’automobile di un diplomatico delle Nazioni Unite.

Chi lo avrebbe mai detto che uno studente di fotografia, che sognava di fare il fotoreporter, il giorno dopo con un suo scatto sarebbe finito su Life Magazine come Picture of the Week con la didascalia “Ai piedi dell’Empire State Building il corpo di Evelyn McHale riposa in pace in una bara grottesca, il suo corpo si è schiantato sul tetto di una macchina” rimanendo poi, oggettivamente, nella storia della fotografia.

Dalla cronaca alla cultura pop


Appare paradossale come il suicidio, di chi voleva esser nulla su questa terra, si stato preso e rivisitato in varie salse. Basti pensare che nel 1967 Andy Warhol ha deciso di usare l’immagine per la sua opera Fallen Body della serie Death and Disaster (1962-67).

Successivamente è stato il turno dei Saccharine Trust che hanno usato la foto per l’album Surviving you, always.

Lo stesso grandissimo David Bowie ne ha omaggiato la bellezza riproducendo la scena nel video Jump They Said, in cui Bowie è steso su un auto dopo esser caduto nel vuoto.

Mi piacerebbe citare anche i Pearl Jam, i quali hanno omaggiato la foto riproducendola sulla copertina di Black Spacer in maniera cartoon.

Questi sono gli esempi più famosi ma vi assicuro che scavando in rete i nomi non mancano; come la riproduzione a colori di una foto copertina di Gilt, l’album dei Machines of Loving Grace.

Naturalmente c’è anche chi, sentendosi ispirato dal suicidio di Evelyn, ha scritto delle canzoni: Anton Rothschild con la sua A love song to Evelyn McHale contenuta nell’album del 2009 The Diffident. Nel 2010, invece, troviamo la canzone Evelyn McHale nell’album Privilege dei Parenthetical Girls.

Conclusioni

Tralasciamo un attimo la moralità perché, lo so, molti di voi staranno puntando il dito, o pensando, che le volontà di Evelyn dicevano ben altro. Ricordiamo però che a livello giornalistico bisogna mostrare la realtà e la notizia e, quindi, capisco l’uso fatto all’epoca della foto di Robert Wiles. Nonostante non si sappia che fine abbia fatto, o perlomeno non si hanno notizie che riportano i suoi successi o insuccessi a livello fotografico, resta palese quanto l’impatto di un singolo scatto sia stato fonte d’ispirazione per gli anni successivi.

Non solo a livello artistico figurativo ma, addirittura, musicale. Questo dovrebbe far riflettere su quanto le foto e la cultura dell’immagine siano fondamentali per la crescita artistica di ognuno di noi.

Diteci cosa ne pensate e se volete approfondimenti su altre foto che hanno fatto la storia, come quella del più bel suicidio al mondo (che ad oggi, in realtà condivide il podio con lo scatto del buddista che si dà fuoco) della bellissima e sfortunata Evelyn.

a cura di
Iolanda Pompilio

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