E’ uscito il 5 dicembre la versione digitale de “Il corpo, l’anima e la mente”, ovvero il terzo album di Mario Grande. Il disco era già uscito in aprile, ma solo in versione fisica quindi ora per l’occasione ci siamo fatti raccontare qualcosa in più.

1) “Il corpo, l’anima e la mente” è il titolo del tuo terzo album: cosa rappresentano per te queste tre dimensioni e come dialogano tra loro nel disco?
Per me sono tre parti inseparabili. Il corpo vive davvero le cose: l’amore, l’assenza, la paura, il desiderio… e spesso se le porta addosso anche quando se le vorrebbe dimenticare. La mente è quella che non sta mai in silenzio: rimugina, ricorda, immagina scenari, si inventa dubbi, a volte ti protegge e a volte ti complica la vita. L’anima è la parte più delicata, quella che cerca un posto sicuro dove riposare, dove sentirsi accolta.
In questo disco queste tre dimensioni si rincorrono continuamente: ci sono canzoni che partono da qualcosa di molto fisico e diventano pensiero, altre che nascono dalla nostalgia o dall’attesa e poi arrivano dritte al cuore. Il titolo è il mio modo per dire che, quando provi qualcosa davvero, coinvolge ogni parte di te.
2) C’è un brano che senti particolarmente rappresentativo di tutto il progetto? Perché?
Direi proprio “Il corpo, l’anima e la mente”, perché è la sintesi più chiara dell’album: parla dell’affidarsi senza riserve, del dare tutto a un legame e trovare riposo in un abbraccio, anche quando la mente torna a complicare le cose. È il centro emotivo del disco e in qualche modo contiene già tutte le sue direzioni: amore, fragilità, resistenza.
3) Nell’album affronti temi delicati come la violenza sulle donne, l’emarginazione e la resilienza. Quanto è importante per te usare la musica come strumento di consapevolezza?
È fondamentale, ma penso che deve passare attraverso l’empatia, non attraverso una predica. La musica può aiutarti a guardare una realtà che a volte preferiremmo evitare. Quando affronto certi argomenti cerco delicatezza e verità: mi interessa dare voce, far immedesimare, accendere una consapevolezza che resti dentro anche dopo l’ultima parola e l’ultima nota.
4) “I fiori di Cutro” è uno dei brani più toccanti del disco: come è nato e cosa ti ha spinto a raccontare questa storia?
Ho ascoltato l’intervista di un pescatore che una mattina si è trovato inaspettato testimone di quella tragedia. Mi sono immedesimato in lui. Poi ho letto di quelle madri salite su quel vecchio peschereccio con il loro bene più prezioso fra le braccia: le loro figlie. Madri che non cercavano fortuna ma diritti, libertà, futuro. Provenivano da territori dove a una donna non sono consentiti i minimi diritti fondamentali come ad esempio l’istruzione. Ho scritto quel brano in quello stato emotivo e il testo mi è caduto addosso quasi come se qualcuno lo scrivesse per me. Era il mio bisogno di non restare spettatore, di trasformare quella commozione in un gesto di memoria e di rispetto.
5) I tuoi testi sono molto poetici e metaforici: scrivi prima le parole o nasce prima la musica?
Spesso nasce prima un’immagine o una frase. Scrivo quasi sempre la sera e mi porto dietro quelle parole e quelle melodie anche quando vado a dormire e così, mentre sono in dormiveglia, mi capita di accendere la luce per appuntare un verso che mi rincorre. Poi arriva la musica ad avvolgere tutto. Ma non è una regola fissa: a volte suonando la chitarra o il pianoforte è la melodia che apre la porta alle parole.
6) Guardando indietro dai tuoi esordi fino a oggi, in cosa senti di essere cambiato di più come artista?
Sono cambiato come essere umano. Le esperienze di vita ti insegnano a dare un nome diverso alle emozioni, a riconoscere la bellezza, le contraddizioni e anche il dolore negli occhi della gente.
Intanto è cambiato il mondo: da quando ho scritto le prime canzoni a oggi tutto si è trasformato, economicamente, socialmente, politicamente. Tutto questo ha inevitabilmente influenzato anche i miei testi.
E poi mi piace sempre di più dare vita alle immagini che accompagnano la mia musica: i video, ma non solo. Questa volta ho progettato e realizzato personalmente anche tutte le grafiche per il vinile e il CD, perché per me un disco è un’esperienza da ascoltare, ma anche da toccare e custodire.
7) A chi consiglieresti questo album e in quale momento della vita?
Lo consiglierei a chi ha voglia di ascoltare con calma. A chi sta attraversando un passaggio: una fine, un inizio, una rinascita, una perdita, un amore che cambia forma. È un disco che prova a fare compagnia, più che a dare risposte. E credo che a volte sia proprio questo che aiuta.
8) Se dovessi descrivere questo album con una sola parola, quale sarebbe?
Sono due: Sogno e Nostalgia.
Nostalgia nel senso più ampio: non solo rimpianto, piuttosto una tenerezza profonda per ciò che è stato, per ciò che avremmo voluto, per ciò che sogniamo ancora. È il sentimento che spesso accende la mia ispirazione. E poi sogno perché è un disco nato nel confine tra realtà e immaginazione, tra ciò che ho vissuto e ciò che ho desiderato, tra ferite vere e mondi interiori. In fondo per me la musica è questo: un sogno che diventa suono.
a cura di
Redazione
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