Sono passati sei anni dal precedente Rock or Bust. Sei anni durante i quali è successo di tutto in casa AC/DC.
Malcolm Young è stato affetto da demenza e dal 2017 non è più con noi; il batterista Phil Rudd è stato arrestato, condannato ed è tornato in libertà. Brian Johnson ha compromesso il suo udito fino a non poter intraprendere il tour nel 2016 (dimenticare i tappi per le orecchie in occasione di una gara automobilistica non è stata una cosa saggia), sostituito da Axl Rose (discretamente bene, a onor del vero).
Da poco sono tornati con un nuovo album, Power Up. Più che una botta di corrente, più che un’accensione, un rinforzo. Un po’ come i poteri speciali dei videogiochi (power up, appunto). Diciamolo: Rock or Bust era un disco carino, standard persino per i canoni degli AC/DC. Rock classico, robusto, che non si sposta dalla cassa fissa in 4/4 neppure con le cannonate al plutonio.
Ma gli AC/DC sono questo, prendere o lasciare
Power Up è un comeback senza scossoni particolari. L’opener Realize e la successiva doppietta costituita da Rejecton e Shot In The Dark accoglie l’ascoltatore in un’atmosfera familiare, dove sai esattamente cosa accadrà e quando. Il tutto, però, confezionato a dovere, con il manierismo tipico degli AC/DC. Non è un male, perché gli AC/DC, fondamentalmente, sono questo. Prendere o lasciare.
Vi sono tuttavia due differenze sostanziali rispetto il suo predecessore: produzione e coinvolgimento. Il mix risulta strano: Power Up è roboante, d’accordo, ma spesso la voce di Brian Johnson si perde, viene quasi affogata dal resto della sezione ritmica. Al netto di questo, che forse interesserà poco e verrà notato da trenta persone in tutto il globo (al di fuori dei tecnici), il secondo aspetto è sorprendentemente a favore di Power Up.
Diciamo “sorprendentemente” perché, nonostante non ci siano chissà quali innovazioni (anzi, meno di zero), per essere un album del quintetto australiano c’è qualche guizzo che smuove le acque. Non immaginatevi stralci di prog o chissà quali virtuosismi: se vi aspettate qualcosa di rivoluzionario dopo 17 album, vi preghiamo di poggiare con delicatezza la bottiglia di rum che stringete in mano.
Tuttavia, brani come Kick You When You’re Down, Code Red e soprattutto Demon Fire sono delle piacevoli variazioni sul tema.

Tum, pa. Tu-tum pa.
Sono almeno quarant’anni che si ripete la stessa storia, la stessa nenia: gli AC/DC suonano sempre la stessa canzone. Solo perché non si scostano da un collaudatissimo 4/4? Solo perché sai esattamente cosa farà Phil Rudd alla batteria e quando partirà l’assolo? Solo perché sai che quasi sicuramente nel ritornello partirà un coro studiato appositamente per i live? Beh, anche. Ma questi non-più-ragazzi sono così, ed è stata anche questa la loro fortuna.
Power Up conferma che formula degli AC/DC scricchiola ma continua a funzionare, variazioni comprese. È un buon album, godibile, con una band in un buono stato di forma. È il tipico album AC/DC, dove ti senti a casa e anche questa volta te ne farai una ragione di indossare la stessa, identica maglietta di 50 anni fa. Però… non è tenuta malissimo…
a cura di
Andrea Mariano