“Dove le ragioni finiscono”, non le resistenze: sulla storia di Yiyun Li

“Dove le ragioni finiscono”, non le resistenze: sulla storia di Yiyun Li
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Dove le ragioni finiscono è la storia dell’autrice Yiyun Li che racconta, dopo la morte del figlio, un legame al quale non vuole rinunciare

Non ero la Regina Bianca, che fissa le regole, e nemmeno Alice, che si rifiuta di vivere seguendole. Ero un genitore generico che piangeva la morte di un figlio generico perso per una inesplicabile tragedia. Ecco già tre cliché. Potevo intraprendere la mia personale guerra contro ciascuno di essi. Piangere la morte di qualcuno, in inglese to grieve, dal verbo latino gravare, caricare, gravare che a sua volta viene dall’aggettivo gravis: pesante, grave. Quale genere di madre considererebbe un peso vivere nello spazio vuoto lasciato da un figlio? Esplicare, in inglese explicate, dal latino ex (fuori) + plicare (piegare), un-fold in inglese: spiegare. Ma definire inesplicabile l’atto di Nikolai era come definire perso l’uccello migratore finito in un nuovo continente.
[…]
No, per me non c’era niente d’inesplicabile; è solo che non volevo spiegare: il compito di una madre è avvolgere, non svolgere.

Dove le ragioni finiscono, Yiyun Li, NNE

Così, tra pagina 10 e 11, Laura Noulian traduce le parole di Yiyun Li, autrice pubblicata da NNE. Questo mio articolo è un azzardo, perché non è cosa semplice proporvi questa lettura senza passare per un abisso. Mentre le parole dettano il movimento agli occhi del lettore, non c’è possibilità di uscita se non quella di chiudere di scatto il libro. Farcelo chiudere, sarebbe più opportuno. L’effetto è quello dell’attrazione, ci si sente tirati dentro, si ha voglia di proseguire anche se gira la testa, anche se si sente una profonda stanchezza. Per questo serve qualcuno che ci strappi a questo mondo di carta e ci riporti nella realtà.

Siamo dentro, in questo non-luogo e non-tempo, siamo in una conversazione che annega nello spazio e nel ticchettio del metronomo che scandisce il tempo, quello lo sentiamo tutto. Siamo spinti verso il fondo dalla pressione, più ci agitiamo per uscirne e riprendere aria e più le energie ci abbandonano. E poi, nel momento in cui pensiamo di essere solo pelle che riveste uno scheletro di minerali concentrati, ecco sgorgare acqua fresca dalla fonte.

Dove le ragioni finiscono è un’esperienza terapeutica, un percorso che ci mette di fronte alle resistenze (anche nel proseguire la lettura, n.d.r.), che ci costringe a guardare la realtà che abbiamo in testa senza dimenticare quella che sentiamo nella pancia.

Come si fa a raccontare la perdita

In realtà non c’è un sistema giusto, l’autrice trova la sua strada che assomiglia forse all’urlo liberatorio che sembra partire dalla pancia e sale e arriva nella gola pronto a esplodere, mentre scendiamo in picchiata sulle montagne russe. Un urlo assopito, un po’ stanco, quello di Yiyun Li.

Dove le ragioni finiscono, estratto

La perdita personale di un figlio che è riuscito in un’impresa in cui lei ha fallito – il suicidio – invece ben due volte, può essere sicuramente ragionata diversamente rispetto al più classico – non per questo meno doloroso – incidente stradale. In questo memoir non si fa mai cenno al dolore maggiore per questa perdita, ma a come invece si possa anche solo pensare di perderlo, quel figlio. In qualsiasi modo e momento, è impensabile.

Vedi, adesso pensi come tutti gli altri: Come si fa…
Come si fa a fare cosa, cosa? dissi.
Come si fa a credere che un giorno lui era qui e il giorno dopo non c’era più?
Comunque come si fa? pensai. Come si fa a conoscere un fatto senza accettarlo? Come si fa ad accettare la scelta di qualcuno senza metterla in discussione? Come si fa a mettere in discussione qualcosa senza arrivare a un punto morto? Quanto ci si deve protendere per poter arrivare a un altro punto dopo il punto morto, non si potrebbe chiamare anche questo punto morto, no?

Dove le ragioni finiscono, estratto
La lettura è per quelli che vogliono sentire

La storia vede protagonista una madre scrittrice e un ragazzo sedicenne di nome Nikolai, la loro conversazione e la lucidità di un figlio che non c’è più ma che lei sente presente. Come se a guidarla fosse letteralmente il ricordo e l’immagine che ha interiorizzato di lui. Quanto tempo impiegherà per annebbiarsi questa immagine?

Dove le ragioni finiscono, estratto

Madre e figlio parlano e si scambiano pensieri senza sentire il bisogno di renderli parola, dibattiti sull’etimologia, attaccamento al significato e al significante. Un modo per non perdere di vista se stessa, per cercare di ritrovare Nikolai anche tramite Elizabeth Bishop, poetessa che entrambi incontrano in vita e che diventa la prima chiave d’accesso a questo non-mondo. I ricordi di quei sedici anni insieme sono appigli necessari perché da uno ne derivano altri cento.

Tutto questo in una storia che è un flusso di coscienza, una corsa con la paura di perdersi nel grande dolore dell’amore. Perché se è vero che un figlio può pretendere un amore assoluto, quello di un genitore si tramuta in un fondamenta fatte di sensi di colpa, dubbi e vuoto che inghiotte.

a cura di
Ylenia Del Giudice

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