tokyo
Condividi su

Riprende nella seconda ed ultima parte la dissacrante analisi di Tokyo, da turista a turista!

Premessa

Ripeto in questa sede la premessa che è già stata fatta nella prima parte di questo articolo, sempre disponibile online su The Soundcheck. Le riflessioni di seguito raccolte sono frutto di un’esperienza diretta dell’autrice, la quale ribadisce la soggettività di quanto segue. Il viaggio, fonte delle informazioni qui analizzate e rielaborate, ha avuto luogo dal 4 agosto 2024 al 21 agosto 2024. Ci si scusa anche per la prima persona ed il tono colloquiale adottati di seguito.

Tokyo Eiffel

Che sia parte integrante della cultura giapponese prendere e copiare ciò che gli interessa è un dato appurato. Ne è prova la tanto stimata Tokyo Tower. Infatti, dopo aver sborsato il corrispettivo di 25€ e aver prenotato con mesi di anticipo, ho scoperto che la Tokyo Tower è la riproduzione giapponese della Torre Eiffel. Identica nella costruzione e nella storia (con tanto di leggenda sulla biblioteca nascosta annessa), di caratteristico aveva solo i colori della bandiera giapponese.

La cosa che più mi ha colpito è stato che per entrare nell’ascensore che saliva da un deck (150 m) all’altro (250 m) c’era una condizione in più rispetto al semplice pagamento del biglietto. Bisognava, coerentemente con la leggenda appena narrata, tenere le tre dita centrali della mano alzate e fare un verso molto simile a “wiiii”. Quando ho dovuto attendere il turno successivo perché l’ascensore era troppo pieno, l’addetto ha cercato di fare una battuta con un inglese pessimo. Secondo lui questo era successo perché evidentemente non avevo detto wiiii abbastanza intensamente. Se gli sguardi potessero uccidere, lui sarebbe comunque a 150 metri, ma sottoterra.

Tokyo Tower
(fonte: Google Images)
Tokyo Disneyland, o dovrei dire Tokyo Copialand?

Immaginate la delusione devastante dopo i 64€ di biglietto nello scoprire che per Tokyo Disneyland è successa la stessa cosa. Posso parlare con sicurezza dal momento che sono stata più volte nella sua omonima parigina. Tokyo Disneyland è ampiamente paragonabile a una Disneyland Paris di una ventina di anni fa in quanto la ricalca in tutto e per tutto, addirittura con le stesse identiche attrazioni. Semplicemente, è molto più piccola e di qualità parecchio più scadente. Per i visitatori dai 6 anni in su offre una sola giostra, una montagna russa corrispettivo di un ortobruco italiano quanto ad adrenalina. La parte migliore? I locals lividi dal terrore che squarciano il silenzio con urla molto fuori luogo rispetto alla loro solita compostezza. Ad ogni modo, non posso negare di aver vissuto l’esperienza Disney: code chilometriche, prezzi esorbitanti per del cibo che sapeva di cartone, parata annullata causa acquazzone, caldo assurdo e lo zaino pieno di merch inutile a fine giornata.

Shibuya: l’attraversamento delle formiche

Shibuya è stata indubbiamente una delle mie mete preferite di questo viaggio, da cui sono passata ripetutamente, sia di giorno che di notte. In qualsiasi momento ci si vada è sempre vibrante e viva! Se volete rischiare di essere travolti da luci abbaglianti, suoni assordanti e persone che non hanno la minima idea di dove stanno camminando o di chi hanno intorno, questo è il posto giusto. Per i non esperti del luogo, bisogna sapere che Shibuya è caratterizzata da un’attrazione nota a livello mondiale: il famosissimo incrocio con i quattro attraversamenti pedonali ai lati e due in diagonale.

Devo dire che non ho molto capito l’hype per questo specifico incrocio, dato che prima di trovare questo, il principale, ne avrò visti almeno altri quattro architettati allo stesso modo. Probabilmente è dovuto al fatto che quello, oltre ad essere il più grande, è quello che si trova proprio davanti alla fermata della metro. Fatto sta che, salendo in uno Starbucks dalla posizione fortunata, sarà possibile guardare dall’alto e fotografare tutti i pedoni inconsapevoli che sciamano, schivandosi e calpestandosi a vicenda, come formiche

Shibuya Crossing
(Fonte: Google Images)
Akihabara: Stairway to Heaven

In effetti, le scale mobili pressoché infinite reperibili in ogni edificio del quartiere lasciano inevitabilmente pensare alla famosissima canzone firmata Led Zeppelin. Al perché siano proprio verso il paradiso ci arriveremo dopo. Per il momento, basta dire che se prima mi sono lamentata di Shibuya per essere sovrastimolante e piena di persone, per Akihabara ci sono gli estremi per una denuncia. Palazzi fino a tredici piani pieni zeppi di merch, dagli adesivi ai puzzles ai cosplay.

Ce n’era per tutti i gusti, dalle action figures retrò di Lamù che toccavano cifre esorbitanti agli stickers di Pikachu a pochi centesimi. Per strada si veniva costantemente avvicinati da ragazze le quali, in full make up Lolita e maid outfit, cercavano di attirare il turista all’interno dell’ennesimo maid café. I pochi palazzi non destinati ad essere invasi dai turisti e dagli appassionati di anime e manga erano invece assediati da un altro tipo di gentaglia poco raccomandabile: i ludopatici

Nippoludopatici

La ludopatia è un disturbo che coglie moltissimi giapponesi, come testimoniano le sale giochi disponibili ad ogni decina di metri e in suddetti palazzi menzionati. Tredici, quattordici piani di slot machines, a volte con intere aree di macchine d’azzardo per bambini. Il tutto, ovviamente, a distanze irrisorie: giusto lo spazio per sedersi. Il legame intrinseco con anime e manga, poi, non può mancare. La maggior parte di queste macchinette, infatti, o servono ad entrare in possesso di merch oppure hanno intere animazioni (raccapriccianti, se posso dire) dedicate specificamente allo scopo.

Come fanno posti del genere a non fallire? La risposta è semplice: un abitante di Tokyo medio guadagna quasi 3000€ al mese, spendendo in alimentari poco più di un italiano. Tanti soldi da spendere e tanti vizi da sfogare, visto che alcol e fumo non sono diffusi come in Italia. Ora, la ludopatia è un disturbo grave che va trattato con serietà, specialmente se ne è affetta un’intera popolazione. Ma esattamente come da noi è normalizzato fare consumo di droghe e alcol, da loro lo è giocare. In sostanza: loro ci vedono come degli alcolizzati e io ho speso una fortuna per accaparrarmi un action figure di Frieren alle macchinette che probabilmente avrei pagato la metà se avessi comprato in negozio.

Museo TeamLab Planets
(Fonte: Google Images)
TeamLab (schifo) Planets

TeamLab è un collettivo artistico a capo di presupposti musei di arte moderna a Tokyo e in generale nel mondo. La prima volta che ho visto una delle loro installazioni mi trovavo nel centro di Londra e ho subito pensato, per dirla in parole spicce, “che ficata”. Così quando ho saputo che a Tokyo ne esistono interi musei, non ho esitato: ho scelto quello che mi attraeva di più dalle immagini sul sito, ho prenotato due mesi prima, ho pagato i miei 30€ e sono andata. Che delusione! Alla fine, questo museo si è rivelato essere un percorso attraverso una serie di stanze che stimolassero i vari sensi umani, da fare tassativamente senza calzini. Questo è stato un mio grosso handicap perché ho i piedi estremamente sensibili, il che mi ha reso molto difficile godermi l’esperienza. Inoltre, se vogliamo dirla tutta, non è che le norme igieniche fossero proprio strettamente osservate…

Ad ogni modo, le immagini reperibili sul loro sito sono fittizie: quello che si vede è molto meno estetico ed affascinante di come appare. Una delle prime stanze, ad esempio, prevede di affrontare una salita bagnata da due dita d’acqua che scorrono a partire da una fontana sulla cima. Arrivati su si svolta in una sottospecie di anticamera con a disposizione asciugamani e tappetini per asciugarsi i piedi. C’è anche una pretenziosa placchetta di plastica appesa al muro di cartongesso che recita “Waterfall of Happiness” e procede a spiegare con grande immaginazione il significato (forse inesistente) dell’opera. Comunque potrete verificare di persona la bravura degli artisti in quanto molte esposizioni, temporanee e non, sono aperte anche su suolo italiano. 

Conclusione

Concludo così questa dissacrazione di Tokyo. Avrei ancora molto da dire, molti complimenti da fare e tantissimi insulti da tirare, ma per il momento ci fermeremo qui. Spero di non aver infranto i sogni di nessuno. Ho solo espresso la mia opinione onesta sulla base di quello che è stato il mio viaggio. Dal prossimo articolo in poi, tornerò nelle retrovie dei miei articoli, senza prime persone o colloquialismi. Ah, prima di andare, volete sapere perché prima ho accennato ad un “paradiso” alla fine delle scale di Akihabara? Vi dico solo che agli ultimi piani ci sono sempre le sezioni di merch +18

a cura di
Adelaide Gotti

Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE – Milan Games Week & Cartoomics, si alza il sipario sull’appuntamento più atteso dagli amanti della cultura pop
LEGGI ANCHE – “Watch Dogs”, quando i videogiochi incontrano i manga
Condividi su

Related Post

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *