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Il conflitto arabo-israeliano narrato dall’autrice palestinese più grande del nostro tempo

La questione del conflitto arabo-israeliano è una storia purtroppo ancora molto attuale e il romanzo di Susan Abulhawa ci fa entrare direttamente dentro le case delle persone che questa guerra la vivono quotidianamente. Attraverso la storia di Amal Abulheja, ripercorriamo i momenti felici di un popolo che un tempo viveva in pace. Poi assistiamo all’esodo verso i campi profughi e alla tragedia della disgregazione di tante famiglie colpite dalla guerra.

L’infanzia di Amal

Amal Abulheja è una ragazzina nata nel campo profughi di Jenin da una famiglia di palestinesi costretti a fuggire dalla propria casa, nel villaggio di ‘Ain Hod. Una cittadina tranquilla di fichi e olive, dove i bambini giocano spensierati e la melodia dell’adhan risuona per le strade richiamando i fedeli alla preghiera. Dove la raccolta delle olive è un rito annuale di estrema importanza perché unisce la comunità e crea un clima di sana competizione. In questo angolo di Palestina vive Hassan, figlio di Yehya e padre di Amal, che da giovane fa amicizia con un ragazzino ebreo dagli occhi grandi e una gamba claudicante. I due, nonostante l’incapacità di comunicare in una lingua comune, stringono un profondo legame. Tempo dopo, Hassan racconterà a sua figlia di quel suo amico ebreo che considerava “come un fratello”.

Amal cresce a Jenin, ascoltando le storie sul villaggio di suo nonno e suo padre. Quando da adulta, andrà a vivere negli Stati Uniti, le notti passate con suo padre a leggere poesie fino all’alba, diventeranno i suoi ricordi più cari:

Adesso, la mia vita prima della guerra mi ritorna in ricordi avvolti dalle braccia di papà e profumati dal tabacco della sua pipa. Non ho mai visto un parco giochi e non ho mai nuotato nel mare, ma la mia infanzia è stata magica, sotto l’incanto della poesia e dell’alba. Non ho più trovato un luogo sicuro come l’abbraccio di mio padre. Non ho più conosciuto un momento più dolce dell’alba, che arrivava con l’odore di tabacco al miele e mela e le splendide parole di Abu Hayyan, Khalil Gibran, Al Ma’arri, Rumi. Grazie a loro conobbi le passioni di mio padre, le sue sconfitte, le sue angosce e i suoi affetti.

Il rapporto con la madre, invece, è più complesso. Dalia, la madre di Amal, è una donna severa che ha imparato a nascondere le emozioni dietro alle “tende del suo cuore”. Il dolore per la perdita di un figlio, rapito ancora in fasce dagli israeliani, la condanna ad uno stato di perenne attesa.
La storia di questo fratello perduto ritornerà con prepotenza nella vita di Amal. Lo farà in età adulta, quando la ragazza, diventata una madre dura e disillusa dalla vita, non ha più nessuna speranza per il futuro.

Arriva la guerra

Quando Amal cresce, l’ombra della guerra si fa sempre più vicina fino a travolgere lei e la sua famiglia in modo assoluto. Assistiamo ad una serie di eventi traumatici che la coinvolgono e sentiamo l’ingiustizia che subisce un intero popolo, derubato della propria terra e della propria casa.

Osserviamo la piccola Amal che deve compiere scelte difficili già in tenera età, abbandonare quel che rimane della sua famiglia per frequentare un istituto per ragazze orfane.

Vediamo come, ancora una volta con grande coraggio, lascia la sua patria per trasferirsi negli Stati Uniti, una terra straniera con una lingua e una cultura completamente diverse.

In questa nuova casa si costruisce un’altra vita, studia e si integra con gli americani. Ma senza scordare mai da dove viene e le persone che hanno fatto parte della sua vita in Palestina.

Finché un giorno una chiamata inaspettata da parte di suo fratello non la fa ritornare a casa, a Jenin.

L’autrice

Susan Abulhawa ha una storia molto simile a quella di Amal, la protagonista immaginaria del suo romanzo. Nata in Kuwait da una famiglia di profughi palestinesi fuggiti dopo la Guerra dei Sei Giorni, ha vissuto per molto tempo in un orfanotrofio a Gerusalemme.

Proprio come Amal, anche Abulhawa si è trasferita negli Stati Uniti, dove ha studiato medicina e ha fatto carriera. Oltre al lavoro si è sempre interessata alla lotta per i diritti civili e nel 2015 ha fondato Playgounds for Palestine, un’organizzazione che si occupa di aiutare i bambini dei campi profughi palestinesi e in Libano.

Oltre a ciò, è anche scrittrice e saggista. Ha scritto numerosi articoli e saggi sulla Palestina, comparsi sulle più grandi testate giornalistiche quali The Huffington Post e Chicago Tribune. Assieme a Ogni mattina a Jenin (2011) ha scritto Nel blu tra il cielo e il mare (2015) e Contro un mondo senza amore (2020).

Ogni mattina a Jenin ha riscosso un successo planetario vendendo più di un milione di copie e ha consacrato l’autrice come scrittrice palestinese più letta nel mondo.

Le sue testimonianze sulla vita dei profughi palestinesi sono di inestimabile valore per tutti noi, che questa tragedia la vediamo solo tramite la televisione. Uno spaccato di mondo che troppo spesso tendiamo ad ignorare ma che ci riguarda molto da vicino.

“Il mondo non può permettere che questo continui?” dissi a Huda.
“il mondo?” chiese Huda sarcasticamente e con una profonda, insolita amarezza.
“Da quando al “mondo” importa qualcosa di noi? Sei stata via troppo tempo, Amal. Vai a dormire, adesso. Parli come un’americana.”

a cura di
Silvia Ruffaldi

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di Silvia Ruffaldi

Silvia ha studiato Scienze della Comunicazione a Reggio Emilia con il preciso scopo di seguire la strada del giornalismo, passione che l’ha “contagiata” alle superiori, quando, adolescente e ancora insicura non aveva idea di cosa avrebbe voluto fare nella vita. Il primo impatto con questo mondo l’ha avuto leggendo per caso i racconti/reportage di guerra di Oriana Fallaci e Tiziano Terzani. Da lì in poi è stato amore vero, e ha capito che se c’era una cosa che voleva fare nella vita (e che le veniva anche discretamente bene), questa doveva avere a che fare in qualche modo con la scrittura. La penna le permette di esprimere se stessa, molto più di mille parole. Ma dato che il mestiere dell’inviato di guerra può risultare un tantino pericoloso, ha deciso di perseguire il suo sogno, rimanendo coi piedi ben piantati a terra e nel 2019 ha preso la laurea Magistrale in Giornalismo e cultura editoriale all’Università di Parma. Delle sue letture adolescenziali le è rimasto un profondo senso di giustizia, e il desiderio utopico di salvare il mondo ( progetto poco ambizioso, voi che dite ?).

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