Nel 1974 usciva Non aprite quella porta, universalmente conosciuto come The Texas Chain Saw Massacre, per la regia di un allora ancora sconosciuto Tobe Hooper, al suo secondo lungometraggio. Dopo cinquant’anni riesce ancora a spaventare e a superare la prova del tempo?
Da amante dell’horror per me risulta difficile, ma allo stesso tempo stuzzicante, parlare di un film che è senza ombra di dubbio uno dei più importanti ed iconici che il genere, ma anche il cinema in generale, abbia mai offerto. Sadico, malato, sporco ed intenso come pochi , tanto da essere considerato anche da un maestro come Quentin Tarantino, durante una puntata di Jimmy Kimmel Live, uno dei suoi 7 film “perfetti”, venendo accostato a mostri sacri come Ritorno al futuro, Il mucchio selvaggio e Lo squalo.
Perciò, credo che sia corretto spiegare bene il perché di questa importanza, partendo dal film in sé, parlando della sua nascita, del contesto in cui si è trovato e alla fine della sua eredità nel mondo del cinema, perché la risposta alla domanda scritta poco fa non può non essere che sì, riesce ancora a spaventare e non ha sentito minimamente il tempo scorrere.
Trama
Nel 1973 Sally, suo fratello disabile Franklin e altri tre loro compagni, si recano nelle campagne sperdute del Texas per controllare la tomba del nonno, a causa della notizia che un vandalo della zona, avrebbe depredato diverse tombe del cimitero per fare delle sculture con i resti umani. I protagonisti si ritroveranno però ad affrontare un incubo ben oltre la loro immaginazione a causa di una famiglia di cannibali abitanti della zona, tra i cui membri spicca Faccia di Cuoio, o Leatherface, chiamato così per le maschere che indossa, fatte con i volti delle sue vittime, e armato di motosega.
Origine del film
Tobe Hooper, con la collaborazione dell’amico sceneggiatore Kim Henkel, con il quale aveva già lavorato nel suo primo film Eggshells, decide nel 1974, con un budget bassissimo di 140.000 dollari e con attori praticamente emergenti, di dirigere Non aprite quella porta con uno stile quasi documentaristico. Furbescamente, promosse il film come tratto da una storia vera, quando in realtà è vagamente ispirato da un fatto di cronaca letto dal regista e dalla figura del serial killer Ed Gein.

Per il regista, la scelta di venderlo falsamente come storia vera, fu anche una sua particolare provocazione e risposta in merito alla disinformazione e agli inganni che l’America all’epoca subiva, come lo scandalo Watergate o i crimini di guerra durante il conflitto in Vietnam. Questa decisione diede i suoi frutti, facendo incassare al film oltre 30.000.000 dollari, rendendo Non aprite quella Porta uno dei film indipendenti di maggior incasso di sempre.
Bisogna anche citare le difficoltà delle riprese a causa del basso budget, che portarono la troupe a utilizzare vere ossa, pezzi o sangue di animale, girare sette giorni su sette per 16 ore al giorno, senza la possibilità di un cambio di costume, e con un clima che raggiunse anche il picco di 43 gradi.
“Durante le riprese nel corso del giorno c’erano circa 35-38 gradi. Non mi hanno lavato i vestiti perché temevano che potessero rovinarsi o cambiare colore. Non c’erano soldi nemmeno per un secondo costume. Quindi ho dovuto indossare la maschera per 12-16 ore al giorno, sette giorni alla settimana, per un mese.”
Gunnar Hansen, interprete di Leatherface.
Il basso budget e lo stile semi documentaristico, si sono rilevati l’arma vincente di Non aprite quella Porta, permettendogli paradossalmente d’invecchiare molto meglio a differenza di tantissimi film che hanno potuto usufruire di maggiori effetti speciali, donandogli un’estetica “povera” ma terribilmente realistica che non stona minimamente neanche ai giorni nostri.
Riprese e fotografia
Le riprese sono calde e afose nelle scene all’esterno, e soprattutto terribilmente sporche e marcescenti nelle scene all’interno della casa della spietata famiglia Sawyer. Un luogo putrescente e soprattutto pieno di resti umani, usati come addobbamento o persino come mobili all’interno dell’abitazione. Ciò permette allo spettatore di provare un profondo senso di ribrezzo e disagio che cammina fin dentro la pelle e che aumenta l’immedesimazione nei confronti degli orrori mostrati.
La fotografia è invisibile nelle scene più tranquille per poi diventare più diretta e dettagliata in quelle invece più ansiogene. Un esempio può essere l’inseguimento di notte nel bosco tra Leatherface e Sally, con quella bellissima ripresa da davanti dove puoi vedere l’antagonista avvicinarsi sempre di più, o quella dell’occhio durante la scena della cena, dove Hooper entra fin dentro l’iride della protagonista pur di farti vivere e percepire il terrore che sta provando.

Colonna sonora e ambientazione
La colonna sonora fa il suo dovere, rivelandosi incredibilmente metallica e disorientante come la natura del film richiede, ma il meglio lo dà il comparto sonoro, partendo dal suono ormai iconico della macchina fotografica iniziale fino ad arrivare al ruggito feroce e persistente della motosega del killer.
L’ambientazione rurale del Texas arricchisce i punti sopracitati, dando un senso di abbandono e solitudine, a causa della sua natura vasta e incontaminata e delle poche persone e abitazioni presenti completamente lasciate a se stesse. Il cosi detto “redneck”, termine dispregiativo per indicare un abitante della bassa società del sud degli Stati Uniti ignorante e violento, è il solo e unico archetipo di personaggio che i protagonisti troveranno durante il loro viaggio, nella sua versione più folle e brutale possibile.
“Hooper tira dritto allo scopo prefissosi: serie continue di agghiaccianti effetti che aggrediscono allo stomaco lo spettatore, e ritmo molto sostenuto.”
Dario Argento
Personaggi
I protagonisti del film sono quelli che si possono definire “i tipici personaggi da film horror”: profondamente stupidi, ingenui e derivativi dell’America che si stava venendo a creare in quegli anni. Nota di merito per la caratterizzazione di Franklin, il ragazzo disabile interpretato da Paul A. Partain, che si può considerare, a causa della sua fascinazione per la macellazione e la morte e per certi atteggiamenti in comune con la famiglia dei cannibali, quasi come una versione “da grande città” e quindi più civile e modernizzata degli antagonisti.
La famiglia Sawyer invece, antagonista del film, è senza troppi giri di parole un gruppo di “poveri bastardi”. Sadici, ignoranti, privi di moralità e di qualsiasi etica, perfettamente adeguati al loro stato di “abbandonati dal mondo”, che si ritrovano a divorare carne umana pur di sopravvivere in un contesto, dove a causa della modernizzazione delle fabbriche, non hanno più il lavoro nella macelleria della zona.
Interpretazioni
Le interpretazioni, nonostante per la maggior parte si tratti di attori neofiti, sono tutte validissime, con una particolare nota di merito alla protagonista Marilyn Burns, che soprattutto nella parte finale del film, dà sfogo ad una recitazione intensa, capacissima con le sue espressioni e le fortissime urla a rendere il più reale possibile il terrore del suo personaggio.
Non di poco conto neanche la recitazione più “fisica” di Gunnar Hansen, interprete di Leatherface, che con la sua stazza di quasi due metri contribuisce ad aumentare la pericolosità del personaggio, e l’interpretazione di Edwin Neal, nel ruolo del fratello autostoppista di Leatherface.

La scena della cena
Tengo a dedicare uno spazio anche a quella che è la scena più importante e spaventosa del film, ovvero la cena a casa dei Sawyer, dove la povera Sally si ritrova ad essere “ospite” del gruppo di cannibali, dove verrà vessata, umiliata e torturata fisicamente e psicologicamente. Questa scena è per quanto mi riguarda una grandissima lezione su come si gira una scena horror di tutto rispetto. Senza jumpscare prevedibili, ma con una tensione tenuta alta dall’inizio alla fine della cena, dove anche una semplice pernacchia infantile diventa un grandissimo elemento di disturbo e di attacco verso la protagonista.

Una scena che senza strani sbalzi musicali o elementi paranormali offre la rappresentazione più pura del terrore e del sadismo. La cena racchiude tutto quello che già il film aveva mostrato e fatto sentire in precedenza e lo amplifica a livelli esponenziali: la sensazione di sporco e di ribrezzo ti squarcia la pelle, l’inquietudine dovuta alla situazione ti porta a rimanere in silenzio e paralizzato fino alla fine.
Nascita e origine di Faccia di Cuoio
Del gruppo di cannibali, il più presente e anche quello più d’impatto è sicuramente Faccia di Cuoio, quello che, insieme al fratello, è il cacciatore e macellaio della famiglia ed è quello che più di tutti si accanirà con i ragazzi protagonisti. Un personaggio dalla fisicità imponente ed armato di motosega. La cosa, però, che spaventa maggiormente è la sua abitudine di indossare maschere, sia maschili che femminili, fatte con i volti delle vittime da lui uccise, in modo da nascondere il suo reale aspetto.
Faccia di Cuoio è caratterizzato come un elemento disturbato, sadico e violento ma allo stesso tempo vittima, all’interno della famiglia, delle angherie del padre. È affetto da una disabilità intellettiva che non gli permette di esprimersi a parole, ma solamente tramite versi e mugugni.

L’ispirazione del personaggio è derivativa, come lo fu per il Norman Bates dello Psycho di Alfred Hitchcock, dal serial killer Ed Gein, definito anche il Macellaio di Plainfield. Se Hitchcock, però, prese spunto per il suo personaggio solo da un punto di vista psicologico, riprendendo quasi ugualmente il difficile rapporto che Ed Gein aveva con la madre, Hooper invece prese spunto dalle effettive atrocità commesse dal serial killer, come il cannibalismo, indossare le pelli delle vittime come abiti e usare le ossa come arredamento casalingo.
“Studiai sicuramente Gein… ma avevo anche sentito la notizia di un caso di omicidio accaduto a Houston all’epoca, dove c’era un assassino seriale che probabilmente ricorderete si chiamava Elmer Wayne Henley. Era un giovane uomo che procurava le vittime a un omossessuale più anziano. Vidi dei servizi in tv dove Elmer Wayne… disse: “Ho commesso questi crimini, e ora devo affrontare le conseguenze da uomo”. Beh, mi sembrò molto interessante che lui possedesse questo tipo di moralità convenzionale arrivato a quel punto. Lui voleva che si sapesse, ora che era stato preso, che avrebbe fatto la cosa giusta. Così è questo tipo di morale schizofrenica che ho provato a costruire nei personaggi.”
Tobe Hooper, regista del film
Leatherface nella cultura americana
Il personaggio di Leatherface entrò subito nell’immaginario collettivo, tanto da dedicargli molto più spazio, se non addirittura interi film, nei successivi capitoli della saga. Tuttora è fortemente presente nell’immaginario pop americano, venendo spesso citato nella musica, come per esempio in una delle maschere di Corey Taylor degli Slipknot e anche nei videogiochi venendo messo come personaggio giocabile nel decimo capitolo della fortunata saga picchiaduro di Mortal Kombat.
L’eredità di The Texas Chain Saw Massacre
The Texas Chain Saw Massacre è considerato da molti il primo slasher, sottogenere dell’horror, dove un assassino cerca di uccidere un gruppo di protagonisti. Se è anche vero che tantissimi film precedenti, come il già citato Psycho o L’Occhio che uccide di Michael Powell, presentavano già questa caratteristica, Hooper mise le basi per quelle che sarebbero state da li in avanti le “regole” del genere: dall’assassino mascherato e spesso silenzioso, ai protagonisti giovani fino ad arrivare alla figura della final girl.

Questi dettagli si possono infatti riscontrare, anche se magari diversificati, in tantissimi film del genere, anche di grosso successo, come la saga di Halloween, quella di Venerdì 13, quella di Nightmare, quella di Scream e più recentemente quella di Terrifier.
Lo stesso Non aprite quella porta, visto l’enorme successo, si ritrovò dall’essere un film singolo e chiuso a diventare una saga composta da vari capitoli. I successivi film (di cui solo il secondo diretto dallo stesso Hooper) non vanno però ad aggiungere o migliorare nulla di quanto mostrato nell’originale, anzi. L’ultimo capitolo del 2022, distribuito da Netflix, risulta anche offensivo sia per gli amanti del film del ’74 sia in generale per chiunque ami il buon cinema.
Conclusione
Per riprendere quanto detto da Tarantino, dopo mezzo secolo di vita Non Aprite quella porta risulta essere un film perfetto ancora oggi, invecchiato bene come pochissimi altri, con tutti gli elementi al suo interno ben amalgamati e funzionanti come il meccanismo di un orologio. Ed è soprattutto un film che, insieme ad altri del genere horror diretti da grandissimi registi, come lo Shining di Stanley Kubrick, il Rosemary’s Baby di Roman Polański o Lo Squalo di Steven Spielberg, merita di essere considerato un capolavoro non solo nel suo genere, ma della cinematografia tutta.
a cura di
Andrea Rizzuto
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