Friz, Ballate Dasporto. Manca l’apostrofo, non la qualità
I miei occhi soffrono, le mie orecchie no.
Apro la casella di posta (sì, lo so: è un termine già desueto nel 1999). “Super ciao Andre, ti andrebbe di ascoltare questo EP?“. Leggo il titolo: Ballate Dasporto. “Dove è finito l’apostrofo? Uhm… deve essere una qualcosa di indie o rap. Dai, perché no… Però, quell’apostrofo…“.
Leggo la breve biografia di Friz. Quattro anni fa ha abbandonato la vita di provincia per trasferirsi nella più stimolante Bologna. Se non fosse per il primo impiego differente, praticamente è anche la mia storia. Ergo, il ragazzo inizia a essermi simpatico a livello empatico.
Ma non sono qui per parlare di parallelismi umani. Ho approcciato Ballate Dasporto con curiosità e diffidenza. La prima è cresciuta, la seconda è sparita. Perché il ragazzo ci sa fare, ha un modo di raccontare “old style”, senza darsi arie, rappando storie comuni, di tutti i giorni.
Friz non parla di sogni esagerati, non è infarcito di “money”, “bitch”, “ah, yeah“, non realizza barre su tette e culi.
Ballate Dasporto racconta riflessioni da dopolavoro, serate che alle 4 di mattina non vogliono finire (dedica in Babilonia all’omonimo locale è una chicca per tutti i bolognesi), storie d’assuefazione d’amore in equilibrio precario, con quella sferzata di vaga dolcezza che per fortuna non sfocia mai nel melenso. Fidatevi di uno che odia le robe insulsamente sdolcinate.
Il ragazzo ci sa fare, ha talento. Ballate Dasporto ha basi buone e orecchiabili, i testi di Friz raccontano cose semplici, quotidiane, ma in maniera non così banale.
Il qui presente anziano scribacchino è contento di vedere smentita l’iniziale diffidenza. Un genere che mi ha sempre affascinato, che molto spesso mi ha deluso. Stavolta no.
L’unico aspetto che mi manda ancora in bestia: quell’apostrofo mancato nel titolo. È fatto di proposito, lo so, ma la mia parte da grammar nazi defibrilla.
a cura di
Andrea Mariano
LEGGI ANCHE – Erbe Officinali: “Vi offriamo un rimedio all’ansia”
LEGGI ANCHE – Laurino: “Il mio Buddha è la musica”