La Shoegaze nelle note di Parannoul

La Shoegaze nelle note di Parannoul
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La Corea mette il proprio timbro nel genere Shoegaze attraverso il progetto artistico del polistrumentista e produttore Parannoul che, con il suo secondo LP “After The Magic”, dai toni passionali e nostalgici, ci permette di immergerci in luoghi e tempi distanti da noi

Non ci sono concesse troppe informazioni, Parannoul è il nome del progetto musicale dell’anonimo musicista e polistrumentista coreano. Una scelta che non stupisce, considerando l’ambiente in cui ci troviamo. La shoegaze è il genere per l’eccellenza che si fa portavoce di quel sentimento disfattista e disilluso nato negli anni 90′ in Europa. Grazie all’elevato utilizzo di effetti, quali delay e reverberi sulle chitarre, e una costante vibrazione di alcune note, nella shoegaze viene creato “un muro di suono” che fa un po’ da background continuo al resto della canzone. Grazie a questo sound è possibile immergersi in “ondate” di suono fortemente evocative e ottenere toni generalmente malinconici e sognanti, per cui la shoegaze non è mai stata troppo adatta a contesti pubblici, rimanendo più rilegata all’intimità di un ascolto in solitaria.

Parannoul, forte del successo di “To see the next part of the dream” del 2021, album ancora acerbo, in primis per una poco convincente e piatta performance vocale, si conferma artista maturo solo 2 anni dopo, con “After The Magic“, album che per qualità compositive, sfere tematiche e emozioni percepibile, si pone come lavoro solido di un musicista che sembra aver raggiunto il proprio equilibrio artistico.

L’album

L’album non ha paura di giocare con una palette musicale ampia, mescola diversi elementi, tra i quali ambient, post-rock e sperimenta, uscendo dalla confort zone della canonica shoegaze che più rispecchiava invece il primo album.
Un album massimalista, che non lascia niente al caso, anzi inserisce tutto con grande senso di posizione, permettendo a questo sound pomposo di non risultare mai ridondante o esagerato.
In brani come “Insomnia“, dove rapide percussioni nascondono costantemente un background che progredisce in maniera lenta e sottotono, sembra quasi di star ascoltando due album sovrapposti l’un l’altro. Non dovrebbe funzionare, ma funziona.
I layer sono tanti ma non disturbano, anzi contribuiscono a creare un ambiente fitto, distante dalla realtà.

I colori e i paesaggi sonori sono variegati, passando dai toni freddi di “We shine at night“, dove chitarre brillanti e ruvide allo stesso tempo e linee vocali fluttuanti ci permettono di volare in paesaggi invernali e ultraterreni al tempo stesso, a “Parade“, che fin dall’inizio cattura per il suo calore, a partire dagli iniziali motivi vivaci di tastiera, allegri violini che entrano ed escono dalla traccia e metallici arpeggi che iniziano a volare verso ogni direzione.
Arrivati a questo punto dell’album, nonostante una variegata presenza di elementi musicali, “Sketchbook“, stravolge nuovamente il sound, ampliando ulteriormente l’assetto strumentale.
Qui è presente a mio parere la più grande dimostrazione della grande capacità di costruzione di Parannoul: si parte con un notturno suono di grilli, affiancato da una voce robotica in un’atmosfera molto tranquilla, per poi convergere in un climax che culmina in un ritornello hyper-futuristico, fatto di sintetizzatori flashy e grande velocità. Gli effetti ambient, la voce fortemente sintetizzata, la forte esplosione elettronica sono ancora una volta tramite per dipingere un paesaggio immersivo.

Conclusione

L’album è un costante viaggio in cui non sono presenti freni, il sound può tranquillamente mantenere un background sereno ma non si fa problemi nemmeno a esplodere dal nulla in momenti di assoluta schizofrenia quando lo desidera. Ciò dimostra la grande passione che è stata riversata nella composizione, e che certamente non fa fatica ad arrivare e trascinare con sè gli ascoltatori.

A cura di
Simone Endo

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Simone Endo

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