Santa è tante cose, ma principalmente è reale. Una protagonista vera che racconta una storia vera. Iconica e multiforme. Una donna con un’unica ambizione – un solo desiderio: essere amata in maniera totalizzante.
Perché non le è mai successo. Prima della sua nascita è stata cullata la speranza di un figlio finalmente maschio, da celebrare con il cartello sulla culla che grida “Benvenuto Santo”, dopo la sua nascita le attenzioni sono comunque state per sua sorella, la capricciosa Beatamaria. L’affetto è quindi una cosa occasionale, che deve meritarsi. La felicità è invece una mozzarella mangiata al mare, in quel paesino in Calabria da cui cerca di scappare.
Il romanzo – Santa – è stato pubblicato nel 2024 ed è l’esordio di Rosanna Turone. Edito da NNE appartiene alla stagione, la casa editrice infatti non ha collane ma si sviluppa in Stagioni, Trilogie e Serie tematiche, le Fuggitive.
Ed effettivamente la nostra protagonista fugge, fugge sperando di trovare un amore intero e soprattutto un destino diverso. Lo fa tra le braccia di Gianni, un uomo bello e incapace di parlare correttamente. Un uomo che la porta al nord, tra le montagne, e la delude.

«Meglio di lui non ne trova» aveva detto mia madre. «Aveva un brutto carattere, ma uno non è che può avere tutto. Se cerchiamo quello che ha tutto, moriamo cercando» […]« Ma quando mai, una femmina può farcela da sola?».«Ma Santa è femmina per finta» aveva risposto mia madre.
Gianni è violento, urla e lascia buchi nei muri. E lei lo lascia, anche se nessuno la capisce ed è pronta a sostenerla. C’è di buono, però, che è nato Tommaso e per la prima volta Santa scopre di saper far qualcosa: la mamma. Ed è anche per lui che invece lei vuole farcela da sola. Per quel sentimento puro e finalmente disinteressato.
È irrequieta, fa fatica ad incastrarsi e non è una che “non rompe i coglioni”. Fa un lavoro, che non pensava fosse un lavoro, dove incontra Mauro. Lui che dice di amarla, ma guarda davvero solo il suo corpo. Che la vorrebbe un po’ diversa, che la priva di tutto ciò che ritiene importante. Che non è in grado – come tutti – di riconoscere la sua sofferenza e cullare le sue fragilità.
La mia faccia è una sfortuna, una faccia che, anche se muoio dentro, fuori non si vede. Una faccia che dice che sono forte, che ce la faccio sempre, che quando piango non se ne accorge nessuno. Una faccia che dimostra una forza che fa paura, anche se per poco, fino a quando non viene fuori una fragilità infinita che fa sparire tutti, che fa indietreggiare tutti. Che fa paura più la fragilità della forza, che autorizza a tenere le distanze, ad amare da lontano, senza mischiarsi, senza sporcarsi le mani.
Non c’è nessuno in grado di sentire il suo urlo. Nessuno a parte sua nonna, che ha gli occhi che brillano quando la vede e ama ascoltarla cantare.
Sul finale Santa, che è una “pathological people pleaser“, decide per sé. Forse per la prima volta. Lo fa in maniera dolorosa, come in realtà è doloroso tutto il libro. Forse per il tono sferzante e ironico, forse perché la sua vita – raccontata quasi in flusso di coscienza, racchiude qualcosa della vita di ogni donna.
Non credo l’obiettivo di Turone fosse quello di parlare di femminismo, ma la storia della sua protagonista è così collettiva che è impossibile non riflettere su quanto la rabbia delle donne – storicamente sminuita – sia invece fondamentale. Di come sia necessario un movimento che ci vede e ci riconosce, ma che soprattutto riconosce ciò che continuiamo a subire. Una violenza che spesso viene normalizzata anche da chi ci è vicino.
Nella disperazione di Santa, che subisce in maniera inarrestabile tutte le scelte fatte per gli altri, c’è in fondo solo il bisogno di certezze e sicurezze. La necessità di tornare finalmente al mare, che la trascina e ci trascina verso l’impensabile.
a cura di
Andrea Romeo
Seguici anche su Instagram!