“Passages”: l’identità passa per un moderno ménage à trois

“Passages”: l’identità passa per un moderno ménage à trois
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Passages è l’ultimo film del regista indipendente Ira Sachs disponibile in Italia sulla piattaforma MUBI. Al centro il racconto di una coppia in crisi e di un complicato un triangolo amoroso ma soprattutto l’instancabile ricerca della propria identità.

C’è febbre da Oscar in questo interminabile febbraio: grandi nomi e grandi film in programma per una serata che si prospetta piena di emozioni. Nel trambusto dei film a budget importante, però, si fa spazio un lungometraggio dalle “piccole dimensioni”, frutto della mente registica e narrativa di un veterano della cinematografia indipendente: Ira Sachs. Si tratta di Passages, disponibile in chiaro sulla piattaforma MUBI, conosciuta per strizzare l’occhio ai film di nicchia e di autore.

Presentato in anteprima al Sundance 2023, Passages mette in scena un triangolo amoroso seduttivo e sensuale: il focus, però, di questi ambigui scambi di coppia è il protagonista Tomas, che immerso nell’indecisione, palesa tutta la sua natura narcisistica.

Trama

La storia di Passages rispecchia un tipo di trama quasi “ridotta all’osso”, come risulta sintetica anche la stessa recitazione dei suoi tre attori principali. Sachs mostra gli eventi per come sono, sfruttando un realismo asfissiante e che sembra “ancorare” i suoi personaggi tra le quattro mura degli edifici parigini. Tomas, regista tedesco di base nella capitale francese, è sposato da diverso tempo con Martin, un artista inglese con il quale il matrimonio sta vivendo un periodo di crisi altalenanti. Ultimato il suo film, Tomas incontra una giovane insegnante durante il party di fine riprese: i due si cimentano in un coinvolgente ballo che si traduce in una sorta di gioco di ruolo tra le parti.

Da questo fantomatico incontro, per Tomas le cose iniziano a cambiare: intraprende, infatti, una relazione con Agathe, dapprima in maniera clandestina poi onestamente confessata al proprio compagno. A lui Tomas ammette candidamente che, dopo aver provato il sesso con una donna, ha provato qualcosa che non sentiva da tempo e che lo spinge come una calamita verso Agathe, tanto da sabotare la lunga unione con suo marito.

Tuttavia, anche la relazione con Agathe si complica quando l’insegnante rimane incinta di Tomas mettendolo, così, dinnanzi alle sue responsabilità di essere umano. Tomas non è disposto a rinunciare all’affetto e alla protezione di Martin: torna dal marito, consapevole che i due potrebbero arricchire il loro amore con la presenza del nascituro. I fatti, però, sono tutt’altro che semplici e per Tomas questi scaltri “passaggi” da una relazione ad un’altra, da un amore radicato verso uno inedito ed eccitante, avranno pesanti conseguenze. D’altronde, crescere significa raccogliere il peso delle proprie scelte e comprendere come queste condizionano l’esistenza del prossimo.

Sesso ed individualismo

Il ritratto che Sach fa di Tomas rispecchia a pieno quello della società contemporanea e pertanto anche di molta della narrazione cinematografica odierna. Il protagonista agisce seguendo i suoi bisogni, assecondando le sue curiosità e sensazioni, incurante del dolore che queste azioni inconcludenti arrecano alle persone a lui vicine. Si destreggia tra le persone con smania individualista mentre muove incerto le pedine della sua vita così come “governa” capillarmente gli attori dei suoi film.

Tomas è il perfetto antieroe sensibile: capace di ammaliarti con promesse fasulle e al medesimo tempo emergere come figura docile ed ingenua, con il quale si ha difficoltà a non empatizzare. In effetti, lo sguardo stesso del regista è “basso” e si sovrappone a quello del protagonista stesso. Per questo, di pari passo all’uomo, noi spettatori subiamo i tumulti del suo animo e sperimentiamo queste eccitanti ed insolite passioni.

Interessante la scelta del regista di trattenersi a lungo con la macchina da presa sui rapporti sessuali tra Agathe, Martin e Tomas, come se risedesse proprio lì, nella più radicata intimità, la loro abilità di dialogare realmente. La parola, seppur presente in maniera eccedente, risulta vacua, priva di reale intenzionalità e dipendente dalla fisicità dei corpi di questi esseri umani, veri e propri “attori” sul palco del narcisismo. Uno sguardo, quello di Ira Sachs, mai compiacente e peccaminoso nella messa in scena dell’amplesso. L’occhio della telecamera, invece, intende tradurre il desiderio di Tomas di rapportarsi ai suoi amanti, ora possedendoli, ora abbandonandoli come giocattoli.

Alla fine, però, le volontà di Agathe e Martin prenderanno il sopravvento sul caos emotivo di Tomas, lasciandolo alle prese con la sua solitudine, mentre corre veloce sulla bici per le strade di Parigi in quello che pare come il primo vero momento di “ampio respiro” del film.

Neutrale: è lo sguardo del regista in questo film di formazione

Adèle Exarchopoulos, Ben Whishaw e Franz Rogowski, nei rispettivi panni di Agathe, Marti e Tomas, consegnano un’interpretazione in linea con i propositi del regista, costruendo un trio di personaggi tanto imperfetto quanto umano. Più di tutti vi è Tomas che non riesce ad evolvere dal suo stadio infantile ed egoriferito e sceglie, quasi fosse costretto, di sguazzarci dentro, trascinando con sé le debolezze dei suoi compagni.

Comunque, per il regista tedesco Tomas la “perdita” finale, vissuta come un lutto, non sarà la fine del suo viaggio verso la conoscenza di sé stesso. Il percorso è appena iniziato e la piena consapevolezza della propria personalità passa attraverso gli sbagli compiuti, il sesso perpetrato e gli amori interrotti.

Mentre il mondo attorno continua a girare, Tomas corre con la sua bici in un film che raggiunge il suo climax proprio sul finale quando gli occhi del giovane uomo si riempiono di tristezza, sconforto ma anche di speranza ed epifania. Sachs, in tutto ciò, rimane neutrale nel giudizio, freddo e distante: senza pietà o pietismi, assistiamo i tre imbattersi miserabilmente nel rapporto tossico per eccellenza.

Sachs, quindi, non dà spazio ai giudizi, solo al corso ineluttabile degli eventi conducendo, proprio come quel voluttuoso ballo iniziale, i suoi “osservatori” verso la realizzazione che la realtà vale solo quando mutevole e sfuggente. Un’opera ricca seppur nuda, Passages, sfumata eppure molto nitida: un dramma autoriale ed intimista che può essere valido, però, per la collettività.

a cura di
Noemi Didonna

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