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Mercoledì 14 maggio, con gli ultimi tre episodi rilasciati su Disney+, si è conclusa una delle serie più belle degli ultimi anni: Andor. Tra momenti emozionanti e una tensione crescente, Tony Gilroy ha confezionato il miglior prodotto Star Wars dai tempi di Rogue One.

Alcuni prodotti sono diversi. Unici. Te ne accorgi mentre li guardi. Rimani seduto davanti allo schermo, immobile, in balia di un destabilizzante terremoto di emozioni. Non stai più guardando una storia, la stai vivendo. Andor è uno di quei prodotti.

Regia, scrittura, recitazione, ambientazioni. Tanti piccoli tasselli che formano un mosaico imponente, maestoso, affascinante ed emozionante. Tony Gilroy è riuscito in un’impresa che negli ultimi anni sembrava un miraggio: restituire a Star Wars l’essenza di Star Wars.

Che gli ultimi prodotti della saga non siano stati all’altezza, non è certo un mistero. Partendo dalla trilogia sequel, condannata ancor prima di cominciare da un progetto inconsistente e confusionario, per arrivare a un percorso seriale a dir poco altalenante. Dopo un inizio promettente scandito dalla prima stagione di The Mandalorian, le successive produzioni si sono attestate sul livello della mediocrità: da The Book of Boba Fett a Obi-Wan Kenobi, da Ahsoka a The Acolyte, le delusioni sono state tante. Perché non basta un’armatura in acciaio Beskar o il ritorno di Darth Vader a nobilitare un progetto. Ci vuole una visione artistica chiara e solida.

Esattamente quella avuta da Tony Gilroy, chiamato dalla Disney per rimettere mano alla storia di Rogue One – spin-off del 2016 da lui sceneggiato e diretto da Gareth Edwards – per ricavarne un racconto più ampio e ambizioso, che gettasse luce sulle origini della Ribellione e sulle persone che hanno contribuito a diffonderla in ogni angolo della Galassia. È il 2022 e su Disney+ esce la prima stagione di Andor.

Tony Gilroy e Genevieve O’Reilly
Andor è Star Wars

Quando la serie approdò sulla piattaforma ricevette elogi e apprezzamenti da parte della stampa, ma il pubblico si dimostrò più tiepido e dubbioso.

“Questo non è Star Wars!” fu la principale critica rivolta alla serie, tacciata di essere lenta, noiosa e irritante. Epiteti che hanno colpito anche questa seconda stagione (disponibile ora nella sua interezza). Sicuramente si tratta di un’opera che si prende i suoi tempi per tessera la ragnatela di eventi, incontri e relazioni che vuole mettere in scena. Ma è una soluzione necessaria. Una logica conseguenza alla volontà di giocare con generi poco esplorati dalla saga: in Andor convivono spy-story, heist movie e persino prison movie.

Generi ben bilanciati tra loro, che hanno donato alla serie un’identità precisa e spiazzante. Nessuna spada laser, nessun duello tra Jedi e Sith, nessuna battaglia spaziale. Solo un manipolo di persone pronte a tutto in nome della Ribellione. E questo è esattamente Star Wars. Uomini e donne comuni che si oppongono alla dittatura dell’Impero, che fanno del camuffamento e dei sotterfugi la loro quotidianità, che agiscono nell’ombra guardandosi sempre le spalle. Tutto, come direbbe Luthen, per far sorgere un’alba che in molti non vedranno.

Sacrificio: ecco la vera essenza di Andor e dei suoi personaggi, la vera essenza di Star Wars. Se non fosse stato per quel sacrificio, e per la speranza che ne deriva, la saga che tanto amiamo non sarebbe mai esistita.

L’epica della realtà

Andor rifugge il tono più avventuroso e scanzonato, si allontana dall’ironia che negli anni ha contraddistinto il mondo creato da George Lucas, e fa muovere i protagonisti in un racconto drammatico, dove non c’è una netta distinzione tra buoni e cattivi, ma solo zone grigie.

Anche questa seconda stagione è riuscita a rendere epica la realtà, senza bisogno di ricorrere alla tipica natura favoleggiante della saga. Tony Gilroy e il suo team hanno preso la strada più difficile: dare risalto alle persone ordinarie, quelle armate solo di blaster e travestimenti, di nomi in codice e falsi sorrisi, di mezze verità e mezze bugie.

Il risultato è una serie che sa cosa vuole raccontare e, cosa più importante, sa come raccontarlo, grazie a una scrittura consapevole e a personaggi memorabili, che incarnano le mille sfumature della Ribellione. C’è l’istintività di Cassian (Diego Luna), la combattività di Bix (Adria Arjona), la leadership di Luthen (Stellan Skarsgard), l’imprevedibilità di Saw Gerrera (Forest Whitaker), la forza di Mon Mothma (Genevieve O’Reilly), la dedizione di Kleya (Elizabeth Dulau).

Kleya (Elizabeth Dulau) e Luthen (Stellan Skarsgard)

Con la stessa brillantezza, Andor fotografa l’efferatezza dell’Impero, dedito a consolidare il suo potere e a perseguire i suoi piani, proiettando un’ombra di terrore e morte. Una tirannia senza limiti, che seduce, corrompe e distrugge anche coloro la servono: da Dedra Meero (Denise Gough) e Syril Karn (Kyle Soller) al Maggiore Partagaz (Anton Lesser).

Tutto questo raccontato con una soluzione narrativa rischiosa, ma efficace: quattro archi narrativi – di tre episodi ciascuno – distanti un anno gli uni dagli altri. Una scelta che all’inizio ha disorientato, con i suoi continui salti geografici, ma che ha poi trovato il suo equilibrio, rendendo la serie più dinamica e ricca di tensione. Un crescendo di emozioni che ha concluso un percorso ambizioso, facendo di Andor la serie live action più matura e politica dell’universo Star Wars.

Il miracolo di Tony Gilroy

Una serie così adulta e ben orchestrata arriva forse nel momento di maggiore necessità. Il franchise non gode di buona salute – avendo inanellato prodotti mediocri o del tutto fallimentari – ma Andor sembra aver acceso una fiammella di speranza. In attesa di Star Wars: Starfighter, film di Shawn Levy con Ryan Gosling in programma per il 2027.

Una regia coinvolgente, location suggestive e una fotografia curata nei minimi dettagli rendono Andor un prodotto di altissimo livello cinematografico. Senza dimenticare l’eccellente prova del cast – guidato da un gigantesco Diego Luna – capace di regalare momenti di grande intensità emotiva che resteranno nel cuore e negli occhi di fan e non solo. Perché un altro, enorme pregio della serie è stato quello di avvicinare al mondo di Star Wars anche i profani, coloro che non hanno mai avuto a che fare con questo universo narrativo.

Cassian Andor (Diego Luna)

Andor parla a tutti e lo fa attraverso il linguaggio universale della fratellanza e dell’altruismo, abbattendo il muro dell’esclusività e conquistando chiunque sia disposto ad ascoltarlo. Una forza narrativa ed emotiva dirompente che gli permette di ritagliarsi un posto nell’Olimpo della serialità.

Conclusioni

Con questa seconda stagione, Andor ha inaugurato ufficialmente un nuovo standard di qualità. Da questo momento in avanti, chi entrerà nel mondo Star Wars dovrà necessariamente misurarsi con la grandezza di questa serie, del suo racconto e dei suoi protagonisti. Un prodotto da (ri)guardare e ammirare.

In attesa di scoprire che cosa ci riserverà il futuro del franchise, non possiamo fare altro che ringraziare Tony Gilroy per averci regalato il miglior prodotto di Star Wars dai tempi di Rogue One.

a cura di
Alessandro Michelozzi

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