Io sono Malala

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Un bambino, un libro e una penna possono cambiare il mondo.

Malala Yousafzai è nata in Pakistan nella suggestiva valle dello Swat. Qui ci sono montagne altissime ricoperte di neve, alberi che fanno frutti dolcissimi, fichi, melagrane e pesche, fiori selvatici, torrenti e cascate di acqua limpida.

“Benvenuti in paradiso” recita l’insegna all’ingresso della valle.

Nel White Palace, costruito dal primo Wali (parola che indica “sovrano”) dello Swat, ha alloggiato anche la regina d’Inghilterra. E Alessandro Magno, nel suo viaggio attraverso l’Afghanistan e l’Indo, ha attraversato la valle col suo esercito di soldati ed elefanti. Si dice anche che il celebre condottiero fece costruire una catapulta per poter afferrare Giove, la stella di Zeus. 

Malala frequenta la scuola fondata da suo padre, la Khushal School, a Mingora, la città più grande della valle, dove studia fisica, lingua urdu, storia del Pakistan e matematica. Con la sua migliore amica, Moniba, condivide le sue passioni: dai film della saga di Twilight, alla musica pop americana; dalle serie tv come Ugly Betty, alla scuola

Studiare le piace moltissimo e si contende, amichevolmente, il titolo di studentessa più brava della classe con un’altra compagna. 

Ma Malala è nata in un paese in cui quando nasce un maschio, si festeggia e si scende in strada per sparare in aria in segno di gioia; mentre quando nasce una femmina, non si fa nulla, poiché si sa che il suo unico ruolo sarà quello di occuparsi della casa e dei figli.

Ma lei è fortunata perché suo papà è diverso dagli altri, e da quando lei è nata, si è subito “innamorato” di quella figlia:

“So che c’è qualcosa di diverso in questa bambina”.

Il papà di Malala, grande oratore e poeta, è sempre stato sensibile al tema delle discriminazioni e dell’istruzione, tant’è che ha aperto diverse scuole nel suo paese. 

Egli ha anche insegnato alla figlia, fin da quando era piccola, che lei ha diritto alla libertà così come chiunque in questo mondo. Le dice sempre:

“Malala è libera come un uccello” 

Aggiunge persino il suo nome all’albero genealogico della famiglia, cosa che suscita l’ironia di un parente, perché nella genealogia delle famiglie pakistane, compaiono solo nomi maschili. 

Le donne non esistono.

Il nome Malala deriva da un’antica leggenda afghana, che narra dell’eroina Malalai di Maiwand, che guidò il suo esercito contro le truppe inglesi in una delle più importanti battaglie della seconda guerra anglo-afghana.

Malalai era l’umile figlia di un pastore che, come tutte le donne, prestava assistenza ai soldati in battaglia. Quando vide che il suo esercito stava per arrendersi, alzò in aria il suo velo e condusse le truppe alla vittoria.

Il suo nome è rimasto per sempre nei racconti delle tribù pashtun (popolo che vive diviso tra l’Afghanistan e il Pakistan), tant’è che a Kabul, è stato eretto un monumento in suo onore. 

Anche la famiglia di Malala è di etnia pashtun. Questo popolo segue un rigido codice d’onore chiamato Pashtun-wali, ed è famoso per la sua ospitalità e il suo orgoglio

A partire dal 2005, i talebani iniziano ad irrompere nella valle dello Swat, prima con una feroce propaganda radiofonica, inveendo contro i costumi e le mode occidentali, e poi imponendo la sharia a tutti i cittadini. Molte attività vengono vietate: non si può più ascoltare la musica, guardare la tv e i film di Bollywood, avere un computer, fare determinati giochi o organizzare gite scolastiche.

Ma, soprattutto, le donne non possono uscire di casa se non accompagnate da un maschio, anche di giovane età. Non possono ridere troppo forte, andare a fare compere, attirare troppo l’attenzione e, naturalmente, andare a scuola.

Grazie all’aiuto di un corrispondente della BBC, Malala, inizia a scrivere un blog in lingua urdu per raccontare della quotidianità sotto ai talebani.

Il diario è anonimo, ma non passa molto tempo, che le sue compagne di classe ne riconoscono la penna.

Cominciavo a vedere che la penna e le parole che ne escono possono essere molto più potenti delle mitragliatrici, dei carri armati o degli elicotteri.”

Il sito del New York Times le propone di partecipare ad un documentario per mostrare al mondo cosa sta accadendo nel suo paese. Inoltre, tiene interviste e partecipa a comizi e ad assemblee per parlare delle imposizioni del regime talebano e del diritto delle ragazze all’istruzione. Il suo nome inizia a diventare popolare anche all’estero, e molte scuole in Pakistan vengono intitolate a suo nome. 

Tra il 2007 e il 2009, la dittatura dei talebani si estende a tutta la valle, imponendo leggi severissime per tutti, in particolar modo per le donne. Molte scuole femminili vengono chiuse, e altre persino bruciate.

Nel 2011, Malala riceve il Pakistan’s National Youth Peace Prize.

Finché un giorno, nell’ottobre del 2012, Malala sta tornando a casa da scuola assieme alle sue compagne con un furgoncino guidato da Usman, l’autista che le bambine chiamano amichevolmente “fratello”, perché era solito raccontare loro storielle divertenti. È circa mezzogiorno. Ad un certo punto, la vettura viene fermata da due uomini in mezzo alla strada, vestiti di bianco col tradizionale copricapo: sono dei talebani.

I due chiedono di poter vedere le ragazze per avere delle informazioni. Si spostano nel retro e chiedono chi sia Malala. Le compagne si girano automaticamente verso la ragazza, e uno dei due uomini fa fuoco su di lei, ferendo anche altre due ragazze seppur in maniera più lieve

La pallottola le attraversa l’orbita sinistra e si ferma nella spalla. La sua vita è appesa a un filo, e la sua morte è questione di tempo. 

Ma Malala sopravvive. È un miracolo. 

La storia della ragazzina quasi uccisa dai talebani fa il giro del mondo. La sua lotta a favore dell’istruzione femminile viene appoggiata da moltissimi attivisti, personalità politiche e persino cantanti e attori. Scatoloni pieni di lettere, regali e cartoline da tutto il globo, arrivano all’ospedale di Birmingham, dove viene ricoverata Malala.

Nel 2014 le viene assegnato il Premio Nobel per la Pace.

Ma la sua storia non finisce qui.

Malala fonda il Malala Fund, organizzazione no profit che promuove l’istruzione delle bambine in tutto il mondo, aiutando le comunità locali, e fornendo strumenti e risorse affinché ognuna abbia accesso ad un’istruzione anche basica.

Così Malala, parla del suo progetto:  

“Ho iniziato a pensare all’istruzione e al lavoro del Malala Fund fin da quando mi hanno sparato. Ho concepito questo sogno di vedere ogni bambino andare a scuola guardando la gente intorno a me in Pakistan, i bambini che andavano in casa d’altri a fare il bucato, a lavare i piatti. Io avrei voluto vedere quei bambini con i libri in mano, con l’uniforme scolastica, liberi di imparare. È sempre stato il mio sogno. E ho la speranza di poter tornare in Pakistan e farlo diventare realtà.
Se riuscirò a mandare anche solo un bambino a scuola, avrò la sensazione di aver fatto una gran cosa. Anche un solo bambino in più è un passo importante. Farò per il mio paese tutto quello che potrò”

a cura di
Silvia Ruffaldi

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Silvia Ruffaldi

Silvia ha studiato Scienze della Comunicazione a Reggio Emilia con il preciso scopo di seguire la strada del giornalismo, passione che l’ha “contagiata” alle superiori, quando, adolescente e ancora insicura non aveva idea di cosa avrebbe voluto fare nella vita. Il primo impatto con questo mondo l’ha avuto leggendo per caso i racconti/reportage di guerra di Oriana Fallaci e Tiziano Terzani. Da lì in poi è stato amore vero, e ha capito che se c’era una cosa che voleva fare nella vita (e che le veniva anche discretamente bene), questa doveva avere a che fare in qualche modo con la scrittura. La penna le permette di esprimere se stessa, molto più di mille parole. Ma dato che il mestiere dell’inviato di guerra può risultare un tantino pericoloso, ha deciso di perseguire il suo sogno, rimanendo coi piedi ben piantati a terra e nel 2019 ha preso la laurea Magistrale in Giornalismo e cultura editoriale all’Università di Parma. Delle sue letture adolescenziali le è rimasto un profondo senso di giustizia, e il desiderio utopico di salvare il mondo ( progetto poco ambizioso, voi che dite ?).

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