Tananai ed i suoi “Piccoli boati” che fanno un gran eco
Da mezzanotte è fuori Piccoli boati il primo ep di Alberto Cotta in arte Tananai per Sugar Music, un vero e proprio viaggio introspettivo attraverso sei brani che mettono in risalto sia il suo stile dannatamente autentico ed originale, che quella vena malinconica, ironica e pungente al tempo stesso.
Tananai ama raccontarsi senza filtri, senza schemi o strategie e la musica gioca un ruolo fondamentale in tutto questo perché è il suo specchio migliore, è il canale che utilizza per tirare fuori tutto ciò che ha dentro, andando fino in fondo ad ogni emozione, spingendosi all’estremo di ogni esperienza per capire non solo come ci è arrivato ma soprattutto cos’ha imparato.
Ed è così che riesce a trasformare ogni sensazione, positiva o negativa, in qualcosa di “terapeutico” non solo per sé stesso, mettendo tutto nero su bianco, ma soprattutto per chi poi si ritroverà ad ascoltare le sue canzoni.
Per fare alcuni viaggi non esistono cinture di sicurezza o finestrini chiusi e allora bisogna lasciarsi trasportare dalla strada, seguendo quelle linee a volte tratteggiate, altre volte continue o addirittura inesistenti, cercando di andare “oltre” il panorama apparente e le possibili indicazioni. Solo così ci si potrà godere davvero lo spettacolo, anche se a volte può far male, ma alcune verità fanno sempre un po’ male no?
Ad ogni modo questo viaggio chiamato “Piccoli boati” lo consiglio a tutti ed ecco cosa mi ha raccontato Tananai in questa intervista…
Tananai è un soprannome che prende vita tanto tempo fa, visto che era il modo in cui ti chiamava tuo nonno e oggi è il tuo nome d’arte. Cosa significa per te e cos’è rimasto di quel bambino di un tempo?
Diciamo che è rimasto sicuramente il mio lato casinista (ride). Ho scelto questo nome perché è molto personale, intimo, e alla fine nelle mie canzoni non faccio nient’altro che mettermi a nudo mostrando la parte più vulnerabile di me, che magari nascondo agli altri nella vita di tutti i giorni.
Nella canzone “Volersi male” parli del tuo ANALFABETISMO IN AMORE ed è un concetto che mi ha particolarmente colpito e di per sé è una frase che attualmente rispecchia la maggior parte di questa generazione alle prese con il “virtuale” ed è come se fossimo o stessimo diventando tutti un po’ analfabeti con i sentimenti con il rischio di regredire. Raccontaci cosa significa per te questa frase…
Bella interpretazione! In realtà è molto più semplice di così, semplicemente il bambino casinista di cui ti parlavo prima salta fuori abbastanza spesso in situazioni in cui non è richiesta la sua presenza. Ho mandato all’aria tante cose belle per via delle mie ansie, paure e incapacità di non fare cazzate. Per questo a volte mi definisco un analfabeta emozionale.
A proposito di “mode” che passano, quale moda faresti tornare e quale invece elimineresti?
Eliminerei la moda dei filtri che ti modificano la faccia per farti apparire più bello/a e reintrodurrei senza ombra di dubbio la Tecktonik.
Com’è cambiato nel tempo il ruolo della musica nella tua vita e cosa significa per te ad oggi fare musica?
Devi sapere che sono sempre stato una persona scostante, raramente ho portato a termine quello che iniziavo perché mi annoiavo molto facilmente. Se pensi a un qualsiasi sport, al 90% l’ho praticato per un breve periodo. Fare musica non mi ha mai stancato, ho passato praticamente ogni notte della mia vita a produrre dai 14 anni fino a poco dopo avere iniziato l’università, periodo in cui mi è stato offerto un contratto discografico per il mio precedente progetto “Not for us”.
Mi sono trovato davanti a un bivio: dovevo scegliere se continuare a fare musica nel mio tempo libero o rischiare e cercare di farlo diventare il mio lavoro. È stata una scelta facile. Credo che l’unico modo che hai di non annoiarti nella vita sia non percepire lo scorrere del tempo, fare musica per me significa non sentirlo e avere l’obbligo di vivere ogni emozione a fondo.
A proposito di tour (che partirà il 6 marzo) hai già avuto modo di fare alcune tappe, come sta andando, che sensazioni stai vivendo a contatto con il tuo pubblico e a stare su un palco con delle persone che cantano a memoria le tue canzoni?
È sicuramente una delle emozioni più forti che abbia mai provato. Sta andando molto bene e poi sono felice di visitare posti in cui non ero mai stato prima. Se poi, come nel mio caso, la band è formata dai tuoi amici, è davvero difficile non godersela; saliamo sul palco in primo luogo per divertirci, e la gente si diverte perché ci divertiamo!
Con il tuo ultimo singolo GIUGNO (che sembra aver qualcosa di diverso dagli altri) di cui è uscito anche un bellissimo videoclip, ti sei messo a nudo raccontando con dei versi l’epilogo di una storia d’amore. Due curiosità: le sensazioni post stesura – registrazione e uscita, ma soprattutto com’è nata l’idea del video e chi ti ha aiutato nella realizzazione?
Ho sperimentato il carattere terapeutico della scrittura per la prima volta con “Giugno”. L’ho scritto di getto poche ore dopo essere stato lasciato dalla mia ex ragazza, piangendo come uno scemo al pianoforte. Mi sono sentito immediatamente meglio, e mi ha aiutato a voltare pagina.
Il videoclip nasce come al solito da un’idea dei miei amici Olmo e Marco, che mi seguono fin dall’inizio di questa avventura. In realtà oltre a loro c’è un team di amici talentuosissimi coinvolti nella realizzazione (Niccolò Cacace, Jack Ostini, Arturo Brunetti, Cosimo Quartana e ovviamente la mia manager Giorgia Salerno)
Sono molto fortunato ad essere circondato da persone che credono nel progetto tanto quanto – se non di più – di me e che si preoccupano fondamentalmente di fare qualcosa di bello e che ci renda orgogliosi.
a cura di
Claudia Venuti
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